La mia adesione al Fronte Sovranista Italiano (parte I)
di L’ÉTRANGER
11 settembre 2019
Cari amici e followers di Twitter,
venerdì ho aderito formalmente al Fronte Sovranista Italiano (FSI). Questa scelta, meditata da mesi e maturata gradualmente, sopraggiunge, peraltro, contestualmente ad un cambio di fase nella politica italiana. Ieri il Movimento 5 Stelle ha gettato definitivamente la maschera, scegliendo l’asservimento all’Unione europea e l’alleanza coi collaborazionisti di lunga data del Partito Democratico (una denominazione a dir poco orwelliana, considerata la loro viscerale avversione al dèmos). Persino il boia Mario Monti ha accordato la sua fiducia al nuovo governo PD-5S. Il quadro non potrebbe essere più chiaro; chiaro, naturalmente, per chi è in grado di capire e non vuol far finta di non capire.
Mi chiedo quanti voti siano andati, alle elezioni politiche del 2018, al M5S su temi di netta opposizione all’UE, vista l’ambiguità (anzi, la vera e propria inversione a 180 gradi: un ribaltamento dall’antieuropeismo di facciata, nel 2014, al voto in favore della signora Von Der Leyen, falco tedesco e sodale di partito di Angela Merkel, nel 2019). È lecito parlare di una vera e propria truffa elettorale ai danni di milioni di elettori.
Ma il fenomeno che ho definito “truffa elettorale”, che in Italia comincia ad assumere dimensioni preoccupanti per la stessa salubrità di un regolare
dibattito democratico pre-elettorale, non riguarda solo il M5S. La Lega, con la sua demenziale campagna per “cambiare l’Europa dall’interno”, che ricorda il tanto vituperato e fallimentare Tsipras, ha cercato di addolcire la sterzata rispetto al Basta€ del 2014 e nascondere la sua reale avversione per i temi antieuropeisti, dovuta al fatto che la gramsciana base di classe di questo partito secessionista e antimeridionalista è composta da medi imprenditori esportatori del Nord-Est, legati mani e piedi alle catene del valore della grande industria tedesca. Imprenditori che uscirebbero molto più ben volentieri dalla Repubblica italiana che dall’Unione europea (o anche solo dall’euro, ammesso e non concesso che sia possibile abbandonare la moneta unica senza abbandonare l’UE).
Matteo Salvini – affiancato dall’ormai famoso Morisi – è un jolly pigliatutto e un fenomeno social che ha candidato diverse personalità del mondo NO€, per accaparrarsi anche questo “segmento” di consenso elettorale (si tratta, infatti, di un’evidente applicazione del marketing strategico per i prodotti come automobili o scarpe all’”offerta politica”, sebbene in maniera più scorretta) e – oggi mi pare evidente – contemporaneamente disinnescare questo pericoloso fronte per conto dei suoi danti causa, gli imprenditori di cui sopra, coloro che hanno come referente all’interno del partito il famigerato Giorgetti e che non vedono di buon occhio l’uscita dall’euro (si veda, ex multis, la recente intervista rilasciata da Zaia).
Infatti, bisogna ammettere che Salvini, nonostante i suoi evidenti limiti culturali, è decisamente alcune spanne più furbo del medio leader politico italiano – anche se l’ultima mossa, molto azzardata, non gli è riuscita – e che la Lega è un partito di sistema oggi molto scafato nel perseguimento dei suoi reali, ma dissimulati, obbiettivi strategici. La base di classe della Lega – da non confondere con la base di massa o con la base elettorale – posta di fronte ad un bivio, non avrebbe la minima esitazione nella scelta tra l’euro e la macroregione alpina, da una parte, e la ricostruzione industriale dell’Italia e la piena occupazione del popolo italiano, dall’altra.
Oggi è chiaro che il disegno di Salvini era quello di soddisfare la voglia di poltrona di alcuni efficaci divulgatori del movimento NO€ e intestarsi formalmente, mediante tale espediente, la battaglia per il riacquisto della sovranità monetaria, che di fatto viene però silenziata a lasciata decantare in sordina (sotto la cappa di una strana disciplina di partito che alterna, schizofrenicamente, la propaganda contro l’UE, la BCE e lo spread, solo quando la Lega è all’opposizione, e il “moderatismo” rassicurante e finanche il rinnegamento totale, poco credibile, di queste battaglie, quando la Lega si trova al governo: si vedano le molteplici abiure di Bagnai nel corso di alcuni suoi inviti presso gli specialisti del circo mediatico televisivo).
