Europa, falsa amica
di Claudio Martini
Sono ormai diversi mesi che un nutrito gruppo di intellettuali, tra cui l'economista Alberto Bagnai, il filosofo Costanzo Preve, il giornalista Paolo Barnard, il gruppo di Rivoluzione Democratica e quello di Rivista Indipendenza, nonché ovviamente i compagni di Alternativa Marino Badiale, Fabrizio Tringali e Stefano D'Andrea, insistono con forza sulla necessità vitale che l'Italia rompa i rapporti con L'Unione Europea. Lo fanno per sciovinismo, per nostalgia del passato, o magari per amore del paradosso? Niente affatto. Lo fanno in quanto coscienti del fatto che l'Euro e l'Europa ci stanno ammazzando, e perché pensano che il nostro Paese non meriti la terribile fine che i cuochi di Bruxelles stanno cucinando.
Sul fatto che l'Euro e l'Europa ci stiano ammazzando non può esservi il minimo dubbio. Su questo sono d'accordo Giorgio Cremaschi come Paolo Savona, Andrea Fumagalli come Ida Magli, Marco Rizzo come Magdi Allam. Ho accoppiato volutamente personalità riconducibili a tendenze ideologiche e culturali diverse, per non dire opposte. Questo per dimostrare che non importa che tu sia di Destra o di Sinistra dinanzi al fatto che l'Euro e l'Europa ci stanno ammazzando. Anzi, dirò di più: non serve che tu sia economista, ingegnere, avvocato, sindacalista, filosofo o semplice programmatore informatico per riconoscere il problema. Basta ragionare, associare tra loro gli eventi, per concludere che -e lo dico per quarta volta, in modo che sia chiaro e inequivocabile- l'Euro e l'Unione Europea ci stanno ammazzando.
A questo punto, non dovrebbero esserci ulteriori difficoltà: individuata la malattia, la terapia dovrebbe apparire scontata. Se il male è l'Europa, la cura è l'Italia, o meglio la sua Sovranità Nazionale (che fa rima con popolare). Eppure ciò non viene compreso, e quando viene compreso non viene accettato. Bisogna interrogarsi sui motivi di questo stato di cose.
Una premessa: questa discussione potrebbe apparire oziosa e insopportabilmente astratta a chi tiene gli occhi fissi solo sull'incalzare quotidiano degli eventi. In realtà, mi si potrebbe dire, anche molti fra coloro che sono restii a schierarsi contro L'Euro e l'Europa sono in realtà dei “sovranisti” inconsapevoli, in quanto chi chiede il ripudio del debito, o anche solo si oppone alle misure di Monti, dovrebbe rendersi conto che anche solo queste azioni- o meglio, opposizioni- di per sé portano al crollo dell'Euro e alla fine del progetto di integrazione europeo. Ancora, qualcuno potrebbe far notare come l'Euro potrebbe avere comunque i giorni contati, anche senza sforzi per cancellarlo: per l'economista Piergiorgio Gawronsky non possiamo più stare in mezzo al guado, e “o si fa l'Europa politica o dovremo rinunciare all'Euro”; e spero che nessuno ritenga che l'Europa politica sia realizzabile nei tempi brevi che occorrono per “salvare” la moneta unica. Sono obiezioni molto sensate. Tuttavia credo che, quando parliamo di pregiudizio europeista, parliamo innanzitutto di un errore teorico; e gli errori teorici si sradicano solo con argomentazioni teoriche nel merito delle questioni. Putroppo non tutti posseggono la lucidità di Massimo Bontempelli (http://www.megachip.info/tematiche/beni-comuni/6751-2001-parole-profetiche-sulleuropa.html). Per questi motivi è necessario individuare i motivi alle base del pregiudizio europeista e affrontarli con determinazione.
Ora, a mio avviso la ragione per cui le parole dei “sovranisti” (utilizzo questo brutto termine per brevità) non vengono accolte sta nell'illusione che l'idea di una Europa Unita sia un concetto positivo in sé, e in subordine che comunque esso rappresenta un progresso inevitabile, da cui è impossibile ritirarsi. Esiste inoltre la tesi per cui l'Europa e l'Euro sono da sostenere in quanto possibili avversari della superpotenza USA.
