Restare di sasso: elogio della provincia italiana
di ROBERTO GIRASOLI (FSI Lecce)
Qualche giorno fa diverse testate nazionali hanno riportato uno stralcio di un dialogo in cui Di Maio avrebbe commesso una gaffe chiedendo ad Emiliano, Presidente della Regione Puglia, cosa stesse facendo in preparazione all’evento di “Matera – Capitale della cultura europea 2019” lasciando intendere, tra l’altro, che il Vicepresidente del Consiglio non conosca la geografia italiana.
In verità molte sono le ragioni per cui il Governo necessita della Puglia, a cominciare dai trasporti lucani che trovano un importante collegamento in Bari, che è l’aeroporto più vicino oltre che la grande sede universitaria più prossima: dunque la battuta rientrerebbe nella normale prassi politica, tuttavia da più parti si è montato uno scandalo su un dialogo di cui null’altro sappiamo di certo.
Tralasciando volutamente la spasmodica ricerca del sensazionalismo da sempre propria di un certo tipo di giornalismo e accentuata dalla corsa ai “social”, bisognerebbe invece domandarsi perché nessuno dei cosiddetti intellettuali impegnati abbia speso una parola sull’assurdità di lasciare la politica culturale lucana, ed in generale italiana, in mano a concorsi paragonabili ad una riffa da bar.
Questa forma di elemosina mascherata da premio al merito, in effetti, non creerà alcun beneficio strutturale per la città: essa sarà occupata da una marmaglia di esperti e commissari straordinari che al grido di “passata la festa gabbato lo santo” l’abbandoneranno fulminei, lasciandola nell’oblio della quotidianità in cui i materani sono da lungo tempo abituati a vivere, salvo tirarli per la giacchetta quando si tratta di “valorizzare il nostro patrimonio” o “premiare l’eccellenza”.
Sia chiaro che queste parole non sono ammonimenti di qualche dubbio predicatore bensì un atto di dolore con cui tutti, anzitutto chi vi scrive, dovremmo chiedere perdono a quella gente di provincia che ha reso ed in parte rende viva l’Italia resistendo strenuamente ai luoghi cantati dai laudatori da tastiera. In provincia cui si vive nei fatti un precariato lavorativo ma ancor prima morale ed identitario che, a ben guardare, è peggiore di quello d’inizio Novecento in cui sopravvisse un barlume di comunità o almeno di comunanza tra disgraziati, attualmente sacrificato sull’ara del successo preconfezionato.
In espiazione dei nostri peccati impegniamoci, concittadini, a fuggire la tentazione di “restare di sasso” di fronte a qualsiasi schiamazzo della cronaca, preferendo essere posatori di pietre nella ricostruzione della nazione secondo il progetto della Costituzione repubblicana del ‘48 che, forse, qualcuno chiama provinciale. D’altronde è sotto gli occhi di tutti: l’Italia è la terra delle città.
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