Cosa vuole allora la Lega? La mia interpretazione è che voglia rafforzarsi anche con un sostanzioso pacchetto di voti del “segmento elettorale” NO€(unitamente al pacchetto che ottiene dal “segmento”, per ora molto più corposo, bisogna ammetterlo, che conquista egemonizzando il tema più semplice e più sentito della c.d. “sicurezza”). Rafforzarsi, a mio modo di vedere, al solo fine di ottenere l’autonomia differenziata per le regioni del Nord, prodromica all’unico vero obbiettivo strategico della Lega, che rimane quello che è – ancora oggi – l’art. 1 del loro statuto: l’indipendenza della Padania. Non mi credete? Controllare lo statuto della Lega che è disponibile sul sito.
Il resto non era e non è strategia: è tattica di rafforzamento elettorale a spese degli incauti “sovranisti” (tra virgolette) che continuano a credere la Lega sia oggi un partito che si propone di restaurare la legalità costituzionale. Si tratta, con tutta evidenza, di un abbaglio. Persino il sottoscritto, ha creduto, seppur con qualche titubanza, alla retorica del “candidato indipendente” Bagnai, keynesiano in lista al Senato per le elezioni 2018 dopo anni di divulgazione in favore del riacquisto della sovranità monetaria, con provenienza politico-culturale in qualche modo affine alla mia e ritengo, almeno un tempo, distante dal liberismo bottegaio della Lega (liberismo o liberalismo, dato che per me la distinzione crociana – esclusiva del panorama italiano – non è realmente significativa).
Anzitutto, la Lega è infatti, fin dagli albori, un partito pregiudizialmente ostile nei confronti dello Stato. C’è da chiedersi come possa restaurare la legalità costituzionale un partito che inneggiava – solo pochi mesi fa, nel corso di una manifestazione elettorale a Milano – alla Thatcher (colei che ha realizzato nel Regno Unito quello che le vigliacche classi dominanti italiane hanno realizzato, nel nostro paese, grazie all’euro). Il culto della personalità thatcheriana mi pare profondamente incompatibile con lo spirito dei nostri padri costituenti e la lettera della nostra Costituzione del 1948, saldamente fondata su un culto della persona umana, difesa dalle forze sfrenate del mercato (dalla tendenza, cioè, alla mercificazione di tutto, inclusa la dignità umana, a vantaggio di una ristretta minoranza di rentiers) e da qualsiasi violazione dei diritti dell’essere umano, inteso sia come singolo che nelle formazioni sociali ove si svolge la sua personalità.
Cosa c’entra, dunque, la flat tax con lo spirito solidaristico della Costituzione, di cui il principio d’imposizione fiscale progressiva è una chiara specificazione? La risposta è: poco. Cosa c’entra Capezzone – da poco saltato sul carro della Lega e riscopertosi novello “intellettuale organico” a tale partito, insieme al giornalista friedmaniano Porro – con il ripristino della legalità costituzionale? Nulla.
La base culturale liberista e le reali intenzioni della Lega sono ancora più chiare osservando la dinamica della caduta del governo Conte. Al riguardo, gli ambienti della Lega – soprattutto i brillanti divulgatori NO€ remunerati con scranno parlamentare per il loro ingresso in Lega – cercano di accreditare una versione dei fatti che vorrebbe imputare la rottura alla ritrosia del ministro Tria a concedere quello spazio fiscale necessario ad attuare la flat tax e, in generale, a fare politiche espansive in barba ai vincoli eurocratici.
