Profili di incostituzionalità dell’obbligo vaccinale contro il virus SARS CoV-2
1. Nell’area politica che considera gravemente inopportuna l’introduzione dell’obbligo del vaccino anti SARS CoV-2, alla quale l’autore di queste note fieramente appartiene, si vanno diffondendo pareri estemporanei e improvvisati relativi alla incostituzionalità, data per certa, della disciplina che ha introdotto l’obbligo vaccinale per alcune categorie di soggetti. Più che di pareri, in realtà, si tratta di declamazioni o di osservazioni superficiali, talvolta esternate appena conosciuto il testo legislativo, senza aver prima svolto una riflessione sufficientemente approfondita e letto almeno la giurisprudenza della Corte Costituzionale in materia di trattamenti sanitari obbligatori.
Simili esternazioni fanno correre il rischio di trasformare ogni ragione di inopportunità in ragione di illegittimità. Ma così non è. Esiste una sfera di discrezionalità del legislatore, che può prendere provvedimenti legittimi, anche se reputati inopportuni da esigue minoranze di cittadini, o da rilevanti minoranze o persino dalla maggioranza dei cittadini. Non tutte le ragioni di inopportunità si trasformano, in modo automatico, in ragioni di illegittimità (costituzionale).
Senza pretendere di scrivere un parere, che implicherebbe non soltanto un grande e approfondito studio, per il quale non ho tempo, ma che soprattutto andrebbe scritto da uno specialista della materia – un costituzionalista e magari uno studioso dei trattamenti sanitari obbligatori – e non da uno studioso di altre discipline giuridiche, come il sottoscritto, pubblico queste note al solo fine di sgombrare il campo da alcune semplificazioni, che in quanto tali sono sempre banalizzazioni e quindi falsificazioni della verità, nonché da qualche equivoco.
2. Intanto vediamo cosa ha previsto il legislatore nell’art. 4 del D.L. 1 aprile 2021, n. 44.
Il legislatore ha previsto l’obbligo vaccinale per “gli esercenti le professioni sanitarie e gli operatori di interesse sanitario che svolgono la loro attività nelle strutture sanitarie, sociosanitarie e socio-assistenziali, pubbliche e private, nelle farmacie, parafarmacie e negli studi professionali”. Al termine di una complessa procedura volta ad individuare le persone tenute a vaccinarsi, salvo che provino che esiste “un pericolo per la salute, in relazione a specifiche condizioni cliniche documentate, attestate dal medico di medicina generale” (in tal caso “la vaccinazione… non è obbligatoria e può essere omessa o differita”), “l’azienda sanitaria locale competente accerta l’inosservanza dell’obbligo vaccinale e, previa acquisizione delle ulteriori eventuali informazioni presso le autorità competenti, ne dà immediata comunicazione scritta all’interessato, al datore di lavoro e all’Ordine professionale di appartenenza. L’adozione dell’atto di accertamento da parte dell’azienda sanitaria locale determina la sospensione dal diritto di svolgere prestazioni o mansioni che implicano contatti interpersonali o comportano, in qualsiasi altra forma, il rischio di diffusione del contagio da SARS-CoV-2”.
Per i lavoratori subordinati, è previsto che “Ricevuta la comunicazione di cui al comma 6, il datore di lavoro adibisce il lavoratore, ove possibile, a mansioni, anche inferiori, diverse da quelle indicate al comma 6, con il trattamento corrispondente alle mansioni esercitate, e che, comunque, non implicano rischi di diffusione del contagio. Quando l’assegnazione a mansioni diverse non è possibile, per il periodo di sospensione di cui al comma 9, non è dovuta la retribuzione, altro compenso o emolumento, comunque denominato”. La sanzione, dunque, per i lavoratori dipendenti, è in linea di principio un mutamento delle mansioni, eventualmente un demansionamento, e soltanto ove non sia possibile, la sospensione dello stipendio. Perciò, dipendenti che svolgano il ruolo di segretari, avvocati delle usl o ruoli amministrativi, o che comunque non abbiano rapporti fisici con i pazienti, non dovrebbero subire il mutamento delle mansioni. Ma naturalmente sorgeranno dubbi interpretativi. In senso estensivo, quasi tutti i dipendenti delle strutture sanitarie, anche un cuoco o un barista, rischiano di diffondere il contagio. Ma così intesa la norma, non dovrebbe essere mai o quasi mai possibile la modifica delle mansioni; perciò andrà adottata una interpretazione ragionevole, che renda sensata la disciplina che prevede la possibilità di semplice modifica delle mansioni.
