Sistema elettorale e partiti politici*
di Stefano D’Andrea
Il titolo della mia relazione allude soltanto parzialmente al contenuto, perché in realtà vorrei – ovviamente soltanto con brevi notazioni, per esigenze di tempo – trattare due aspetti, non soltanto quello accennato nel titolo.
In primo luogo, vorrei sollevare la domanda sul rapporto che corre tra le possibilità del sistema proporzionale di esplicare le sue potenzialità – potenzialità che considero acclarate e che sono state esposte dalla relazione del professor Canfora – e l’esistenza di (almeno) un partito popolare serio, con dirigenti esclusivamente di estrazione popolare e piccolo borghesi, organizzato in modo che definirei classico, quindi con un potere di controllo e direzione sia della disciplina e della crescita caratteriale e culturale dei militanti, sia della formazione e selezione delle classi dirigenti. E’ questo il tema accennato nel titolo e mi chiedo se il proporzionale sia vuoto ed inutile senza il partito o i partiti con le caratteristiche accennate.
In secondo luogo – e questo profilo del mio intervento non risulta dal titolo – mi domando se all’interno dell’Unione Europea, possa minimamente svolgere la propria funzione un partito che abbia le caratteristiche indicate, e che, coerentemente con la sua composizione sociale, sia dirigista e, direi, socialista in senso lato, ossia aspirante alla piena occupazione e consapevole che esistono svariate ragioni, economiche e non economiche, per limitare il potere del grande capitale con una impostazione di politica economica dirigista che variamente limiti o escluda in certi settori la libertà di iniziativa privata. In sintesi, un partito che voglia tornare ad attuare la nostra Costituzione per quanto riguarda la disciplina dei “rapporti economici”, ispirandosi ad alcuni istituti chiave della Prima Repubblica.
I Primo profilo.
Rispondo subito a questa seconda domanda. La risposta è no.
Negli ultimi 20-30 anni in tutti gli Stati europei abbiamo assistito ad un continuo regresso della presenza dello Stato nell’economia e a un aumento delle disuguaglianze, non soltanto per quanto riguarda il rapporto, molto di moda ma poco significativo, tra l’un per cento più ricco e il rimanente 99%, bensì anche in base al più serio criterio della distanza tra il 20% più ricco e il 20% più povero, ossia al criterio con il quale le socialdemocrazie nordiche solevano giudicare se stesse. I sistemi elettorali proporzionali, rimasti pressoché inalterati in Svezia, Portogallo e Germania, non hanno impedito che in questi tre Stati il fenomeno si verificasse in maniera analoga rispetto ad altri Stati.
Si potrebbe obiettare che si è trattato di una tendenza affermatasi in tutto l’occidente, anche fuori dall’Europa, e che il problema è in realtà il neoliberalismo del popolo e delle classi dirigenti. Vere tutte e due le osservazioni ma esse non sono tuttavia idonee a rimuovere la particolarità della situazione europea
Almeno per tre ragioni:
in primo luogo, in Europa il neoliberalismo è stato imposto per la necessità di attuare i Trattati europei, mentre altrove si è trattato di una scelta che non ha avuto, per così dire, un fondamento costituzionale e che quindi è più agevolmente reversibile o, se si vuol essere più precisi, è reversibile con un mutamento di politiche al livello di legislazione ordinaria;
in secondo luogo, i vincoli europei – che non sono soltanto quelli giuridici, ma anche quelli di fatto, perché certe scelte divengono impossibili come conseguenza indiretta dei vincoli giuridici (senza aiuti di stato, una nuova IRI non è possibile e pensabile, per recare un esempio macroscopico) i vincoli europei, dicevo, impedirebbero e impediscono politiche minimamente sociali, tanto che mi sento di poter affermare che se al Governo oggi avessimo Palmiro Togliatti ,Ricardo Lombardi, Antonio Pesenti, Pasquale Saraceno, Amintore Fanfani ed Ezio Vanoni, il Governo potrebbe fare pochissimo di più e di meglio rispetto a ciò che fa l’attuale Governo e hanno fatto i precedenti (naturalmente parlo del profilo economico-strutturale, sotto il profilo sovrastrutturale sono tante le cose che quel governo potrebbe fare).
infine è significativo che la Svezia sia passata da un rapporto tra la ricchezza del 20% più ricco e quella del 20% più povero pari a tre a un rapporto pari a 4,5, mentre la Norvegia, rimasta fuori dall’euro e dalla UE, ha mantenuto un rapporto di 3,5.