Proverò, in poche righe, a dimostrare come questi due ultimi assunti siano falsi, e come il primo sia errato, almeno da quello che dovrebbe essere il nostro punto di vista.
Partiamo dal fondo, dall'Idea di una Europa anti-USA.
I sostenitori di questa tesi dovrebbero rispondere a tre domande.
1) Esattamente, quale tipo di ostacolo ha creato l'Europa (intesa come progetto di integrazione politica) agli Stati Uniti nel corso della sua più che cinquantennale storia?
Di sicuro sappiamo cosa hanno fatto gli USA per l'Europa (https://www.appelloalpopolo.it/?p=5360)
2) Come mai, dal punto di vista storico, le più importanti forze promotrici del processo di integrazione sono state le Democrazie Cristiane italiane e tedesche, proprio quelle forze politiche maggiormente soggette all'influenza degli USA?
3) Pensate davvero che l'Euro rappresenti una qualche minaccia per l'egemonia del dollaro? E come spiegate questo grafico?
http://upload.wikimedia.org/wikipedia/commons/1/12/Reserve_currencies.svg
Come si vede le riserve internazionali in Euro, nel 2010, non superavano di molto la somma delle riserve di Franchi, Marchi e altre monete europee prima del 2002. Nel frattempo il dollaro non è mai sceso sotto il 60%, pur scontando una certa volatilità del suo tasso di cambio. Se l'Euro serviva a insidiare il primato del dollaro il minimo che si può dire è che i risultati sono piuttosto scarni.
4) Perché in queste settimane e mesi gli americani stanno facendo di tutto per salvare l'Euro e l'Europa? Sono forse idioti?
L'ultimo punto è probabilmente il più importante. Nel corso del 2011 è emerso con tutta evidenza un asse tra Obama e Sarkozy, decisi a mantenere il loro controllo sull'Europa e il Mediterraneo (ovviamente non su un piano di parità). La sintonia tra i due capi di Stato è tale da far pensare che “Sarkoma” possa essere un nomignolo adeguato a descriverla (al posto dell'abusato “Merkozy”). Accessori di quest'asse sono, chiaramente, Sua Eccellenza Napolitano, il Senatore Monti, il Presidente Draghi e la direttrice del FMI, Christine Lagarde. Tale asse non si muove solo in ambito diplomatico, “finanziario” ed europeo, ma anche in campo militare e geopolitico: la distruzione della Libia è merito del Sarkoma. E -notare bene- sia sul campo del futuro dell'Euro, sia sulla questione libica, l'unica ad opporsi (sia pure abbastanza blandamente) alle trame del Sarkoma è stata la Germania di Angela Merkel. Proprio quella che l'Euro sembra volerlo distruggere, ed è stata per questo ampiamente rimproverata da Helmut Kohl. Cosa vuole significare tutto questo? È presto per rispondere, tuttavia una cosa è sicura: lo schematismo “UE contro USA” non è d'aiuto nella lettura dell'attualità politica internazionale.
Proseguiamo affrontando l'argomento che io chiamo dell'inganno demografico.
