MES/ “Va chiuso, non può essere una banca a decidere le sorti degli Stati”
di IL SUSSIDIARIO (Fiammetta Salmoni, Federico Ferraù)
Il MES è tutto meno che una ciambella di salvataggio. “Bisognerebbe chiuderlo e restituire le somme versate agli Stati che hanno sottoscritto il trattato”
L’ex direttore generale del ministero dell’Economia, Alessandro Rivera, ieri ha rilasciato al Corriere una interessante dichiarazione sul MES. “Abbiamo negoziato duramente per togliere dall’accordo tutti gli aspetti che potessero essere controversi o contrari ai nostri interessi. Non ci sono più”. È esattamente l’opposto, e su queste pagine abbiamo già spiegato perché.
“L’unico cambiamento di rilievo” ha continuato Rivera “è permettere al MES di sostenere le banche in caso di estrema necessità, con un prestito. Ed è nell’interesse di tutti”. Proprio di questo abbiamo parlato con Fiammetta Salmoni, ordinaria di diritto costituzionale nell’Università Guglielmo Marconi di Roma. Il MES rimane un pericolo. “Sono i tecnocrati – spiega Salmoni – che vogliono il MES a tutti i costi, ma niente si può volere a tutti i costi. Se alcune formazioni politiche sono su questa stessa lunghezza d’onda, significa che sposano in tutto e per tutto i dogmi del capitalismo finanziario. La democrazia è una cosa diversa”.
Lo scontro politico tra Meloni e Conte sul MES, a suon di fax e accuse di falso, è paradossalmente sembrato rendere ancora più oscuro il Meccanismo europeo di stabilità. C’è un motivo?
Il motivo della sua oscurità è che si tratta di un’istituzione molto complessa, che sfugge ad un inquadramento giuridico univoco e presenta innumerevoli elementi di ambiguità.
Ne avevamo discusso un anno fa, dopo l’attacco di Lagarde all’Italia. La sua opinione è cambiata?
No. Continuo a ripetere che dopo l’approvazione dell’ultimo programma di assistenza finanziaria alla Grecia, nel 2015, l’utilità e fruibilità del MES ai fini del mantenimento della stabilità finanziaria della zona euro è andata scemando. Da quel momento in poi, a mio avviso, il MES non ha più avuto ragione di esistere e sarebbe stata buona cosa chiuderlo, restituendo le somme versate agli Stati che ne avevano sottoscritto il trattato istitutivo.
Ovviamente tutto ciò non è stato fatto.
Anzi. Si è cercato in tutti i modi possibili e immaginabili di rilanciare il MES e trovargli “qualcosa da fare”.
Ad esempio?
Nel 2017 la Commissione europea presentò una proposta di regolamento –mai approvato – volta a convertire il MES in un Fondo monetario europeo (FME). Quella proposta di regolamento, che pure personalmente non condividevo, aveva tuttavia una sua dignità, perché in quel modo si sarebbe eliminato il trattato istitutivo che faceva del MES un’organizzazione internazionale “anomala”, riuscendo anche ad inserirlo nell’ordinamento giuridico dell’UE.
E perché questa riforma sarebbe stata importante?
Perché avrebbe anche consentito di connotare giuridicamente il MES in maniera più puntuale, eliminando alcune ambiguità che lo caratterizzano e che ne fanno un’istituzione che non si sa bene come inquadrare: se nel diritto internazionale, nel diritto commerciale, in quello bancario, in quello fallimentare e così via.
Come ha detto, però, quel tentativo non andò in porto. Continui.
Di conseguenza il problema di “cosa far fare” al MES si è riproposto a più riprese fino a quando, in occasione del Vertice euro del 14 dicembre 2018, i capi di Stato e di governo dei Paesi appartenenti all’eurozona hanno deliberato di ampliarne il mandato in vista del rafforzamento dell’Unione economica e monetaria, prevedendo la revisione del suo trattato istitutivo anche in funzione di sostegno al cosiddetto Fondo di risoluzione unico (SRF), che è parte integrante del Meccanismo di risoluzione unico (SRM). Quest’ultimo, a sua volta, rappresenta il secondo pilastro dell’Unione bancaria europea (UBE), che è incompleta: c’è il Meccanismo di vigilanza unico (primo pilastro), ma manca il terzo, il Sistema europeo unico di assicurazione dei depositi. In ogni caso neppure il SRF può ricapitalizzare direttamente la banca in crisi o coprirne direttamente le perdite.
Ed è qui che si colloca la modifica del trattato MES?
Precisamente. Nella sua “nuova” versione ha anche la funzione di fornire una rete di sicurezza finanziaria al SRF, fungendo, quindi, da prestatore di ultima istanza. Vuol dire che se il SRF finisce i soldi per salvare le banche di uno Stato, il MES può intervenire attraverso un meccanismo che si chiama backstop: in pratica le banche di un certo Paese vanno in crisi, interviene l’UBE con il SRF e se i soldi non bastano interviene il MES con il backstop.
Dove sta la sua obiezione?
Tra le molte possibili, non si capisce perché questo “paracadute” del backstop debba stare fuori dal diritto europeo ed essere affidato a un’istituzione privata, una società privata, una banca di diritto lussemburghese, il MES, che ha una serie incredibile di privilegi previsti proprio dal suo Trattato e che persegue solo gli interessi dei creditori e non quelli generali.
