Del pensiero unico, dei numeri, del successo, della vita e della morte
di GIANLUCA BALDINI
La cronaca ci riferisce dell’ennesimo suicidio di un giovane che non regge alla vergogna di un fallimento personale. Questi episodi drammatici ormai si verificano con una frequenza crescente e preoccupante. Solo negli ultimi dodici mesi due miei concittadini, un ventinovenne e un ventitreenne. In entrambi i casi ragazzi che non avevano avuto il coraggio di dire ai loro genitori e amici che non si sarebbero laureati per tempo. L’anno scorso ne parlavo con una collega, che mi diceva che questi casi si sono sempre verificati, a sua memoria, e che a suo dire sono il segno evidente della eccessiva fragilità emotiva dei ragazzi, che non sono più educati con la durezza di una volta. Io rifiuto questa lettura, a mio avviso semplicistica, e credo che il problema risieda in un altro aspetto degenere della contemporaneità.
Un esempio eclatante spesso citato è quello giapponese, che è controfattuale. Di certo, infatti, non si può imputare alla società giapponese e alla tradizione pedagogica nipponica di essere troppo “lasca”. Al contrario, il Giappone è un paese in cui si pratica una disciplina dura, si educa alla repressione delle emozioni, alla dedizione totale ai doveri e al sacrificio finalizzato alla realizzazione individuale. Ecco, in comune col Giappone e con altri modelli sociali di differenti latitudini io ravviso un male diffuso in tutti i paesi del cosiddetto Occidente industrializzato. Uno spettro che permea lo spirito del tempo, l’ossessione di essere “vincenti”, di essere “i migliori”, di sentirsi “falliti” se non si eccelle, di provare vergogna se non si arriva.
Questa ossessione è ravvisabile già nei giovani adolescenti con cui ho a che fare ogni giorno. Un quindicenne dovrebbe essere un sognatore, un idealista, un folle che sogna di cambiare il mondo. Almeno io mi ricordo un’adolescenza vissuta con queste velleità e tutto ciò che ho studiato mi induce a pensare che io sia stato un adolescente non troppo lontano dagli standard, seppure forse più turbato di tanti amici.
Oggi invece sento molti ragazzi parlare di “successo” e di “ricchezza”, li vedo misurarsi con l’ossessione della valutazione, che pare essere l’unica cosa che conta. Ravviso una debolissima motivazione intrinseca, una scarsa attitudine allo studio intrapreso per nutrire la propria curiosità e una potentissima forza che li spinge a raggiungere la prestazione, la performance, a riportare a casa “un numero”, il più alto possibile.
Questo postmodernismo senza valori, senza ideali, senza fede, che misura tutto in prestazioni e in valore monetario è la fine dell’umanità. Se a un certo punto sbatti contro un muro, quello della realtà, che ti dice che forse non vali quello che pensavi e che non performi come “dovresti”, cioè come gli altri si aspettano che tu renda, allora puoi pensare che non vali nulla e non hai le carte giuste per stare al mondo. E di questo devi solo vergognarti e soccombere, perché non hai gli strumenti cognitivi per superare questa spirale negativa e ti mancano anche le strutture argomentative per apprezzare la tua esistenza al di fuori del contesto di “mercato”.
Questo pensiero degenere mi inquieta e mi motiva ancor più a comunicare ai ragazzi che la vita è altro. La performance, il rendimento, non misurano la persona. Siamo più che i nostri titoli e i nostri voti, non siamo mezzi di produzione che stanno sul mercato, concetto che ci viene più o meno direttamente comunicato quasi ogni giorno e che abbiamo ormai introiettato.
Siamo persone dotate di un cuore e un cervello e le nostre vite valgono sempre la pena di essere vissute e di essere con-vissute, perché vivere vuoi dire condividere la propria esistenza con gli altri, aiutarsi, apprezzarti, amarsi e costruire insieme qualcosa: un’amicizia leale e duratura, una famiglia, una comunità di persone che condividono una esperienza di spiritualità, un’associazione sportiva o culturale in cui si coltiva una passione e, perché no, un partito politico in cui si metta in pratica la partecipazione all’organizzazione sociale ed economica della collettività.
La vita è tanto di più di quello che oggi viene detto. E certi fallimenti non sono più la fine del mondo, se metti sul piatto della bilancia tutto ciò che può darti la vita.
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