In definitiva sentivo la necessità di ribadire che partito, classe dirigente e proporzionale non servono assolutamente a nulla se si è vincolati a rispettare una Costituzione economica neoliberale (i Trattai Europei), la quale, a differenza di quella Italiana del 1948, non è programmatica e non si limita a fissare principi e indicare mezzi ma pone vincoli e divieti precisissimi, vincoli e divieti che di fatto impediscono anche scelte astrattamente libere. Quindi, credo che taluni toni del discorso di Togliatti, citato nell’aureo libretto del Professor Canfora, fossero esagerati , o meglio strettamente connessi al problema contingente della legge truffa, esagerati, voglio dire, nell’attribuire alla legge elettorale proporzionale un valore Costituzionale se non superiore almeno pari alle norme della Costituzione economica. Invece, come avevano sottolineato Togliatti, Di Vittorio e in generale i comunisti e i socialisti (ma anche molti personalisti cattolici) in Assemblea Costituente, la grande novità della nostra Costituzione si trovava nella disciplina relativa ai rapporti economici. Oggi non abbiamo più una Costituzione socialisteggiante e dirigista, che detta un programma, né abbiamo, almeno, una Costituzione economicamente “neutrale”, come erano le Costituzioni dell’ottocento, che quindi consentivano alcuni progressi sociali o almeno una tendenza alla statalizzazione che poi agevola la socializzazione. Abbiamo invece una minuziosissima “Costituzione” neoliberale che lascia spazio soltanto a politiche neoliberali. Una Costituzione che impone il regresso sociale.
Si tratta di una vera novità nella storia del mondo. Perciò, scambierei volentieri, per il momento – se potessi scegliere – il proporzionale in cambio della fuoriuscita dall’Unione. Perché quest’ultimo evento va considerato, e, per buon augurio, voglio dire, sarà, epocale.
II Primo profilo.
Per quanto riguarda il secondo profilo vorrei parlare del partito nel quale militavo da studente universitario, il PDS, e da studente liceale dal 1985, l’ultimo PCI, il partito che fu decisivo per l’abbandono del proporzionale. Lo farò accennando a tre episodi (ma potrei citarne decine), che ovviamente valuterò con le capacità di valutare che ho oggi e che allora non avevo.
Negli anni 1989-1990 un giorno si e l’altro pure l’Unità pubblicava articoli di Gianfranco Pasquino, allora senatore della Sinistra Indipendente, eletto nelle liste del PCI. Gli articoli peroravano la causa del maggioritario. Ovvio che un giovane studente di giurisprudenza come me, uno di quelli che la mattina prima di recarsi in Università, acquistavano ritualmente e immancabilmente l’Unità, si fosse convinto di quella necessità e si recasse a firmare nel suo Comune per i referendum (fui secondo sottoscrittore; la prima firma era di uno storico funzionario del PCI della mia cittadina, allora consigliere regionale). Organizzammo anche una iniziativa come studenti della FGCI de La Sapienza e invitammo – vien da sorridere a pensarci – Gianfranco Pasquino e Mario Segni.
Il 13 novembre 1991 si discute in Senato, nella sesta commissione, Finanze e Tesoro, l’approvazione di una legge di uno o due articoli, destinata a trasferire dal Ministro del Tesoro al Governatore della Banca d’Italia il potere di decidere “Le variazioni alla ragione normale dello sconto e alla misura dell’interesse sulle anticipazioni in conto corrente e a scadenza fissa presso la Banca d’Italia”. Fino ad allora il Governatore proponeva e il Ministro del Tesoro decideva, in base ad una norma, che risaliva al regio decreto 28 aprile 1910, n. 204 (non ho indagato quale fosse la previgente disciplina ma lo farò). Guido Carli, ministro del Tesoro, è assente e per lui riferisce il sottosegretario Sacconi. Ecco cosa dice: “l’iniziativa del Governatore riveste un carattere discrezionale e si estrinseca in un atto di proposta, cui fa seguito l’adozione del provvedimento formale che assume la veste di decreto del Ministro del tesoro. L’esigenza di armonizzare l’ordinamento interno con le normative degli altri paesi industrializzati e di rendere più tempestiva l’adozione degli strumenti di politica monetaria in questione ha indotto ora il Governo ad introdurre una norma che riconosca effetti immediati alle determinazioni del Governatore della Banca d’Italia in ordine alle variazioni del tasso ufficiale di sconto e della misura dell’interesse sulle anticipazioni”. Una argomentazione risibile: se i due come ovviamente è sempre successo si son sentiti per telefono, tra la proposta e la decisione possono decorrere pochi secondi; né credo che la proposta fosse pubblica, e il potere del ministro ovviamente non era “formale”, perché un Governatore si sarebbe guardato bene dal proporre una variazione non concordata o non richiesta dal Ministro del tesoro. Stiamo parlando di trasferire un potere importantissimo dal Governo alla Banca d’Italia!
