L’Europa è una passione triste
l testo che segue è una anticipazione di un articolo di Marino Badiale e Fabrizio Tringali attualmente in lavorazione. In queste righe Badiale sottolinea la differenza fra "Europa" ed "Unione Europea", e illustra come spesso, soprattutto nella sinistra italiana, si confonda la prima con la seconda. Il desiderio di "un'altra Europa" o di una "Europa dei popoli" tanto spesso declamato non è altro che uno slogan vuoto, espressione di una cieca passione verso forme politiche del tutto funzionali agli interessi dei ceti dominanti. (F.T.)
di Marino Badiale Mainstream
L'affermazione che per salvare ciò che resta di civiltà sociale nel nostro paese sia necessario rompere con l'UE incontra, come è noto, forti resistenze, e questo in particolare nella sinistra.
In effetti, sembra che per molte persone di sinistra l'UE rappresenti una specie di ideale sostitutivo, un succedaneo del socialismo o del comunismo ormai abbandonati. E i meccanismi psicologici, che la tesi di abbandono dell'UE fa scattare in molte persone, ricordano proprio quelli che la critica ai paesi dell'Est facevano scattare in tanti militanti comunisti.
Un indice di questo complesso psicologico è il fatto stesso di parlare di “Europa” invece che di “Unione Europea”. È chiaro che si tratta di due cose ben diverse. L'Europa è una realtà geografica, storica, culturale alla quale l'Italia appartiene pienamente, per cui la proposta di “far uscire l'Italia dall'Europa” è un non senso.
L'Unione Europea è invece una realtà giuridica nata da circa un paio di decenni grazie all'adesione di una serie di paesi europei ad alcuni trattati. Sono questi trattati a definire cosa è l'UE. Ora, è ben noto che in questi trattati viene teorizzata una impostazione economica di liberismo stretto. Quella che ha cioè portato alla attuale crisi. L'UE è stata creata con lo scopo di permettere la massima circolazione di merci e capitali e di impedire sostanzialmente ogni intervento statale che ostacoli concorrenza e libera circolazione delle merci. Questi aspetti non sono linee di politica economica scelte da una maggioranza politica, e che possano quindi cambiare con una diversa maggioranza politica. Sono l'essenza stessa dei trattati che definiscono l'UE, e sono quindi l'essenza dell'UE. Aderendo all'UE è a tali politiche che si aderisce. In tutto questo non c'è nulla di strano. La creazione dell'UE avviene infatti negli stessi anni (anni Ottanta e Novanta, in sostanza) nei quali si impongono nell'Europa occidentale le politiche economiche neoliberiste, che comportano la lenta erosione di tutte le conquiste ottenute dai ceti popolari nel secondo dopoguerra. I ceti dirigenti dei paesi europei, che nei propri paesi distruggono lentamente diritti e redditi dei ceti subalterni, sono gli stessi che in quegli anni costruiscono l'Unione Europea. Solo uno sciocco potrebbe pensare che in tale costruzione siano mossi da spinte diverse rispetto a quelle che li portano, nei propri paesi all'attacco ai ceti subordinati. È evidente che la costruzione europea risponde alle stesse logiche antipopolari delle politiche economiche neoliberiste. Questo semplice dato di fatto lo si ritrova, magari non in forma immediata, nella coscienza popolare. È vero che la massiccia campagna mediatica a favore dell'UE ha prodotto, per lunghi periodi, e soprattutto in alcuni paesi come l'Italia, una notevole adesione popolare all'idea dell'unificazione europea. Ma diversi indizi mostrano come si tratti di una adesione passiva. Nessuno si riconosce nella bandiera europea e nessuno canta l'inno europeo. Soprattutto, non si è mai imposta una “festa europea”. Questo ci sembra un aspetto significativo della coscienza popolare. Cosa significano infatti le grandi feste “politiche” (tralasciamo ovviamente le feste religiose e quelle in qualche modo legate al folklore) di paesi come l'Italia o la Francia? Pensiamo al significato del 25 aprile, del 14 luglio, del 1 maggio: si tratta di grandi feste che celebrano le lotte e le vittorie del popolo, di chi sta in basso, contro chi sta in alto. Queste feste indicavano una cosa che un tempo era chiara: i ceti dominanti non concedono mai nulla gratis, tutto quello che i ceti popolari hanno ottenuto glielo hanno strappato con dure lotte. E cosa significa allora l'assenza di una vera festa popolare “per l'Europa”? Significa che i ceti subalterni non hanno fatto nulla, che l'UE non è il risultato delle loro lotte, ma è appunto una costruzione dei ceti dominanti. È un loro progetto che, come si è detto sopra, corre parallelo all'instaurazione delle politiche neoliberiste di distruzione delle conquiste popolari.