Abbiamo già spiegato i rischi derivanti dalla sorveglianza macroeconomica e finanziaria prevista dall’art. 3 del trattato di riforma, che trasforma il MES in una agenzia di rating dei debiti sovrani. Per ora restiamo nel sistema bancario. In che modo il MES imporrebbe l’austerity?
Il MES funziona automaticamente imponendo l’austerity se il sistema bancario entra in crisi. Si provano tutte le strade previste dalla normativa europea sull’UBE, se le banche non si riescono a salvare in questo modo allora interviene il Fondo di risoluzione unico (SRF) e se quest’ultimo non ha soldi a sufficienza arriva il backstop del MES. Ecco, in questo caso gli aggiustamenti macroeconomici diventano automatici e sono sinonimo di misure di austerità e di compressione dei diritti sociali.
Torniamo alla cronaca. Qualcuno insiste ancora nell’invocare il MES “sanitario” e la sua “linea di credito”. Ha senso?
No, non ne ha. Si voleva far credere all’opinione pubblica degli Stati maggiormente colpiti dal Coronavirus che la linea di credito, appunto, del MES “light” o “sanitario” non fosse soggetta alle condizionalità cui devono sottostare per obbligo giuridico tutti gli Stati che prendono soldi dal MES. Non è così.
Secondo lei il presidente del Consiglio è consapevole che la ratifica espone l’Italia ad una maggiore probabilità di ristrutturazione del debito decisa dal MES e ad un commissariamento politico?
Io non penso proprio che il presidente del Consiglio sia Alice nel Paese delle meraviglie. Sono anni e anni che si parla di MES quindi non vedo per quale ragione il capo del Governo dovrebbe essere all’oscuro dei rischi che corre l’Italia nel ratificare il nuovo trattato. Io comunque non ho questo retropensiero che la posizione della maggioranza dipenda dalla paura del commissariamento. FdI e Lega sono sempre stati contrari al MES, così come lo erano M5s e la sinistra, quella vera.
Secondo lei come si spiega la scelta della Meloni di allontanare la scelta sulla ratifica?
È probabile che il Governo stia tenendo in sospeso la ratifica del MES cercando di spuntare condizioni meno pesanti per il nostro Paese nel pacchetto di regole che disciplinano il nuovo PSC. È probabile, ma non è certo.
Nel dubbio? Meglio disfare il “pacchetto”?
Nel dubbio, a mio avviso il MES dovrebbe essere abolito, indipendentemente dal PSC e da ciò che si vuole fare dell’Unione Europea. È uno scempio giuridico ancora più imbarazzante del vecchio trattato. Si intrecciano norme di diritto internazionale, europeo e interno in una maniera così scomposta che non vi è più alcuna certezza del diritto. Ad esempio, in caso di controversie quale sarebbe il “giudice naturale” destinato alla loro risoluzione?
Come si spiega secondo lei la pressione che viene fatta sull’Italia perché ratifichi il Trattato?
Si spiega con la volontà da parte di una tecnocrazia bancocratica priva di qualunque legittimazione democratica di garantirsi la sopravvivenza giuridica a tutti i costi. Non c’è niente di più lontano dalla democrazia del MES nella vecchia e nella nuova versione, in quest’ultima ancora di meno di prima.
Gualtieri nel dicembre del 2020 ha dato l’assenso alla riforma del MES senza mandato parlamentare. Lo ha detto lui stesso nel 2023. L’on. Borghi (Lega) ha sporto querela per questo. Qual è il suo punto di vista in proposito?
Ho letto di questa vicenda solo sui giornali e non ho approfondito, quindi non so dire se sia rinvenibile o meno in capo all’ex ministro Gualtieri la violazione dell’articolo 264 del codice penale. Posso solo dire che c’era una risoluzione votata dalla Camera il 19 giugno 2019 che al suo punto 11 impegnava il Governo “in ordine alla riforma del Meccanismo europeo di stabilità, a non approvare modifiche che prevedano condizionalità che finiscano per penalizzare quegli Stati membri che più hanno bisogno di riforme strutturali e di investimenti, e che minino le prerogative della Commissione europea in materia di sorveglianza fiscale” (Atto Camera, Risoluzione in Assemblea 6-00076, 19 giugno 2019, seduta n. 192). Da qui a esprimere un giudizio di merito ce ne passa.
Dal Pd è venuta la proposta di una clausola alla tedesca con nuovo ruolo del Parlamento nella “attivazione” del MES. Questa ed altre che dovessero essere formulate per rendere “digeribile” il Meccanismo che fondamento hanno?
Dove sta scritto che per attivare il MES c’è bisogno di una legge approvata con una maggioranza qualificata? La Costituzione non prevede niente di simile. Dovremmo cambiare la Costituzione?
Se il MES è contrario agli interessi del Paese, perché c’è un ceto politico che lo vuole a tutti i costi e i media lo sponsorizzano?
Ho già risposto. A mio avviso sono i tecnocrati che vogliono il MES a tutti i costi, ma niente si può volere a tutti i costi. Se alcune formazioni politiche sono su questa stessa lunghezza d’onda, significa che sposano in tutto e per tutto i dogmi del capitalismo finanziario. La democrazia è una cosa diversa. (1 – continua)
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