Ebbene in Commissione è presente un certo Senatore Carmine Garofalo del PDS che per primo “preannuncia il voto favorevole del Gruppo Comunista-PDS sul provvedimento, in quanto esso riconosce alla determinazione del Governatore un immediato rilievo esterno e formale, senza attendere la formulazione del decreto ministeriale. Con analoghe considerazioni – dicono i lavori parlamentari – “preannunciano il voto favorevole sul provvedimento i senatori CAVAZZUTI (a nome del Gruppo della Sinistra indipendente)” e altri. Ora, se è dato ipotizzare che il senatore Garofalo non capisse nulla di cosa stava concorrendo a decidere, non è possibile credere che Cavazzutti, docente di scienza delle finanze, davvero credesse che si trattasse di un lacciuolo inutile, sulla base della considerazione ingannevole che il Ministro del Tesoro non aveva mai smentito il Governatore: Cavazzutti sapeva che il Ministro del Tesoro non aveva mai smentito il Governatore perché si erano sempre previamente sentiti!.
Terzo e ultimo episodio. Siamo sempre nella sesta commissione del senato il 19 maggio 1993. Stanno smantellando il sistema della riserva obbligatoria, che convogliava fino al 23% (allora già il 17%) del nuovo risparmio mese per mese in una riserva presso la banca d’Italia, che utilizzava la riserva per acquistare bot e in parte titoli a più lunga scadenza, facendo scendere i tassi, nonché lo scoperto di conto corrente del tesoro presso a banca d’italia, che copriva fino al 14% delle spese ad un tasso fisso dell’1% e che anch’esso abbassava il costo complessivo del debito pubblico. Nessuno osserva che senza i due istituti giuridici i tassi di interesse sul debito si sarebbero alzati e il Governo avrebbe perso il potere di controllare il costo del debito dello Stato e tutti credono (erroneamente) che le banche, senza il vincolo della riserva obbligatoria avrebbero fatto più credito abbassando i tassi di interesse (la discussione è surreale ma alcuni mentono, altri credono ormai alla dottrina neoliberale e altri non capiscono). Ebbene il senatore Garofalo, sempre lui anche nella XI legislatura dichiara: “Innanzitutto c’è da chiedersi chi deve fare da regolatore della circolazione monetaria… Francamente vista la situazione concreta che ci troviamo davanti, valutata la fase storica e politica, la mia prima risposta è che debba essere oggi la banca d’Italia”. Il PDS va finalmente al Governo nel 1993 e per prima cosa si auto-sottrae il potere monetario!
Cosa intendo dire con questi tre esempi? Intendo chiarire che se un partito non è in grado di produrre una classe dirigente (come quella magnificamente rappresentata dal discorso di Togliatti), se deve ricorrere ai tecnici della sinistra indipendente, che come Cavazzutti prendono in giro il partito che li ha eletti (ma oltre a Cavazzutti e a Pasquino si potrebbe citare Cassese, teorico della disintegrazione degli stati nazionali e lodatore dell’Unione Europea priva di sovrano nella quale un ruolo – lo dice in senso positivo – lo svolgono le lobby, e che in quegli anni imperversava nei convegni del Centro per la Riforma dello Stato; o Spaventa, che, come è noto, fece una inversione a U praticamente su tutto, divenendo ultraliberale o Bassanini che guidò il PDS sulla strada delle dubbie riforme della pubblica amministrazione) e se colloca in posizioni importantissime militanti come il senatore Garofalo, che non capisce nulla di ciò che esamina e delibera, se un partito non si rende conto che sta demolendo l’ossatura del diritto valutario (era accaduto pochi anni prima e accadrà con l’approvazione di Maastricht) e del potere monetario dello Stato, se insomma il partito non si rende conto che sta distruggendo la Prima Repubblica per tornare a un diritto pubblico dell’economia neoliberale, se non sa che il diritto privato dell’economia , in particolar modo la disciplina del rapporto di lavoro subordinato, privato e pubblico, è condizionato dal diritto pubblico dell’economia, allora quel partito, quand’anche abbia le migliori intenzioni, e quand’anche sia vigente il sistema elettorale proporzionale, non può fare nulla. E facilmente farà danni.
Ecco, io credo che esista una santissima trinità dei socialisti (ma anche dei personalisti che non vogliano limitare le attenzioni alla vita biologica e ai disperati, italiani o stranieri): la Costituzione economica, che oggi non c’è, perché ci sono i Trattati Europei; il partito come luogo di crescita dei militanti e di formazione e selezione della classe dirigente, che è il pilastro sul quale si può costruire (anzi che può costruire, perché è soltanto il partito che costruisce il futuro del popolo), e che oggi non c’è ed è qualcosa di difficilissimo da ricostituire; e il proporzionale, che per pura fortuna, non per volontà del popolo o per merito di un partito, è tornato, sebbene in forma spuria e parziale e soltanto per le elezioni politiche nazionali.
Difendere come possiamo il proporzionale da futuri attacchi e impegnarci con pazienza, disciplina e rigore a costruire il partito del recesso dai Trattati europei è tutto ciò che dobbiamo e possiamo fare, come cittadini, nel periodo storico che ci troviamo a vivere.
*Relazione svolta a Bari il 7 giugno 2019, presso la libreria Laterza, nel convegno Come si svuotano le democrazie, organizzato dal CPR-Centro studi per la Costituzione e la Prima Repubblica.
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