Tutto questo è abbastanza semplice da capire. Tanta semplicità induce allora a porsi un'altra domanda: da dove origina questa “passione per l'UE” che pure è un dato reale del senso comune in paesi come l'Italia?
Credo che la risposta sia duplice. Da una parte l'UE ha rappresentato l'ultimo rifugio della sinistra italiana, in evidente crisi di identità dopo l'Ottantanove. Ma la passione per l'UE tipica della sinistra in questi anni ha potuto agganciarsi su qualcosa di più profondo, su una sostanziale disistima di sé che è uno dei dati più negativi del senso comune del popolo italiano. Non vogliamo qui indagare a fondo le ragioni di questo senso di autosvilimento che qualsiasi italiano conosce molto bene. Esse risalgono probabilmente al modo in cui il senso di orgoglio nazionale è stato appropriato dal fascismo e alla sconfitta vergognosa del fascismo stesso. Ci pare evidente che c'è in molti italiani un senso di disperazione rispetto ai problemi, certo seri e gravi, del nostro paese. In sostanza l'adesione all'UE appare come la richiesta di essere governati da qualcun altro che non sia italiano, di diventare un protettorato tedesco o francese, a seconda dei gusti. Purtroppo questa passione appare molto mal riposta. I paesi forti dell'UE fanno semplicemente i propri interessi, e rinunciare alla propria sovranità per metterla in mano a qualcun altro, in un contesto di competizioni spietate, appare davvero una scelta suicida. Come è evidente anche nella vita dei singoli, è impossibile essere rispettati e far valere le proprie ragioni se si parte da un sostanziale disprezzo di sé.
La passione per l'UE appare quindi una passione priva della festa che celebri la vittoria popolare, ed effetto in ultima analisi di un profondo disprezzo di sé. Riprendendo senza pretese di correttezza filologica una espressione di Spinoza potremmo dire che, almeno in Italia, l'Europa è una passione triste.
la sinistra italiana non esiste semplicemente perchè un certo de benedetti la gestisce.
non serve filosofeggiare per definire lo schifo che hanno combinato con maastricht e lisbona
Interessantissimo studio partorito da due famosi economisti della Bank of America/Merryl Lynch: l'Italia è il Paese che in assoluto profitterebbe di più dalla fuoriuscita dall'euro. Non solo: è il terzo Paese (dopo Germania e Austria) che avrebbe minori difficoltà nel gestire la reintroduzione della moneta nazionale:
"The countries that stand to reap the most output gains from a eurozone exit are Ireland and Italy, while Germany and Austria have the most to lose. Ireland tops the list because it is a small open economy, while for Italy this is a reflection of the sizeable erosion of its competitiveness since the inception of the euro and its relatively high output gap…"
http://www.latribune.fr/getFile.php?ID=5314959
@ Davide. De Benedetti la gestisce ma la”sinistra” è felice di farsi gestire. Tempo fa sul blog di Giannuli ho proposto di chiamare “debenedettini” i suoi adepti; oppure si potrebbe chiamarli “sinistrani” (*). Purtroppo gli italiani nella vita pubblica sono spesso “senza orrore di sé stessi”; un aspetto di quella carenza di autostima evidenziata da Badiale; o forse meglio carenza di sovranità interiore, che si riflette sul piano politico; portando molti a prostituirsi a chi vuole asservire il Paese.
* Come chiamare la sinistra di potere. http://menici60d15.wordpress.com/2011/10/03/come-chiamare-la-sinistra-di-potere/
La evidente disistima di sè degli italiani intesi come comunità nazionale è una delle prime cose che saltano all'occhio degli stranieri che osservano l'Italia in modo non superficiale e con almeno un minimo di simpatia.
Non risale alla sconfitta – oggettivamente vergognosa – del fascismo, ma a molto prima. A quindici secoli prima, ad essere precisi. Caduta Roma la penisola italiana è stata invasa da barbari di ogni provenienza. Divisa in una miriade di ministati in perenne guerra tra loro, per secoli e secoli è stata terreno di scontro, conquista e saccheggio per tutti loro.
