La seconda liberazione
di Marco Trombino
Troppo inchiostro è stato speso per commentare le polemiche che, invariabilmente, seguono la festività del 25 Aprile; un’occasione che, a detta di alcuni, anziché unire gli Italiani come dovrebbe tende a dividerli ogni volta su faglie ideologiche, e in effetti ad alcune commemorazioni dobbiamo assistere a deprimenti scene di gruppetti di manifestanti che si prendono a insulti tra loro: sinistra contro destra, filopalestinesi contro filoisraeliani, autorità sul palco che vengono fischiate, e così via.
Innanzitutto è bene sottolineare che questi atti di maleducazione sono relativamente recenti: negli anni ‘50 e ‘60 le commemorazioni del 25 Aprile risultavano più tranquille, potevano sembrare un po’ retoriche e ingessate ma mettevano tutti i partecipanti d’accordo sul fatto che essersi liberati dall’occupante tedesco e dal collaborazionista fascista fosse stato un gran bene per tutti. Chi non si riconosceva in questa interpretazione all’epoca, semplicemente, se ne stava a casa.
Vediamo di fare un po’ di chiarezza sui motivi per cui vale ancora la pena festeggiare il 25 Aprile. Partiamo dal presupposto che la Guerra di Liberazione non abbia rappresentato una guerra della destra contro la sinistra, ma del Fascismo contro tutti gli altri, destra inclusa. Nelle formazioni partigiane italiane della II Guerra Mondiale c’erano comunisti e liberali, socialisti e monarchici, Partito d’Azione e cattolici. Anni fa abbiamo dedicato un incontro-dibattito sui Volontari Armati Italiani, una delle primissime formazioni partigiane che si costituirono dopo il fatidico 8 settembre e la successiva occupazione militare tedesca: si trattava perlopiù di ufficiali sabaudi fedeli alla monarchia, quindi non necessariamente “de sinistra”, anzi.
La Guerra di Liberazione fu una scelta obbligata e corretta. Contestualizzando la situazione, il governo Mussolini aveva messo la nostra Patria nella situazione peggiore possibile, prima muovendo guerra a Francia e Gran Bretagna (nientepopodimeno…) il che ci portò immediatamente a sconfitte militari spaventose in Africa Orientale, persa in fretta, e in Libia, temporaneamente conservata soltanto grazie all’intervento tedesco. Poi Mussolini spinse l’Italia nella disastrosa campagna di Grecia, in cui l’orgoglioso popolo ellenico ebbe la forza d’animo di resistere e ricacciarci al di là del fronte iniziale. Qualunque idiota si sarebbe fermato di fronte a risultati del genere e invece Benito, non pago di tanti vergognosi rovesci, ebbe l’idea di inviare un contingente in terra sovietica per dar manforte all’Operazione Barbarossa, dove morirono non meno di 80.000 soldati italiani nella più orribile delle maniere. Il successivo sbarco anglo-americano in Sicilia fu il suggello della strategia militare fascista all’insegna dell’incompetenza, dell’impreparazione e del cieco affidamento ad un alleato. A quel punto la guerra era chiaramente perduta, e la cosa più saggia – o meno stupida – da realizzare era un accordo con i vincitori. Potremmo lungamente dibattere sull’episodio della “fuga a Brindisi”, ma ciò che è veramente importante era, a quel punto, la sorte di milioni di Italiani divisi ormai tra un contingente anglo-americano nel sud e uno tedesco al centro-nord. Scegliere di combattere a fianco dei primi fu non solo legittimo, non solo intelligente, non solo eticamente corretto, ma se ci si pensa a mente fredda fu l’unica maniera di salvare la Patria dall’annientamento politico: la Germania al termine del conflitto fu smembrata (Germania Federale, Germania Democratica più una serie di perdite territoriali a vantaggio di Polonia e URSS, nonché espulsione di popolazione tedesca da regioni storicamente germaniche come quella dei Sudeti) mentre l’Italia se la cavò con qualche perdita territoriale (Istria soprattutto), ormai inevitabile.
La Repubblica Sociale Italiana, all’atto della sua nascita, aveva non solo accettato la totale subalternità alla Germania, ma aveva dovuto subire concessioni territoriali a vantaggio della Germania stessa: una buona porzione di nord-est italiano (Trentino Alto Adige, Friuli, parte del Veneto) vennero poste sotto l’amministrazione diretta del Reich e c’è da scommettere che, se per qualche motivo la guerra si fosse fermata lì, tali territori non ci sarebbero stati restituiti. Lo stato di semi-colonia della RSI nei confronti di Berlino era di per sé un motivo sufficiente per legittimare una guerra di liberazione contro questa istituzione e contro l’occupante tedesco.
Per Riconquistare l’Italia rimane ferma l’interpretazione storica delle tre liberazioni: Il Risorgimento (1817 – 1866), la Guerra Partigiana (1943 – 1945) e la futura liberazione dal vincolo esterno dell’Unione Europea e più in generale dalle istituzioni globaliste sovranazionali. Tutte moralmente giuste, compresa la seconda.
Buon 25 Aprile a tutti.
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