La sospensione è ovviamente a tempo, trattandosi di una sospensione: “La sospensione di cui al comma 6 mantiene efficacia fino all’assolvimento dell’obbligo vaccinale o, in mancanza, fino al completamento del piano vaccinale nazionale e comunque non oltre il 31 dicembre 2021”. Insomma il legislatore ha previsto che, una volta consentito a tutti i cittadini che vogliono vaccinarsi di potersi vaccinare e comunque non oltre il 31 dicembre 2021 (data entro la quale il legislatore è evidentemente sicuro di completare il piano di vaccinazione), i soggetti sottoposti all’obbligo vaccinale possano tornare a svolgere le libere professioni o il loro ruolo di dipendenti nelle mansioni che avevano prima della sospensione, pur non essendo vaccinati. Infatti, a quel punto, essi potranno infettare soltanto pazienti che hanno scelto di non vaccinarsi.
3. Come è noto, in forza dell’art. 32, comma 1, Cost., i trattamenti sanitari obbligatori possono essere previsti “per disposizione di legge”. Aderendo a certi orientamenti da sempre minoritari e ormai completamente recessivi, si può credere che alcune riserve di legge alludano soltanto alla legge formale e non anche agli atti aventi forza di legge, ossia ai decreti legge e ai decreti legislativi.
Tuttavia, questi orientamenti non sono mai stati accolti dalla Corte Costituzionale. A parte alcuni casi espressamente previsti (art. 72, 4° co., Cost.), che hanno oggettive peculiarità e che la dottrina non considera nemmeno come vere riserve di legge (formale), la Corte Costituzionale ha inteso le riserve di legge non come riserva di organo, bensì come riserva di livello normativo. Le istanze garantistiche, che erano a fondamento delle tesi che richiedevano, in una o altra materia, una riserva di legge formale, hanno dovuto prendere atto della realtà, che può piacere o meno, relativa al modo di approvazione dei principali provvedimenti normativi. Anche in materia penale abbiamo avuto numerosi decreti legge che hanno introdotto fattispecie incriminatrici. Sicché, l’argomento per cui l’obbligatorietà del vaccino produrrebbe effetti ineliminabili, nel caso in cui il decreto legge non venisse convertito, contrasta con il fatto che anche la mancata conversione di un decreto legge che introduce una fattispecie penale, comporta che certi “effetti” (arresto in flagranza, custodia cautelare, eventuale condanna per giudizio direttissimo) siano “ineliminabili”. Per questa strada, insomma, non si passa.
4. La riserva di legge è rafforzata, nel senso che non soltanto il trattamento obbligatorio può essere previsto soltanto da una norma di legge o di atto avente forza di legge ma “La legge non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana” (art. 32, comma 2, Cost.).
Non si può sbrigativamente affermare che imporre un vaccino che una persona consideri pericoloso per la sua salute non rispetti la persona umana. La Corte Costituzionale ha avuto modo di affermare che “È manifestamente inammissibile, deducendosi la inopportunità delle norme denunciate, la questione di legittimità costituzionale degli art. 1 e 3 l. 4 febbraio 1966 n. 51, nella parte in cui, imponendo la vaccinazione antipoliomelitica sembrerebbe violare i limiti del rispetto della persona umana, comprensiva non solo della sua natura fisica ma dei convincimenti relativi alla salvaguardia della integrità fisica stessa, riguardanti sostanzialmente nella specie la scarsa utilità ed anzi la probabile dannosità del summenzionato mezzo profilattico, sollevata, in riferimento all’art. 32 cost. dal pretore di Torino, con ordinanza emessa il 19 maggio 1987. Le affermazioni del giudice remittente sono sostanzialmente di carattere metagiuridico e non precisano i profili di un’effettiva violazione dell’art. 32 cost. (v. sent. n. 39 del 1977), contrapponendo ad una legge palesemente intesa alla tutela della salute un generico e soggettivo convincimento della sua inopportunità” (Corte Cost. 2.2.1988, n. 134, in Giur. Cost., 1988, I, 459). Per comprendere a cosa si riferissero i Costituenti quando posero il limite del “rispetto della persona umana”, si può leggere l’intervento in Assemblea Costituente dell’on. Caronia, nella seduta del 24 aprile 1947: “…non vogliamo pensare che possano mai affermarsi nel nostro Paese pratiche che comunque possano ledere la personalità umana, quali la sterilizzazione obbligatoria, l’obbligo della visita prematrimoniale e simili aberrazioni.”