Da quando sono bambino sento affermare, dai banchi del parlamento fino al bancone del bar, che per “affrontare” le sempre crescenti popolazioni dell'ex- Terzo Mondo bisogna che i popoli della vecchia Europa si uniscano. L'unione riuscirebbe anche utile per “contare” davvero nello scenario di un “mondo nuovo”. A quanto pare, il mondo è cambiato perché più esseri umani lo abitano. E dato che ora ci troviamo con molta più gente tra i piedi, per esistere un entità statale deve essere più grossa. Sarebbe carino se qualcuno suggerisse delle soglie minime: quanti milioni di individui ci vogliono per contare in questo mondo nuovo? Ora, sarebbe semplice smontare questo argomento mostrando come paesi diversissimi tra loro, come la Turchia, il Sudafrica, l'Iran, l'Argentina, il Venezuela, la Malaysia, la Corea del Sud, la Thailandia, l'Australia, nessuno dei quali ha una popolazione superiore a quella tedesca, in questi anni si siano mostrati capaci di condizionare significativamente la politica internazionale, conservando -e spesso ampliando- autonomia e benessere. Associare etnie e popoli diversi tra loro sperando che questa serva ad aumentarne l'influenza non sembra essere una strategia efficace: ne è un esempio la Nigeria, il più popoloso paese africano, ricchissimo di petrolio e altre risorse, che però risente di un'impressionante frammentazione religiosa, etnica e linguistica, e che non riesce a sfuggire dalla morsa della miseria e della dipendenza dagli USA. Pensare che unire tra loro differenti paesi possa servire a renderne più efficace l'azione è come sperare che legando lo stesso palo alle caviglie di un gruppo di corridori questi possano correre più veloce. La compattezza, la coesione interna è un valore molto più grande delle mere dimensioni, almeno nell'ambito della politica internazionale; popoli dalle aspirazioni e dagli interessi diversi possono raggiungere i propri obiettivi solo agendo con flessibilità e in accordo con la propria vocazione, non dando vita ad unioni affollate, elefantiache e contraddittorie.
Insomma, sarebbe facile smontare questo argomento evitando di prenderlo sul serio. Tuttavia, voglio esaminarlo come se fosse una vera, credibile proposta politica, al fine di dimostrare quanto orribili possano essere le cose che diciamo quando non ci riflettiamo con l'adeguata ponderazione.
Si dice, i paesi europei non conteranno più nulla senza l'Europa. Ma che significa “contare”? Ebbene, nel gergo degli studiosi di Relazioni Internazionali, così come nelle menti dei tecnocrati di Bruxelles, l'espressione “contare” esprime il potenziale di stragi, rapine, soprusi e altre porcherie che uno Stato può in qualsiasi momento erogare ai suoi sfortunati vicini (ma grazie alle conquiste della scienza anche ai lontani). Quando un politico, o un tecnocrate, si affaccia al balcone televisivo proclamando “l'Europa deve unirsi per affrontare il mondo nuovo” le sue parole vanno tradotte con “quei maledetti negracci, simili a topi, non fanno altro che aumentare di numero e rosicchiando la nostra fetta di torta. Noi, Europei Eletti, dobbiamo mettere assieme talento e cacciabombardieri per tenere quella marmaglia al suo posto”. In questo senso, l'Europa assume i tratti di un astuto espediente delle vecchie potenze coloniali per conservare le proprie rendite di posizione. In genere, questi discorsi vengono accompagnati da cifre, che si vorrebbero terrificanti, sui futuri rapporti demografici tra nazioni. Si dice: “tra poco l'India rappresenterà il 20% della popolazione mondiale. Dobbiamo unirci in fretta, we happy few, o rischiamo di non contare nulla”. E lasciare che l'India conti per il 20% no? È forse un dramma che paesi che radunano l'1% della popolazione, come il Regno Unito, contino per l'1%? Gli inglesi devono a tutti i costi ingegnarsi per contare il 2, il 3, il 5? E questo sarebbe un proposito democratico? Per secoli i diversi popoli europei hanno portato morte e devastazione in tutti gli angoli del pianeta. E ora che lo sviluppo e la benedetta demografia sembrano schiudere orizzonti migliori a molti grandi un tempo a noi soggetti, non ci rassegniamo alla perdita dell'egemonia; anzi, ci mettiamo ad architettare un nuovo polo imperialistico europeo, destinato fatalmente a scontrarsi con le potenze emergenti, probabilmente da posizioni di forza.
Questa impostazione, questo scellerato progetto, gronda imperialismo da tutti i pori. Io non penso che tale disegno si realizzerà mai, e sicuramente non sulle basi dell'attuale Unione Europea, che considero nient'altro che uno strumento di dominio americano; tuttavia, questo non modifica la bieca natura imperialista dell'idea di una Europa Potenza. Alternativa dovrebbe rigettare con forza qualsiasi tendenza favorisca l'affacciarsi di un nuovo, terribile competitore nella già pericolosa arena dello scontro imperialismi.