Dopo la parentesi napoleonica ed il Congresso di Vienna ha inizio il Risorgimento, che in mezzo secolo di guerre esterne e interne avrebbe portato all'unificazione del paese. Questo processo porta in sè due tare micidiali.
La prima – e secondo me la più importante – è la sistematica esclusione delle classi subalterne da ogni ruolo decisionale nel processo di unificazione, sia durante la lunga fase militare, sia dopo, durante la costruzione delle istituzioni del nuovo stato.
La seconda fa parte della prima, e riguarda l'aspetto militare. Al di là delle favole retoriche che costellano i libri di scuola, la storia militare dell'unificazione italiana, e purtroppo anche quella successiva, sono una ininterrotta sequenza di sconfitte umilianti e di vittorie altrui.
Novara, Custoza 1 (1848), Custoza 2 (1866), Lissa, Caporetto, Grecia, Africa, Russia, l'8 settembre e dopo per quanto riguarda le prime.
Solferino, Sadowa e Sedan per quanto roguarda le seconde.
Per un popolo è molto difficile riconoscersi in uno stato costruito dalle sue classi dominanti e tagliato su misura sulle loro esigenze e sui loro interessi.
Ed è ancora più difficile, se è possibile, che un popolo provi autostima dopo quindici secoli di disastrose sconfitte e di cocenti umiliationi.
Abituati dalla loro storia a non contare nulla, è umanamente comprensibile che tanti italiani vogliano giocare la carta della disperazione, cioè sciogliere il vuoto simulacro di uno stato che non sono mai riusciti a creare in un'entità sovranazionale che per lasaelsignùr quale miracolo porrebbe rimedio alle loro antiche carenze.
Non funzionerà, non sta funzionando, non poteva funzionare. Il gioco è nelle mani dei nemici di sempre, Germania e Francia in primis, che lo stanno usando a proprio esclusivo vantaggio, come fanno da secoli.
Che peccato.
Jorg der Krampus forse eccessivamente severo o unilaterale. Ma c'è molto di vero purtroppo. Una ragione in più per un impegno indefesso, irremovibile continuo, totale.
Ciao Andrea.
Severo sicuramente, ma è la severità di chi vede un amico rovinarsi con le proprie mani e lo strapazza per indurlo a correggersi, perché alla fin fine gli vuole bene. Preferisci un medico che ti un male bestia per ricomporti una frattura ma alla fine ti rimette in piedi, o uno che per non farti troppo male te la stecca così com'è e ti rende storpio?
Però unilaterale non direi. A tale proposito ti sfido a segnalarmi nei fatti storici che ho citato una sola inesattezza. Ho raccontato i fatti come si sono svolti, senza aggiungere e senza togliere nulla, come sono esposti sui libri di storia.
Che spesso l'Italia abbia avuto margini di manovra ridotti è indubbio, ma che con un uso più accorto delle sue sia pure limitate opzioni avrebbe potuto fare di meglio lo è almeno altrettanto.
Sulla natura fortemente classista della società italiana, ed in particolare sugli assurdi sistemi di selezione della sua classe dirigente ho semplicemente riportato il parere di commentatori molto più autorevoli di me, senza aggiungervi nulla.
Sono invece d'accordo con te sulle conclusioni, ma occorre muoversi.
Naturalmente avete tutta la mia simpatia ed i miei migliori auguri.
Ciao Stefano!
Scusa ;-)
Sotto il profilo delle sconfitte, a occhio e croce, che è il giudizio che sono in grado di dare, non ci sono inesattezze. Forse unilaterale perché non hai considerate le vittorie, che sono sempre state del Popolo
Intanto Mazzini seppe ricercare nella storia i momenti gloriosi e ne trovò, come leggerai qua sotto, anche nel Risorgimento:
"[…] Chi vinse, il 29 maggio 1176, contro Federico Barbarossa in Legnano, la prima grande battaglia dell'indipendenza Italiana? – Il Popolo.
Chi sostenne per trent'anni l'urto di Federico II e del patriziato ghibellino, e ne logorò le forze davanti a Milano, Brescia, Parma, Piacenza, Bologna? – Il Popolo.
Chi franse in Sicilia la tirannide di Carlo d'Angiò, e compì nel marzo del 1282 i Vespri a danno dell'invasore Francese? – Il Popolo.