La sentenza della Corte Costituzionale testé citata e tutte le altre numerosissime sentenze emesse in materia di vaccinazione obbligatoria, con riguardo alla L. 4 febbraio 1966, n. 51, implicano anche il rigetto dell’idea, priva di ogni senso, che tra i trattamenti sanitari obbligatori, che possono essere imposti per disposizione di legge, non possano essere ricompresi, a priori, gli obblighi vaccinali. Tra l’altro, deve essere chiaro che non si sta parlando di una vaccinazione coercitiva, bensì obbligatoria, alla quale ci si sottrae subendo le sanzioni.
5. Tuttavia, nel nostro caso, si potrebbe tentare di sostenere che la legge non rispetta la persona umana, non perché imponga trattamenti che il singolo soggetto, in base a motivazioni soggettive e personali, reputi inutili o dannosi o eccessivamente rischiosi, bensì perché obbliga all’assunzione di farmaci dei quali l’autorità regolatoria, per ragioni di salute pubblica, ha autorizzato l’immissione in commercio “sulla base di dati clinici meno completi di quanto normalmente richiesto, laddove il beneficio della disponibilità immediata del medicinale superi il rischio inerente al fatto che sono ancora necessari dati aggiuntivi”. Il ricorso all’autorizzazione condizionata è previsto anche “per un’emergenza di salute pubblica (ad esempio una pandemia). Per questi medicinali possono essere accettati anche dati farmaceutici e non clinici meno completi” (in corsivo frasi tratte dal sito dell’EMA).
Si potrà dunque tentare di sostenere che, se è sensato e ragionevole prevedere che in determinate ipotesi vengano immessi in commercio farmaci sulla base di una autorizzazione condizionata, senza i dati clinici e farmaceutici normalmente richiesti, non è sensato, ma è lesivo della personalità umana, strumentalizzare quest’ultima imponendole farmaci che sono in circolazione soltanto in base a una autorizzazione condizionata, e quindi senza che siano stati ancora prodotti raccolti e valutati i dati clinici e farmaceutici normalmente richiesti. La revoca dell’autorizzazione al vaccino AstraZeneca avvenuta in molti paesi europei (e la mancata autorizzazione negli Stati Uniti) dimostrano che ostano all’obbligo vaccinale, non convincimenti soggettivi di singole persone o studi minoritari, ma circostanze oggettive, che determinano quanto meno una incertezza oggettiva sul fatto che si stia strumentalizzando la persona umana (in questo caso gli appartenenti a certe categorie) per finalità di salute pubblica.
Si potrebbe inoltre aggiungere che probabilmente anche per questa incertezza oggettiva, nessun paese fino ad ora ha imposto l’obbligo vaccinale, di massa o a categorie di soggetti.
È evidente che la Corte Costituzionale avrà in questa materia un’ampia discrezionalità nell’affermare che le incertezze oggettive siano tali e tante da far correre il rischio o invece da non far correre il rischio della strumentalizzazione della persona umana, sebbene la astratta possibilità di una decisione di infondatezza, che fosse seguita da diffusi effetti dannosi o catastrofici dei vaccini, potrebbe indurre almeno una parte dei giudici della Corte ad assumere una posizione non favorevole alla scelta del legislatore. Si tratta, dunque, di un argomento di media forza, che tuttavia sarà utile invocare a fondamento della questione di costituzionalità.
6. Non sembra invece che, esclusi, in ipotesi, altri profili di incostituzionalità, possa essere contestata la ragionevolezza delle sanzioni previste per coloro che, essendo obbligati, rifiutino di vaccinarsi. Si tenga conto che la Corte tende a non intromettersi, e non deve intromettersi, in quelle che sono scelte discrezionali del legislatore, salvo che essa reputi che si tratti di scelte arbitrarie.
E nel nostro caso, tutto sommato, il legislatore ha seguito una linea logica: quando il piano di vaccinazione nazionale sarà completato, e comunque non oltre il 31 dicembre 2021, i cittadini, che rischieranno di essere infettati dal personale sanitario non vaccinato, subiranno questo rischio per una loro scelta, perché avranno deciso di non vaccinarsi; perciò scaduto il termine, il personale obbligato potrà tornare alle mansioni precedenti e a svolgere la libera professione, senza doversi vaccinare. Se il vaccino fosse sterilizzante, come invece non è (si veda il § 7) e i vaccini fossero stati autorizzati senza condizione, se quindi non ricorressero i due unici profili di incostituzionalità della disciplina (generale; qui si trascurano ipotesi di illegittimità di singole disposizioni che non intaccherebbero la complessiva disciplina dell’obbligo vaccinale), la scelta sanzionatoria del legislatore sarebbe sensata e comunque non arbitraria. Quindi, qualsiasi questione di costituzionalità che fosse fondata sulla pretesa arbitrarietà del trattamento sanzionatorio, è destinata ad essere respinta dalla Corte.