Affrontiamo ora la questione dell'Europa in quanto progresso inevitabile e benefico. Esso vede nello Stato Nazionale un che di angusto, povero, superato e anacronistico. L'Unione Europea, invece, prefigurerebbe un ordine superiore, sovranazionale, più ampio e sviluppato di quello attualmente in vigore.
Questa visione può vantare un fondamento nell'esperienza storica? Io credo di no. Essa si fonda su una conoscenza piuttosto superficiale della storia europea. In realtà il concetto di Nazione, ben lungi da dall'essere un'imbarazzante anticaglia da cui liberarsi, rappresenta un'invenzione-anzi, una conquista- piuttosto recente nella millenaria avventura della Civiltà. L'ordine sovra-nazionale, al contrario, era il principio che ha retto il nostro continente dall'Alto Medioevo fino all'Età Moderna. Per secoli, infatti, è effettivamente esistito qualcosa di simile ad un popolo europeo: era la comunità dei cristiani, contrapposta positivamente ai barbari d'Oriente o del Sud, unita sotto la massima autorità spirituale, il Papa, e la massima autorità politica, l'Imperatore. Non esistevano veri e propri Stati, ma famiglie in armi (i Nobili), associate in una struttura piramidale (il feudalesimo) a cui era delegata dalla Chiesa la protezione dei fedeli cristiani dalle minacce del banditismo o dell'invasione straniera (saraceni, ad esempio). Non esistevano leggi, a meno di non considerare tali le consuetudini contadine oppure quel guazzabuglio di norme, derivate dall'interpretazione dei Vangeli o di ciò che rimaneva del diritto romano da parte di sacerdoti o di giuristi privati, che prendeva il nome di utroque ius (misto di diritto canonico e diritto comune). Il mondo che descrive Dante, in fondo .A fronte dell'apparente unità garantita dalla fede cristiana e dall'obbedienza all'imperatore ogni contrada, ogni borgo d'Europa gestiva i propri affari in quasi completa autonomia, mentre i feudatari venivano lasciati liberi di opprimere le campagne come meglio credevano. Gli storici chiamano questa fase di grande marasma assolutamente sovra-nazionale Particolarismo Giuridico, ossia la possibilità di qualsiasi “particolare” -sia esso feudo, ordine, comune o corporazione- di produrre le sue proprie “leggi”.
Questa fase fu superata proprio dal tanto vituperato Stato Nazione. Concentrandoci sulle vicende del Continente, vediamo che è la Francia il principale teatro della lotta tra il nuovo principio “statale” (sui libri troverete scritto “Assolutista”) e i difensori del vecchio ordine.
Fu l'Umanesimo cinquecentesco a fornire le prime giustificazioni ideologiche del desiderio del Re di legiferare al di fuori dei limiti impostigli da Papa e Imperatore. L'argomento principe di questi pensatori è che la volontà del Sovrano, ossia la Legge, è lo strumento più adatto per l'affermarsi della Ragione. La Legge è un punto di vista superiore che permette di guardare a tutti i soggetti della società con la stessa considerazione, indipendentemente dalla loro appartenenza a questo o a quell'Ordine, a questa o a quella stirpe. È la prima affermazione storica dell'Eguaglianza. Il diritto del Sovrano a legiferare, ossia il diritto dello Stato ad esistere, verrà affermato con forza da generazioni di sovrani francesi, nonostante le aspre contraddizioni con l'aristocrazia feudale: contraddizioni che portarono alla Grande Rivoluzione dell'89.
Della Rivoluzione in genere si ricordano le parole d'ordine “Libertà, Eguaglianza, Fratellanza”. Eppure ne esisteva una quarta: Nazione. Lo storico Franco Cardini, interrogato sull'origine storica delle categorie di Destra e Sinistra, risponde:
In sintesi, la parola Destra nasce – in contrapposizione alla parola Sinistra – all’inizio della grande Rivoluzione, per indicare chi resta fedele al Trono e all’Altare in contrapposizione al valore e all’ideale nuovo, la Nazione; e chi quindi, coerente con tale scelta, difende i valori delle comunità locali, dei corpi intermedi e delle loro antiche libertates contro il livellamento individualista ed egalitario imposto dal giacobinismo.