Chi fece libere, grandi e fiorenti le Repubbliche Toscane del XIV secolo? – Il Popolo.
Chi protestò in Napoli a mezzo del secolo XVII contro la tirannide di Filippo IV di Spagna e del Duca d'Arcos? – Il Popolo.
Chi vietò con resistenza instancabile che l'Inquisizione dominatrice su tutta l'Europa s'impiantasse nelle Due Sicilie? – Il Popolo.
Chi scacciò da Genova nel dicembre del 1746, di mezzo al sopore di tutta l'Italia, un esercito Austriaco? – Il Popolo.
Chi vinse le cinque memorande Giornate Lombarde nel 1848? – Il Popolo.
Chi difese due volte, nell'agosto del 1848 e nel maggio del 1849, Bologna contro gli assalti dell'Austria? – Il Popolo.
Chi salvò nel 1849, in Roma e Venezia, l'onore d'Italia prostrato dalla monarchia colla consegna di Milano e colla rotta di Novara? – Il Popolo.
Il Popolo senza nome, combattente senza premio di fama; l'Eroe collettivo, l'uomo-milione che non fallì mai alla chiamata ogni qual volta gli vennero innanzi, in nome della santa Libertà, uomini che incarnarono in sè l'azione e la fede. […]".
(Ai Giovani d'Italia)
Poi abbiamo avuto Garibaldi che, se non erro, sconfisse con i compagni della repubblica romana l'esercito di Ferdinando II, accorso in difesa del Papa (Mazzini lo accenna). Garibaldi vinse, quasi unico, nella guerra Franco-prussiana. Inoltre, pur volendo trascurare l'agiografia della spedizione dei mille, almeno sul Volturno i garibaldini ebbero un'importante vittoria ed erano popolo. Anche nella terza guerra di indipendenza Garibaldi e soprattutto Medici ottennero vittorie.
Ma soprattutto manca la grande guerra. Citi Caporetto. Ma la grande guerra fu una guerra di trincea sia sulle alpi che sull'isonzo, e poi sul Piave e a Vittorio veneto, che durò anni, con battaglie vinte e perse, le quali lasciavano sul terreno per la conquista di pochi metri decine di migliaia di italiani che alla fine non si rivelarono inferiori per resistenza al proprio nemico.
Infine trascuri completamente la resistenza. Almeno la storia della brigata maiella (su questo sito trovi una ricostruzione teatrale) fu una pagina gloriosa che ebbe anche il riconoscimento del nemico (caso unico per una brigata di volontari).
Quanto al sistema di selezione della classe dirigente, credo che tu giudichi in base agli ultimi venti anni. Ma le cose non sono state così. A parte che Gramsci era figlio di sarto, Togliatti figlio di un contabile, Mussolini figlio di un fabbro, De Gasperi figlio di genitori poverissimi e Fanfani (figura di immenso rilievo storico) proveniva da famiglia umilissima. In realtà, fino agli anni ottanta abbiamo avuto un'enorme mobilità sociale, con un sistema scolastico e universitario dapprima eccellente e poi più che buono.
Non che non avessimo difetti; ne avevamo tanti. Ma solo una nazione perfetta non ha difetti, le nazioni grandi ne hanno tanti.
Poi l'Italia si è seduta ed è crollata senza accorgersene, nel tempo del consumo a debito (fino al 1990 in Italia non c'era credito al consumo, credo unica naziona a resistere al mondo; e fino al 1985 non c'era la televisione commerciale nazionale, perché la DC aveva resistito) e dell'inganno dell'Unione europea, che ha imposto all'Italia di smantellare tutti i capisaldi del suo ordinamento giuridico.
Scoprire e portare alla luce la tragedia che è accaduta è il primo passo per poter risorgere.
Malgrado io possa sottoscrivere l'intero articolo, tuttavia non posso egualmente convenire con Badiale a causa di ciò che non dice.
