Messaggio inviato al Parlamento nel centenario della morte di Garibaldi
di SANDRO PERTINI
Onorevoli Deputati,
un secolo fa moriva a Caprera Giuseppe Garibaldi, un italiano che il nostro popolo ha sempre amato e spontaneamente ha assunto a simbolo della unità, della libertà e della indipendenza della Patria.
La sua scomparsa lasciò una indelebile scia di rimpianto, ma avvenne in un periodo storico in cui il profondo travaglio del Risorgimento non era ancora compiuto e continuavano le polemiche tra le forze che lo avevano determinato.
Oggi, a distanza di un secolo, placatesi le onde delle passioni e dopo tanti eventi dolorosi e lieti dei quali siamo stati testimoni ed attori, il quadro del nostro Risorgimento ci appare chiaro e nitido in tutti i suoi particolari ed in esso campeggia l’azione che, con Cavour e Mazzini, Garibaldi condusse per realizzare l’ltalia unita. E certamente adempiamo ad un imperativo di coscienza nel rendere a Giuseppe Garibaldi, nel centenario della sua morte, il nostro omaggio per il contributo determinante da lui dato all’unità nazionale e alla causa della libertà nel mondo.
Richiamare alla memoria degli italiani il nome di Giuseppe Garibaldi significa ricordare anzitutto che a lui si deve la più autentica partecipazione di popolo alla costruzione dell’unità nazionale. L’ideale di un’Italia che fosse opera degli italiani stessi, che nascesse dalla volontà e dallo spirito di sacrificio del nostro popolo era stato per decenni il maggiore impegno dell’apostolato di Giuseppe Mazzini. Da lui lo apprese lo stesso Garibaldi: ma a differenza del fondatore della Giovine Italia egli tradusse quell’ideale in un principio di azione semplice ed efficace, atto a trovare un’eco immediata nell’animo dei giovani, degli oppressi, di chi aveva energie da mettere al servizio di un ideale. E nella figura di Garibaldi si riassumono appunto i tratti più tipici dell’eroe popolare: l’amore per la Patria, il coraggio personale, il disinteresse, la semplicità dei costumi, l’amore della vita, il prestigio del condottiero vittorioso. Solo se si tien conto del fascino esercitato dal Generale, si spiegano fatti tra i più memorabili del Risorgimento, dalla difesa di Roma nel 1849 alle imprese dei Cacciatori delle Alpi dieci anni dopo, agli attacchi leggendari di Calatafimi e di Milazzo, nei quali giovani male armati e privi di regolare addestramento travolsero, schiere agguerrite e avvantaggiate dalla superiorità di armamento e dal favore del terreno, a prezzo, talora, di gravi sacrifici di vite umane. E’ precisamente in queste audaci azioni garibaldine, animate dagli ideali di libertà e di indipendenza nazionale, che si ritrova la matrice più importante del glorioso filone del volontarismo italiano, che dalle guerre del Risorgimento, attraverso i campi di battaglia di Polonia e di Grecia, di Francia e di Spagna, giunge fino alle lotte della Resistenza.
Se del nostro Risorgimento Nazionale Cavour fu l’intelligenza, Mazzini il pensiero, Garibaldi fu l’anima popolare.
Genti, che da secoli giacevano sotto dominazioni straniere, le fece insorgere con la parola e l’esempio in nome dell’Italia: e divennero Nazione. Ma Garibaldi non fu solo un animatore di audacia: le sue eccezionali capacità militari sono ormai riconosciute da tutti i critici più seri e più competenti. E all’entusiasmo che egli sapeva destare fra i suoi seguaci faceva riscontro il timore suscitato dal suo nome fra gli avversari. Non solo fra avversari come i soldati dell’esercito borbonico, in gran parte sbandatisi dopo le prime sconfitte e tuttavia tornati in campo alla vigilia della battaglia del Volturno, ma anche fra i preparati ed agguerriti reparti dell’esercito austriaco, contro il quale Garibaldi con esigue schiere nel 1859 realizzò la serie memorabile dei suoi successi nell’alta Lombardia.
Un avversario politico come Cavour riconobbe che Garibaldi aveva reso agli italiani il maggiore dei servigi, restituendo loro la fiducia in se stessi e smentendo sul campo di battaglia l’antico detto che “gli italiani non si battono”.
Un contributo di capitale importanza egli diede alla formazione di quell’orgoglio nazionale, al di fuori del quale non può esservi neppure coscienza politica nazionale e sentimento vero di quegli ideali superiori che richiedono l’adesione e, se necessario, il sacrificio della vita stessa dei singoli, perché al di sopra di essi viva la Nazione nella sua realtà imperitura.
Repubblicano, democratico, e, dopo l’iniziale collaborazione, avversario di Cavour, responsabile della cessione di Nizza alla Francia, Garibaldi fu tuttavia anche l’uomo della formula “Italia e Vittorio Emanuele”. Una formula che gli fu allora rimproverata da Mazzini e che ha poi dato origine alle molte critiche rivolte in seguito alla presunta mancanza di senso politico del Generale. Eppure, l’adesione a quella formula nasceva da un serio e concreto apprezzamento dei reali rapporti di forza esistenti all’interno del movimento nazionale italiano. A questa realtà, invece, l’intransigenza di Mazzini non volle mai piegarsi del tutto. Solo grazie a quella formula fu possibile la concordia – discorde dalla quale nacque lo Stato Unitario.