Per i rivoluzionari, eredi dell'Illuminismo, solo con la Nazione si possono garantire Libertà, Eguaglianza e Fratellanza. Nazione intesa come comunità omogenea, per valori e carattere, di un numero variabile di liberi individui: “una d'arme, di lingua, d'altare, di memoria di sangue di cor” per dirla col Manzoni risorgimentale. Per i decenni successivi alla Rivoluzione tutti i combattenti europei per il Progresso e l'Emancipazione dovettero scontrarsi contro un ordine prettamente sovra-nazionale, la Santa Alleanza, in nome della libertà delle Nazioni. Basti pensare a come Mazzini, profeta della Patria Italiana, spesso citato a sproposito in quanto “europeista” ante-litteram, sostenesse con vigore la lotta della Nazione Ungherese e Polacca contro l'oppressione dell'Impero Asburgico e dell'Impero Russo. Ma allora come mai il riferimento alla Nazione sembra essere trasmigrato dagli ambienti progressisti a quelli reazionari, degenerando in sciovinismo? Ce lo spiega ancora Cardini:
Il fatto è che, fra le “rivoluzioni” del 1830 e del 1848, una parte appunto di quella borghesia individualista e progressista, creatrice e promotrice del capitalismo liberistico contemporaneo, ha apparentemente accettato – in quanto spaventata dal crescer del “Quarto Stato”, dal montare della questione sociale – una parte delle posizioni della Destra tradizionalista: la Nazione e la Patria, nati come valori autenticamente di Sinistra, sono divenuti così valori di una “Destra nuova”, caratterizzata dall’alleanza tra i cascami ormai morenti dell’ancien régime e le borghesie ben decise a difendere i loro privilegi (..)
Furono Bismarck e Napoleone III, antesignani del moderno imperialismo, a pervertire i concetti di Patria e Nazione trasformandoli in strumento di inganno delle masse e di mobilitazione della carne da cannone proletaria. Il loro fine, tuttavia, aveva ben poco di “Nazionale”: miravano entrambi, come di lì a qualche decennio Hitler, a stabilire un ordine sovra che riunisse (e dominasse) tutti i popoli europei.
In generale sembra di poter dire che, mentre la recente (in termini storici) nascita degli Stati Nazionali rappresenta una feconda e ineludibile tappa dell'emancipazione umana, l'ideologia europeista celi in sé un richiamo ad un passato gerarchico, elitario e irremovibile. L'oblio della Nazione e dello Stato è la fuga dall'unico strumento politico che finora l'uomo abbia elaborato per sconfiggere la miseria, l'anarchia, la soggezione dei molti verso i pochi. È forse un caso che i fascismi, durante l'ultimo conflitto mondiale, riempissero i loro slogan di riferimento alla “missione della Civiltà Europea” alla “crociata dell'Europa Bianca”, oppure alla “lotta dell'Europa Proletaria contro il capitalismo giudaico”? È forse un caso che sia stato uno dei pensatori più ostili all'idea di liberazione dell'uomo dalla servitù e dalla sofferenza, Friedrich Nietszche, ad aver lasciato scritto:
“Che una identità l’europa abbia sempre cercato, questo può essere messo in dubbio soltanto dalle “follie nazionalistiche”
In conclusione:
1) L'idea di una Europa sovra-nazionale non rappresenta affatto un progresso rispetto allo Stato-Nazione, mentre questi rappresenta un fortissimo elemento di modernità rispetto all'Ancien Regime;
2) l'idea di un'Europa in quanto Polo imperialistico autonomo è nei migliore dei casi un progetto velleitario, nel peggiore un disegno da scongiurare a tutti i costi;
3) l'idea di un Europa contraltare degli USA contraddice sia l'esperienza storica degli ultimi decenni, sia l'attualità politica di queste settimane.
Caro Claudio,
segnalo che non sono soltanto alcuni mesi. Sono sceso nelle catacombe di internet per sostenere l'idea che segnali.