Insomma, non possiamo lottare contro il globalismo liberista in modo credibile, se l'attribuiamo in modo esclusivo all'unione europea. Questo è ciò che mi colpisce in tutte le tesi che mettono al centro della loro analisi e delle loro iniziative l'euro e l'unione europea. Così, si finisce col centralizzare le iniziative su questi due temi, dando l'impressione che se riusciamo a scansare i due pericoli (avere la moneta unica europea e fare parte dell'unione europea), abbiamo vinto, lo scopo è raggiunto. Ciò è palesemente falso, perchè l'euro non può in alcun modo essere considerato la causa della crisi economica mondiale, e quindi anche fuori dall'euro, dovremmo trovare anche come singola nazione modi adeguati per fronteggiarla. Allo stesso modo il liberismo che sta a fondamento dell'unione europea non è un'esclusiva della UE, ancora una volta nell'unione europea è stato importato in primis dagli USA.
Se noi invece mettessimo al centro della nostra analisi il globalismo, capiremmo che l'unione europea e l'euro costituiscono parti, e neanche le più importanti, di un processo ben più rilevante che rischia di condurre l'umanità verso il disastro.
Il giorno dopo che l'Italia fosse uscita dall'unione europea e quindi anche dall'euro, ci troveremmo a fare ancora i conti con il nostro enorme debito pubblico (e quindi ancora con gli interessi da pagare), così come con la competitività globale e con il pericolo ancora una volta di importazioni selvagge che portano alla distruzione del nostro sistema produttivo. Mi chiedo che senso abbia, far finta che tutto il male derivi dalla UE, se poi i problemi rimanessero uguali anche fuori dalla UE.
In sostanza, come si può trovare sul mio blog, io sono piuttosto per l'uscita dalla UE, la dichiarazione di default, l'uscita dalla WTO, il ripristino di misure di protezionismo doganale, la pianificazione economica. Se viene a mancare anche una sola tra queste misure, secondo me le altre divengono automaticamente vane.
"non possiamo lottare contro il globalismo liberista in modo credibile, se l'attribuiamo in modo esclusivo all'unione europea."
E chi attribuisce in modo esclusivo il globalismo all'unione europea?
"perchè l'euro non può in alcun modo essere considerato la causa della crisi economica mondiale".
Chi ha detto che l'euro è la causa della crisi economica mondiale?
"Allo stesso modo il liberismo che sta a fondamento dell'unione europea non è un'esclusiva della UE, ancora una volta nell'unione europea è stato importato in primis dagli USA".
Chi ha detto che non proviene dagli Stati Uniti (e dall'Austria)?
"rischia di condurre l'umanità verso il disastro" L'umanità non è un soggetto della storia.
"Il giorno dopo che l'Italia fosse uscita dall'unione europea e quindi anche dall'euro, ci troveremmo a fare ancora i conti con il nostro enorme debito pubblico"
Ma allora non hai capito cos'è il debito pubblico?
Appunto, caro Stefano, nessuno l'ha detto, ed è questo che trovo errato ed anche grave, ma mi sembrava che fosse chiaro dall'intervento. Forse dovresti rileggere la prima frase, esistono anche i peccati di omissione, no? Per me, dire solo frammenti di verità è in fondo dire una mezza menzogna.
Potrei poi suggerirti un atteggiamento più aperto e meno spocchioso, così che chi non la pensa come te, semplicemente non ha capito, non è stato ancora illuminato? Io pensavo che dal confronto si ha tutto da imparare, non serve proteggersi assumendo un atteggiamento saccente: tu cosa ne pensi?
Mi interessava mostrarti che tu stavi criticando opinione non espresse, non soltanto da me o da Badiale ma anche da altri.
Le cose hanno un ordine dal punto di vista politico. Credo che la fase, che durerà almeno una decina di anni non vedrà alcun paese lottare contro il wto, che comunque consente un certo protezionismo vietato dalla UE, non vincola a non limitare la circolazione dei capitali (quindi consente uno stato finanziario chiuso, come siamo stati per lungo tempo) e non vincola con trattati di libero scambio (come quello che la UE vorrebbe stipulare con gli USA) e consente una programmazione sul tipo di quella che abbiamo avuta negli anni sessanta e settanta, nonché le partecipazioni pubbliche e i monopoli interni.
Dinanzi al mostro della UE declamare l'uscita dal WTO è appunto pura declamazione.
Qui esprimiamo un pensiero politico, debole o forte che sia, non proposte di palingenesi né declamazioni morali. Questo è il contenuto fondamentale della critica che svolgerò al tuo libro, che ho quasi finito di leggere. Non è che noi non pensiamo di sottoporre a critica le regole del wto (dopo averle studiate). E' che sappiamo che a livello di principi, il recinto che esse tracciano agli stati è talmente ampio rispetto a quello della UE (pensa che la Cina riesce a stare dentro al primo con un'economia del 70% pubblica) che ci appare ingenuo e persino un po' infantile mettersi ora a declamare contro il wto.