7. Esiste tuttavia un argomento forte a sostegno della incostituzionalità dell’obbligo vaccinale. Esso risiede nella infondatezza del presupposto (o ragione) di fatto che giustificherebbe la scelta legislativa: non è provato che i vaccinati si infettino di meno (sia pure in forma asintomatica o con malattia più spesso lieve) e contagino di meno dei non vaccinati.
È chiaro infatti che il presupposto di fatto della disciplina che impone l’obbligo vaccinale è che il personale sanitario non vaccinato sia più esposto ad infettarsi rispetto a quello vaccinato e sia più contagioso di quello vaccinato. Tuttavia questa, fino a quando non saranno pubblicati amplissimi studi, che raccolgano una grande mole di dati empirici, relativi a mesi di esperienza, è chiaramente una illazione, nemmeno una supposizione. E comunque non si può imporre un trattamento sanitario obbligatorio sulla base di una supposizione.
Il presupposto per rendere legittima la scelta dell’obbligo vaccinale – salvo sempre il dubbio di costituzionalità dovuto al carattere condizionato dell’autorizzazione alla messa in commercio dei farmaci – è che vi siano prove certe e inequivocabili che i non vaccinati siano significativamente più contagiosi dei vaccinati. Significativamente, perché una differenza minima del 5 o 10 o 15% renderebbe sproporzionato l’obbligo vaccinale.
Orbene, intanto per accertare il presupposto di fatto sono necessari studi che durino mesi e che raccolgano una enorme mole di dati.
Per ora non soltanto non ci sono questi studi, se non altro per mancanza di tempo, ma la cronaca segnala casi che dimostrano che i vaccinati si infettano molto facilmente e che contagiano le persone che vengono a contatto con loro.
Per cercarli, basta googlare con le parole “RSA” “vaccinati” “positivi” e vengono fuori già oltre un centinaio di casi, dei quali ha trattato la stampa locale. Qualche volta in realtà i vaccinati infettati sono dipendenti ospedalieri.
Ebbene, se la lettura di queste notizie della stampa locale lascia intendere che per ora i vaccini abbiano una certa efficacia protettiva, perché gli anziani che vengono ricoverati in ospedale sono pochi rispetto alla fase antecedente alla vaccinazione, tuttavia da essa emerge:
a) che spesso il numero dei vaccinati positivi al tampone è tanto elevato (in qualche caso sopra i trenta; in un caso 46, 32 anziani e 14 dipendenti, in una struttura con sole 20 stanze!) da lasciar pensare che si siano infettati tra loro, essendo pressoché impossibile che una persona abbia infettato tutti i vaccinati positivi;
b) che in certi casi il numero degli infettati è aumentato progressivamente nel tempo, per esempio, a partire dai 24 iniziali per arrivare a 46, sicché, se non certo, è estremamente probabile che alcuni vaccinati infettati abbiano a loro volta contagiato altri vaccinati;
c) che in moltissimi casi manca il possibile capro espiatorio del membro del personale non vaccinato, cosa che impone di pensare che il primo “untore” nella RSA sia stato un dipendente vaccinato che si sia infettato fuori dalla RSA;
d) che la presenza di moltissimi casi in cui manca il possibile capro espiatorio, esclude che nei casi in cui ci sia nella struttura un non vaccinato si possa affermare a priori che sia stato lui il primo untore nella struttura, perché ben potrebbe essere accaduto che un dipendente vaccinato abbia contratto il covid in forma asintomatica o paucisintomatica e poi abbia infettato colleghi vaccinati o non vaccinati e anziani vaccinati.
Alla mancanza di studi e persino di tempo per arrivare a risultati attendibili, e ai numerosissimi casi di cronaca che per le ragioni indicate sembrano confermare che i vaccinati si infettano facilmente, sia pure spesso in forma asintomatica, e infettano le persone con le quali vengono in contatto, vanno aggiunte affermazioni di autorevoli organi, come il Consiglio di Stato in Francia, il quale ha respinto, in via cautelare, un ricorso di un ottantatreenne che chiedeva che le misure restrittive alla libertà di circolazione non si applicassero ai vaccinati. Il Consiglio di Stato ha rigettato l’istanza cautelare, perché “le persone vaccinate possono essere portatrici del virus e contribuire alla sua diffusione in proporzioni che non sono note oggi”. Oppure come la Commissione nazionale d’etica in Svizzera, che, nell’esprimere un parere negativo sull’introduzione dell’obbligo vaccinale, anche soltanto per alcune categorie di persone, ha osservato che l’obbligo non va introdotto “Anzitutto perché finora l’efficacia del vaccino è stata dimostrata solo per la protezione della salute del singolo” e non per la eliminazione della contagiosità.