Nel Manifesto del Fronte Popolare Italiano, primo articolo pubblicato su questo sito e che esprime esclusivamente il mio punto di vista sulla vita e sul mondo (https://www.appelloalpopolo.it/?p=22), si legge: "
36. L’Europa è una organizzazione internazionale. Si può desiderare una organizzazione internazionale che comprenda tutti i paesi europei e al contempo desiderare la distruzione dell’Europa come essa oggi è: nel senso che si può volere l’Europa come organizzazione internazionale e al contempo desiderare l’abrogazione di tutti o di molti dei principi fondamentali enunciati dai Trattati europei e, quindi, la sostituzione dei principi abrogati con altri principi fondamentali."
Era, invero, un modo per essere "moderato" e cercare almeno un po' di consenso. Il mio pensiero era chiarito, tuttavia, da questo capoverso:
" 34. Non abbiamo alcun interesse a mantenere gli attuali equilibri geopolitici. Forte o debole, vogliamo che l’Italia sia indipendente ed autonoma: se debole, sarà comunque libera nella lotta. I nostri diritti e i nostri doveri sono sanciti dalla Costituzione Italiana; in Italia si trova la terra che amiamo; la lingua che parliamo è l’Italiano."
E nel primo articolo che scrissi per Alternativa (https://www.appelloalpopolo.it/?p=1431), nel quale tracciavo linee di un programma, così concludevo: "
Deve, tuttavia, essere chiaro che l’adozione di un simile programma implica che la forza politica che ci auguriamo che nasca sia contraria alla libera circolazione delle merci e dei capitali e quindi antieuropeista (il diritto comunitario prevede il franchising; consente al praticante avvocato di recarsi in Spagna e di diventare avvocato senza superare un esame di abilitazione; non consente misure protezionistiche; ecc.). Né ha alcun senso sfuggire alla necessità dell’antieuropeismo sostenendo che si è contro questa Europa e a favore di un’altra Europa. Sarebbe pura ipocrisia (se si è in mala fede) o ingenuità (se si è in buona fede). L’Europa è quella che è; quella che risulta dai trattati europei, i quali hanno una storia di parecchi decenni. Al più possiamo ammettere che i buonisti continuino a dire che essi vogliono un’altra Europa, che ci sarà tra trent’anni. Ora però sono chiamati a distruggere l’Europa che c’è".
Svolta la precisazione, ti ringrazio per l'eccellente articolo
Riconosco a Stefano di essere uno il primo, tra gli autori incontrati su internet, ad aver diffuso parole chiare sull’Europa. Quel che scrivo in un certo senso lo devo a lui.
Suggerisco una piccola modifica. Invece di:
"non serve che tu sia economista, ingegnere, avvocato, sindacalista, filosofo o semplice programmatore informatico per riconoscere il problema"
va meglio:
"non serve che tu sia economista, ingegnere, avvocato, sindacalista, programmatore informatico o semplice filosofo per riconoscere il problema"
Un saluto…:-)
Grazie del simpatico commento! In realtà quel “semplice” non stava a indicare una qualche inferiorità della categorie degli informatici, ma voleva essere una stoccattina ad un mio amico, vero programmatore informatico, e vero intellettuale anti-euro (e quindi pro-vita).
Per il resto, w i programmatori, senza i quali gran parte della nostra vita attuale non sarebbe semplicemente possibile.