Ma questo non significa che Garibaldi non cercasse di salvaguardare, nei limiti del possibile, la sua autonomia di azione e di decisione, che anche in momenti drammatici come Aspromonte sacrificò solo alle superiori esigenze della concordia fra gli italiani. E soprattutto non significa che alla sua sensibilità e alla sua visione di democratico autentico sfuggissero i limiti autoritari dello stato sorto nel 1860. Durante l’ultimo ventennio della sua vita egli fu animatore instancabile di iniziative tendenti a riaffermare ed estendere i diritti popolari costretti negli esigui margini concessi dallo Stato governato dalla Destra; così come egli fu in quel periodo, non meno che in passato, vicinissimo ai moti tendenti a rinnovare la lotta per la vittoria della democrazia nel mondo moderno.
Perché accanto al Garibaldi italiano a patriota non va dimenticato il Garibaldi combattente della democrazia internazionale e campione dei diritti civili ed umani.
Vero figlio del suo tempo, egli sentì come sue proprie le battaglie che i popoli, soggetti al dominio straniero egli oppressi di tutto il mondo conducevano contro le forze del dispotismo e del passato. Egli era fiero d’essere cittadino italiano, ma si sentiva anche cittadino del mondo sempre al fianco con lo spirito e spesso con l’arme in pugno di quanti singoli o popoli si battevano per i loro diritti civili ed umani contro ogni servitù e per la loro libertà ed indipendenza nazionale.
Dopo le prove giovanili di combattente democratico nell’America Latina, l’esempio più memorabile di questa sua visione della democrazia come valore universale è dato dalla partecipazione alla disperata difesa della Francia Repubblicana nel 1871: una difesa nella quale, pur in un contesto generale così sfavorevole, Garibaldi seppe ancora condurre i suoi uomini alla vittoria.
Della sua istintiva vicinanza alle battaglie di popolo è una riprova anche la simpatia con la quale egli guardò alla Comune in quell’anno tragico per la Francia. Nell’esperienza comunarda egli vide soltanto la generosità degli ideali, che nella loro radice, se non nella loro concreta manifestazione, stavano alla base di quella religione dell’umanità ch’egli da sempre coltivava, religione di’ cui egli vide una espressione anche nel nascente socialismo.
Un socialismo, quello di Garibaldi, in cui prevalevano la lotta contro ogni ingiustizia e l’amore per la libertà. Garibaldi non era un dottriniano, ma un operoso testimone di quella generosità di sentimenti e di quella volontà di giustizia che sono premessa comune alla democrazia e al socialismo. Il fascino che egli esercitò sui giovani, venuti a combattere con lui la buona battaglia anche da molte parti d’Europa – e qui voglio ricordare il contributo dato dalla legione polacca alla difesa della Repubblica romana – fu immenso, perché Garibaldi riuscì a trasmettere ad essi, insieme a tanta energia e tensione morale, una profonda umanità, quale nessun altro capo di movimento armato fu capace di dare nella storia.
Anche i tratti intimi, infatti, della figura di Garibaldi ce lo rendono particolarmente caro: la gentilezza del suo animo, la dolcezza dei sentimenti nei riguardi della sua Anita, sempre al suo fianco intrepida e coraggiosa, la fiducia nelle virtù positive dell’uomo e l’amore per il prossimo; l’assoluto disinteresse personale ed anche un suo intimo modo di intendere la vita, segnato, talvolta, anche da ingenuità ed emotività, sono aspetti di una personalità di vera e rara grandezza, perché la figura pubblica di un uomo deve tendere sempre ad essere in armonia con l’essenza della sua vita privata.
L ‘insegnamento della vita di Garibaldi, delle sue gesta dal Mar de la Plata alla Repubblica romana, all’impresa dei Mille, all’Aspromonte, al Trentino, della sua lotta in favore degli umili e degli oppressi, è sopravvissuto al logoramento operato dal tempo e si perpetua ancora oggi ovunque al di qua e al di là dell’Atlantico.
A Garibaldi, al suo insegnamento ci siamo rifatti nelle ore più buie della nostra storia, indipendentemente dalle nostre convinzioni e collocazioni politiche.
Comprendemmo allora, e ciò ci confortò e ci spinse a compiere sino in fondo il nostro dovere, il testamento ideale che Garibaldi ha lasciato a tutti gli uomini degni di questo nome: le grandi speranze dell’umanità non possono morire, la causa della libertà dei popoli è la stessa libertà degli uomini, il riscatto sociale è parte integrante della causa della libertà.
Mentre custodiamo intatto il patrimonio di valori nazionali, alla cui creazione uomini come Garibaldi ebbero tanta parte, sentiamo ancora oggi come nostri quegli ideali di democrazia e di umanità che furono di Garibaldi e che egli non poté vedere pienamente attuati nel suo tempo. E in molta parte del mondo questi ideali sono lontani dall’essere una realtà, ed anche nel nostro Paese la realizzazione di ‘una società più democratica e più umana è un compito al quale attendiamo ogni giorno.
Di fronte alle difficoltà e agli ostacoli da superare in questo nobile compito ci siano fonte di ispirazione e di insegnamento morale il coraggio, il disinteresse personale, l’amore per la patria e per l’umanità intera di Giuseppe Garibaldi, cavaliere antico senza macchia e senza paura.
2 giugno 1982
fonte: Centro Sandro Pertini
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