Infine, ma in realtà si tratta di elemento fondamentale, è lo stesso legislatore italiano a mantenere in vigore i trattamenti sanitari obbligatori (quarantene) per i vaccinati positivi e le limitazioni alla libertà di circolazione per i vaccinati in generale.
È chiaro che queste misure si giustificano soltanto in quanto i vaccinati siano contagiosi. L’obbligo vaccinale imposto al personale che lavori nelle strutture sanitarie è quindi in contraddizione con altre discipline legislative ed è fondato su un presupposto di fatto opposto a quello che sorregge queste altre norme.
Siamo dunque in presenza di una violazione dell’art. 3, comma 1, Cost., ossia del principio di uguaglianza, nella forma del principio di ragionevolezza: non è ragionevole trattare i non vaccinati in modo diverso dai vaccinati, addirittura imponendo ai primi un obbligo vaccinale, sul presupposto di una significativa maggiore contagiosità che non è per ora provata, né da poderosi e numerosi studi scientifici – che abbiano lavorato su dati raccolti per mesi e che nei risultati enuncino se non pacificamente, a larga maggioranza, una significativa maggior contagiosità dei non vaccinati – né da una diffusa e notoria evidenza empirica.
8. Tralasciando tanti altri profili relativamente secondari, che talvolta riguardano soltanto l’interpretazione della disciplina – per esempio: si applica anche ai veterinari? o è necessaria una interpretazione restrittiva, fondata sulla ratio del contatto fisico con una pluralità di persone? un veterinario viene in contatto con le persone più di un commesso di un negozio di abbigliamento? e perché? – e talaltra potrebbero dar luogo ad altri profili di incostituzionalità che, per quanto interessanti, certamente non verrebbero accolti dalla Corte – il provvedimento ha natura simbolica perché analoghi obblighi non sono previsti per barbieri, acconciatori, prostitute ed estetiste? – o invece lascerebbero intatto l’obbligo vaccinale – la giurisprudenza costante della Corte Costituzionale ha sempre imposto allo Stato, con sentenze additive, l’obbligo di un indennizzo per i danni derivanti da vaccino obbligatorio ma questa incostituzionalità sarebbe rilevata da una sentenza additiva che lascerebbe intatto l’obbligo – sembra di poter concludere:
che l’argomento forte, per sollevare la questione di costituzionalità, sia soltanto quello trattato nel § 7, ossia la mancanza di prova del necessario presupposto di fatto che potrebbe giustificare l’obbligo;
e che c’è soltanto un altro argomento rilevante, che ha una sua consistenza ma lascia maggiore discrezionalità alla Corte Costituzionale, ed è quello trattato nel § 5: l’obbligo di far uso di un farmaco che è stato immesso in commercio con autorizzazione condizionale, senza i dati clinici e farmaceutici normalmente richiesti, potrebbe essere considerato una strumentalizzazione della persona umana, che non è ammessa nemmeno al fine di tutelare la salute pubblica.
Tutti gli altri argomenti o sono chiacchiere prive di minimo fondamento giuridico o sono semplici ragioni di inopportunità.
Grazie per la raffinata disamina , grazie per il tempo e l’attenzione dedicati ad un argomento ovvio e scontato solo in apparenza, in realtà insidioso per le molteplici minacce che sottende , compresa quella dell’arrogante pensiero unico , anche sul piano scientifico, ancor più colpevole se manipolato .Grazie per aver rotto il silenzio assenso angosciante di questo panorama politico ….”voce di uno che grida nel deserto”, ma a me questa voce è arrivata per vie traverse e ha fatto bene. Voce unica ad oggi .
„Il sonno ( oppure il sogno ?) della ragione genera mostri „ ed il camice bianco che indosso con passione ed orgoglio ogni giorno non è un’armatura per combattere i mostri , la battaglia è impari, mi rimangono le ali della libertà del pensiero , possibilmente la lucidità della ragione e la forza ( poca a dire il vero )di non omologarmi la‘ dove non ne ravveda la necessità . E la Storia continua ….grazie anche a voi. Buon lavoro
Grazie a te. Grazie di cuore.