Tale versione, pur non essendo inverosimile, non convince del tutto. Vediamo perché. La postura “quirinalizia” (cioè euroserva) del ministro Tria e dello stesso Presidente del Consiglio Conte era emersa già col primo negoziato (quello del beffardo deficit abbassato fino al 2,04%, come a prendere per stupidi i cittadini con le tecniche, ribadiamolo ancora una volta, con cui si prezzano i dentifrici o i detersivi al supermercato: tutto a 0,99 centesimi!) e ancor di più, questa volta con plateale evidenza, in occasione della conferenza stampa di Conte nei primi giorni di giugno; conferenza nel corso della quale lo sconosciuto avvocato aveva intimato alle forze politiche (in particolare a Salvini) di non immischiarsi nel negoziato con l’UE, lasciando trasparire la chiara intenzione di piegarsi in ogni caso, senza condizioni, alle richieste dell’eurocrazia a trazione francotedesca.
Perché, allora, Salvini ha atteso fino ad agosto per sfiduciare questi signori, se la sua preoccupazione era la politica economica? Nel frattempo, Tria
ha avuto il tempo di impegnare il governo italiano nell’ennesima riforma mortifera per il nostro paese: quella del MEF, nonostante gli indirizzi, quantomeno cauti, espressi dal parlamento al riguardo. La bozza del nuovo trattato MEF è già pronta e disponibile sul sito delle istituzioni europee e sembrerebbero non risultare, al riguardo, riserve da sciogliere da parte del governo italiano.
Il mio educated guess è che Salvini sia stato fatto “andare lungo” (onde poter giustificare meglio l’inciucio tra 5S e PD, con la scusa che non c’è più tempo – fate presto! – e bisogna scongiurare l’aumento IVA) facendo leva sulla bramosia autonomista di una parte della Lega, ad un passo dal chiudere l’agognata “autonomia differenziata” e poter finalmente, tra le varie cose, arginare gli immondi professori di liceo terroni che corrompono la gioventù lombardo-veneta. L’intesa sull’autonomia – tirata per le lunghe dalla volpe Conte – è fallita solo pochi giorni prima della crisi aperta dalla console del Papeete. Ecco la trappola di Conte (cioè di Mattarella, parliamoci chiaro!). Ecco la Lega!
La Lega è parte del Partito Unico Liberale (PUL), l’unico che è accreditato, nelle sue varie fazioni che si impegnano in un teatrale quanto cosmetico
scontro nei talkshow organizzati dal circo mediatico, a governare in Italia. Governare in Italia significa portare, come i camerieri, le pietanze ordinate a seguito dei compromessi che la classe confindustriale italiana (che definisco “i cotonieri” (1), con Gianfranco La Grassa) riesce a mediare al proprio interno (Nord/Centro-Sud, Grande impresa/Piccola-Media impresa) e con gli attori esterni (i famosi “investitori esteri” che negli ultimi decenni hanno assunto un ruolo ormai non più trascurabile nell’economia nazionale; basti solo pensare all’influenza francese nel sistema bancario nazionale e non solo).
Infatti, affinché la classe contoniera possa prevalere come ha fatto negli ultimi 30 anni, praticamente incontrastata, occorre massima apertura commerciale e finanziaria del paese, affinché siano attivabili tutti i ricatti, ai danni delle classi medie e subalterne, di quella che viene semplificatoriamente definita “globalizzazione” in senso stretto. Ciò, ovviamente, se – da una parte – dà dei vantaggi irrinunciabili ai cotonieri, impone agli stessi – dall’altra – di accogliere all’interno dell’economia italiana anche investitori (cioè predatori) stranieri, con i quali è necessario mediare: animali che, tipicamente, vengono a reclamare la loro fetta di carne quando apri i cancelli.
La classe cotoniera e globalista è il soggetto collettivo che governa l’Italia nel suo (della classe cotoniera, non dell’Italia) esclusivo interesse corporativo e competitivo (sia come “sistema-paese” sia dei singoli gruppi che, di volta in volta, prevalgono in seno ad essa). Il PUL è un dispositivo di camerieri che, al fianco della burocrazia ministeriale non elettiva e di un ben più importante dispositivo (il circo mediatico mainstream nazionale), esegue le strategie decise, a monte, dalla classe-soggetto dominante. Persino inutile soffermarsi sul ruolo dei “sindacati” oggi: spaventapasseri ben pagati per dare ulteriore legittimazione al sistema, tramite una finta conflittualità che non è altro che la più vile delle complicità. Sotto questa luce, considero il “sindacalista” Bentivogli il più corretto (nel senso di meno ipocrita) personaggio all’interno di questa cricca.