Ripeto che ci hai attribuito un pensiero non espresso e che non abbiamo. Reoutiamo inutile, ingenuo e infantile il tuo atteggiamento. Può darsi che sbagliamo ma l'errore si situa sul piano della strategia necessaria a costruire un pensiero politico che possa radicarsi, non sul piano logico o scientifico o morale.
Rileggiti e vedrai tanta spocchia, almeno quanta ne hai vista nella mia risposta.
Grazie Stefano della replica che trovo costruttiva, ed infatti vorrei continuare il dialogo.
Prima di tutto, mi scuso della mia eventuale ma del tutto involontaria spocchia. Non me n'ero accorto e tuttora non ne riconosco i tratti, ma mi fido e mi scuso a prescindere.
Detto ciò, io tornerei comunque alla vecchia ma sempre valida distinzione tra tattica e strategia.
Si può naturalmente fare le scelta tattiche più avventurose e spregiudicate che si vuole, ma lo si può tanto più, quanto più si hanno idee chiare su dove si punta, sennò, ma non mi sto riferendo certo a te, una volta si parlava di opportunismo, appunto nel trasformare una scelta tattica nell'intero orizzonte strategico.
In sostanza, una cosa è dire di essere contro la globalizzazione, contro un certo ordine mondiale, e scegliere un primo obiettivo nell'uscire dalla UE, un'altra è proporre semplicemente di uscire dalla UE, e ritrovarsi ben strani compagni di viaggio del tipo che possiamo tutti immaginare. Magari a quel punto, visto che non abbiamo curato di iscrivere queste scelte in un contesto più complessivo, avremo soltanto lanciato la volata a politiche che noi tutti suppongo avversiamo.
C'è una ragione in più che mi spinge ad essere così pignolosamente critico, la considerazione che l'uscita dalla UE non sia risolutiva, seppure necessaria. Tu dici che nei prossimi dieci anni basterà occuparsi di questo, ma ciò presuppone una scelta tattica di un prima e di un dopo che tu dai per scontata: prima usciamo dalla UE e poi vedremo nella nuova fase che si determina cosa ancora dovremo fare. La mia opinione in proposito è che ben prima di dieci anni, il sistema finanziario salterà, perchè sono convinto che le banche siano di fatto fallite e fanno finta di potere operare con l'appoggio fattivo degli stati, prima di tutto la FED che ultimamente ha stampato ben 85 miliardi di dollari al mese (del resto, anche la BCE di Draghi ha fornito alle banche europee un enorme assegno da mille miliardi di euro proprio quando ne rifiutava uno da 100 a uno degli stati sovrani che pure concorrono a costituirla, la Grecia). E' bastata qualche vaga dichiarazione di rallentamento nell'offerta di liquidità da parte di Brunbake per gettare nel panico l'intero mondo finanziario.
Se questo big bang finanziario che io, ma non sono il solo, ritengo inevitabile, avvenisse davvero, allora si capirebbe quanto sarebbe vano e quindi sbagliato concentrare tutta i propri obiettivi nei conffornti di una UE che oggi non appare certo il centro del mondo.
Io non dico che sia errato porsi l'obiettivo di uscire dall'euro e dalla UE, ma lo ritengo un obiettivo inadeguato, non all'altezza da solo delle sfide dell'oggi.
Naturalmente, so di espormi a critiche quali quelle che mi anticipi, di palingenesi, o cose di questo genere, mentre ciò che io propongo è di avere una solida strategia con ben ferme basi anche filosofiche ed antropologiche, e poi, proprio a partire da tali basi, operare le scelte tattiche anche più spregiudicate, avendo in ogni caso ben fermo l'obiettivo di fondo, che a mio parere non dovremmo mai smarrire.
Chiaramente, non pretendo che gli altri siano d'accordo con me, vorrei solo motivare perchè ho rallentato la mia presenza sul blog: era, credimi, proprio in prossimità di un congresso così importante per te anche personalmente, quella di evitare dibattiti troppo vivaci. Come vedi, riprendo a farmi vedere proprio perchè so che il congresso si è chiuso e io non rischio di contribuire negativamente al suo sviluppo.