Martini nel suo testo come al solito molto ben argomentato, mette correttamente in luce come lo Stato-Nazione sia un portato della Modernità contro il Medioevo. Tace però sul fatto che una tipica espressione della Modernità, il marxismo, è stato assolutamente critico verso lo Stato-Nazione prodotto dalle borghesie e dai monarchi alleati delle borghesie nazionali per limitare i poteri dell'alta aristocrazia. L'inno dei comunisti si chiama "Internazionale" e due suoi versi dicono: "non più nemici, non più frontiere/ con ai confini rosse bandiere". Si parla ancora di confini ma solo per piantarvi bandiere che segnalino l'abbattimento delle frontiere. Il Mussolini capo della sinistra rivoluzionaria al tempo della guerra di Libia gridava nei comizi: "il tricolore è uno straccio da piantare sui letamai". Il Mussolini convertito all'interventismo allo scoppio della Grande Guerra sosteneva che il conflitto, mobilitando le grandi masse e mettendo in crisi le finanze e l'economia, avrebbe creato le condizioni per la rivoluzione. Una rivoluzione concepita come internazionale. Allo stesso modo ragionavano Gramsci e Togliatti, che furono interventisti. La prospettiva di grandi movimenti di dimensioni continentali e internazionali non è affatto peregrina. Ne sono esempio il 1848, il 1968, il femminismo, il movimento no-global, la primavera araba. Non importa l'esito spesso o sempre deludente di quei movimenti. Quello che importa è prendere atto che grandi moltitudini possono muoversi sincronicamente e per obiettivi comuni in una dimensione continentale. Chiudersi nella prospettiva di "patria e socialismo" è una proposta allettante ma dubito che sia adeguata ai nostri tempi. Fra l'altro, su questa via è prevedibile incontrare compagni di strada in camicia nera (un socialismo nazionale è perfettamente compatibile col neofascismo, che ne vanta anzi una primogenitura). La cosa non mi turba, ma temo che turberebbe molti altri. Proprio perché il programma di D'Andrea è una cosa seria e degna della massima attenzione, è bene vederne tutti i risvolti, anche quelli più imbarazzanti.
Mi permetto laconicamente, e senza astio alcuno, di far notare che l'alternativa ai risvolti imbarazzanti di una prospettiva nazionale e patriottica sia l'estinzione fisica e metafisica di noi tutti, della nostra cultura, della nostra storia.
Dopodichè, i riferimenti al '68, al femminismo e alla primavera araba in quanto movimenti spontanei progressisti capace di sommuovere masse volenterose, è un riferimento ingenuo che denota alcune lacune nel campo della geopolitica e delle strategie da "quinta colonna" (o come diavolo le chiamano). Per quel che riguarda invece le rivoluzioni del 1848, ricordiamo che la scintilla scatenante, il sentire alla base della sommossa furono proprio la percezione di una appartenenza alle identità nazionali contro il "sovra" imperialistico teologico e aristocratico.
In effetti mi turberebbe. Ma accetto il rischio.
Volevo ringraziare il signor Martini per questo commovente (parlo sul serio) articolo.
Grazie.
Grazie mille a lei. Sono contento di averle trasmesso un’emozione.
Premetto che sono totalmente d'accordo con l'assunto di fuoriuscita da questa Europa,per tanti motivi qui inutili da illustrare e che cetamente conoscete.
Dei tre punti indicati come motivo di incomprensione delle tesi antieuropeiste,ritengo meno importante il secondo, l'aspetto demografico.
Credo però che il motivo fondamentale delmancato accoglimento delle nostre ragioni,sia la grande disinformazione dei media.Facile da contrastare per il popolo del web,molto meno per la grande fetta di popolazione esclusa e che ha come fonte informativa giornali e specialmente tv,dove rarissimamente si ha modo di illustrarle e quando succede,il malcapitato oratore é oggetto di scherno ed ironia financo dal conduttore,come é capitato a Barnard in una puntata di Matrix.
A questo va aggiunta la completa insensibllità dell'intera classe politica,incapace di prender posizione e succube in molti casi.
Le nostre argomentazioni non sono difficili e le opinioni di economisti spesso prezzolati,contano poco.Conta invece molto che si riesca a veicolarle molto parzialmente al grande pubblico,nonostante l'impegno di molti.E' pur verro però,che di fronte a quanto sta accadendo,molti hanno aperto gli occhi.Sempre pochi,comunque.
Saluti
Johnny
(gruppi Fb,NO EUROPA e FREE YOUR MIND)
Eccellente analisi politica quella di Claudio Martini.
Appello al popolo si sta rivelando sempre più come il sito internet dove meglio si analizzano le ragioni di una politica da reinventare. Grazie Stefano.