di GIANLUCA BALDINI (FSI Pescara)
È dalle scuole medie che mi sento ripetere ossessivamente che la conoscenza dell’inglese e la mobilità, cioè la disponibilità a spostarsi ed espatriare, erano i prerequisiti fondamentali per trovare un lavoro nel futuro.
Nell’ultimo trentennio abbiamo subito un lavaggio del cervello per introiettare questi concetti. In Italia una classe dirigente totalmente asservita alla finanza globalizzata (diversi protagonisti del riformismo e delle svendite del patrimonio pubblico lavoravano proprio per quelle lobbies che hanno fagocitato lo Stato) ha promosso e diffuso questo modello di società.
Un modello idealizzato dal capitalismo finanziario che immagina un mondo senza confini nazionali, abitato da uomini che non abbiamo patria né radici.
Siamo diventati un campo di sperimentazione di queste politiche di dissoluzione dell’identità finalizzate a creare uomini nuovi, spiantati dalla terra da cui sono germogliati, talee da innestare all’occorrenza laddove il grande capitale esprima necessità di forza lavoro.
Ma questi signori non hanno fatto i conti con noi, con gli esseri umani, quelli veri, che vogliono vivere vicino ai propri cari, mettere su famiglia, istruirsi, formarsi, crescere culturalmente e professionalmente e realizzarsi socialmente a casa propria, per contribuire magari al benessere del proprio paese, della propria regione, della propria città , del proprio quartiere.
Nell’Unione Europea, che è un mercato unico in cui sono rimossi tutti i vincoli alla circolazione di merci, servizi e fattori produttivi, la mobilità dei lavoratori non è un’ipotesi, non è il frutto di una scelta, ma un obbligo, una necessità. Non solo non sono previste misure perequative di mitigazione dei fenomeni migratori, ma i flussi di lavoratori sono anzi incentivati, perché il modello liberale cui sono ispirati i trattati prevede questo. Siamo solo fattori produttivi che le libere forze del mercato unico devono allocare nel migliore dei modi per ottimizzare l’efficienza produttiva.
Esiste ed esisterà sempre un vincolo insormontabile all’efficienza dei modelli economici liberali: l’essere umano, che è dotato di un cuore e di un cervello.
Sulla sterilizzazione del secondo ci stanno lavorando da tempo, ma col cuore come la mettiamo?
Siamo uomini, non talee. Siamo e saremo sempre esseri umani, nonostante i trattati europei ci considerino meri fattori produttivi.
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