Si badi bene: la classe cotoniera non coincide né con la classe media (soggetto molto più ampio e oggi, in larga parte, principale vittima dell’impoverimento provocato dalle “riforme” richieste e volute dai cotonieri per rendere “più competitivo” il paese) né con l’imprenditoria in generale, né con la vecchia “borghesia”: concetto che rimanda ad un ceto tipico della fase “dialettica” del capitalismo – XIX e metà del XX sec. – certo ai tempi coincidente con la classe dei capitalisti ma che oggi è scomparso dagli anni ’70 e che si connotava anche per una eticità (seppur contraddittoria, naturalmente), almeno di facciata, e una congerie di valori, anche culturali, oggi definitivamente abbandonati dai cotonieri come un inutile fardello per bacchettoni, a differenza di chi corre per affrontare le “sfide della globalizzazione”, innovare, accumulare e aprire nuovi mercati tra i quali ve ne sono alcuni che sarebbero stati eticamente inaccettabili per la vecchia borghesia. Pensiamo solo al dibattito, che si è timidamente affacciato in questi giorni sulla rete, relativo al mercato degli organi.
La classe cotoniera non ha nulla contro Salvini. È vero, ammettiamolo: i cotonieri non approvano un Salvini che si vorrebbe autopromuovere da cameriere a commensale, magari assumendo “pieni poteri”. La classe cotoniera, però, apprezza le idee di Salvini su fisco e sul ruolo minimale dello
Stato, e l’idea che la ricchezza sia “creata” soltanto dagli imprenditori. Ottimo per i cotonieri! Tutto bellissimo purché non si parli – ovviamente – di sovranità sulle politiche monetarie, di politiche keynesiane a forte deficit e (giammai!) di ritorno dello Stato imprenditore tramite l’IRI o qualcosa di simile. Tutto questo è il diavolo per i cotonieri, in quanto rischierebbe di abbattere la rendita di cui godono parassitariamente, frutto solo dell’effimero disturbo di fare poche scelte strategiche, spesso “assistite” da consulenti di ogni tipo, e la cui esecuzione viene poi demandata (anche nel grande complesso imprenditoriale) a una pletora di dipendenti trattati più o meno bene, a seconda dello status che gli conferisce l’importanza dei loro servigi.
I rentiers più parassitari pagano – molto bene – persino i decisori strategici (i Marchionne della situazione) e si limitano ad aspettare dividendi e interessi a bordo piscina. Infatti Salvini non farà niente di diabolico contro questi rentiers (ripeto: la sua è solo propaganda per agglomerare segmenti elettorali, a fini tattici, e, con l’esperimento dei 5S, la “truffa elettorale” è ormai definitivamente sdoganata in Italia). Inoltre, ci sono proposte allettanti per i cotonieri, nell’”offerta” politica del cameriere Salvini. Molto allettanti. Quelle – possiamo starne certi – finché in Italia comanderanno i cotonieri saranno, al momento giusto, realizzate.
1) Il termine “cotonieri” richiama la vicenda da cui origina la guerra civile americana. I proprietari terrieri degli stati del sud avevano, infatti, come principale mercato di sbocco del loro prodotto, l’industria tessile inglese, la quale assorbiva buona parte del cotone nordamericano. La decisione delle classi dominanti del nord di restringere il commercio estero tramite politiche protezionistiche, al fine di sviluppare la neonata industria statunitense (dislocata, appunto, prevalentemente negli stati del nord), proteggendone i “primi passi” tramite dazi sui prodotti importati dalla più avanzata e competitiva industria straniera, (seguendo la teoria dell’economista tedesco List) e in particolare dall’industria inglese, ai tempi decisamente la più avanzata e competitiva sui mercati internazionale, avrebbe prevedibilmente comportato delle ritorsioni penalizzanti per le esportazioni di cotone del sud verso l’Inghilterra. L’immagine utilizzata dall’economista G. La Grassa per appellare i confindustriali italiani, notoriamente avversi all’industria di Stato e alle politiche industriali sul modello della Prima Repubblica, è idealtipica di un gruppo di pressione i cui interessi si pongono in contrasto con quelli generali, allo sviluppo nazionale.
[continua]
Sì può mettere il link al post originale? Vedo che è di L’Etranger. È un sito o uno pseudonimo?