Kubark Society
E con questo si chiude probabilmente una trilogia di articoli che prende spunto dal simbiotico rapporto tra ideologia politica, sistemi economici e sviluppo scientifico.
La considerazione nasce dall’approccio a me caro della “visione d’insieme” delle dinamiche sociali. Quella visione che tenta, come amano asserire ormai in molti, di unire i puntini del variegato ed apparentemente illogico disegno a schema libero che si cela misterioso dietro i numeri, le coordinate, le linee rette e gli spazi vuoti.
A questo asettico schema amo però aggiungere quelle che ritengo essere le necessarie considerazioni d’impronta filosofica. E non perché l’esercizio della filosofia si risolva in uno sterile confronto intellettuale tra privilegiati e speculatori del pensiero, quanto piuttosto, per mettere in risalto “direttrici” che diversamente passerebbero colpevolmente e drammaticamente inosservate.
Il dramma, infatti, si nasconde più spesso nelle omissioni ed incomprensioni della realtà piuttosto che nei sacrifici e nelle privazioni materiali od immateriali che da queste inevitabilmente derivano.
Essere in grado di analizzare gli eventi può rivelarsi determinante ed essenziale per affrontarli e non invece esserne sopraffatti.
Lo sviluppo di procedimenti o processi, di norme e regolamentazioni, di prassi, usi e consuetudini che si prefiggano quale scopo ultimo l’alterare in maniera subliminale, sotterranea, diabolicamente condizionante, i rapporti umani e le strutture sociali, che siano in grado quindi di indirizzare le scelte (o non scelte) individuali e collettive verso uno schema precostituito di diritti e doveri animati dalla spietata quanto efficacie legge del terrore e della privazione, nasce dalla capacità e dalla volontà di alcuni di farsi “comune”, massa critica e dominante, elite autorevole ed autoreferenziale.
Investita di una simile aurea, tale “comune” si adopera affinché le scelte (o non scelte) di libertà (economica e politica), etica (morale, sociale e religiosa) e sviluppo scientifico (potere della tecnica) si conformino ad un preciso scopo, intento ed aspirazione.
In questo quadro si inserisce, pertanto, quella che definisco nel titolo: La Kubark Society!
Il termine Kubark è sintomatico di un peculiare disegno ed architettura ideologico-istituzionale.
Famoso agli addetti ai lavori per indubitabili necessità operative sul campo delle tecniche di interrogatorio dei prigionieri, Kubark è l’oscuro (horrifico!) nome del manuale che… per primo? – magari non per primo, dal punto di vista formale di pratico elenco… certamente in termini di accurato risultato di specifiche ricerche accademiche – raccoglie il frutto di anni di sperimentazione medico-scientifica, empirica e teorica, nelle discipline della psicologia comportamentale, della psichiatria, della farmacologia, della chimica e dell’ingegneria.
Uno dei principali presupposti delle pratiche ivi descritte, in quello che risulta essere un vero e proprio manuale della tortura, è l’annichilimento della resistenza umana attraverso una serie di procedure che fissano indissolubilmente il loro preciso scopo nel minare l’equilibrio (al fine di distruggerlo) della personalità dell’individuo.
Tale processo si considerava, e si considera probabilmente tutt’ora, alla base di un secondo e conseguenziale processo: quello della ricostruzione di una nuova identità.
Radere al suolo un’individualità presente per edificare su quelle macerie [spazzando via ogni residuo “essenziale”] una “novella” identità futura.
La Kubark Society si prefigge l’evidente obiettivo di applicare questa tecnica non al singolo individuo ma alla società nel suo complesso.
“In the long run we will be all corpses”
Corpses! Cadaveri! Corpi senza vita… marcescenti!
Nella più idilliaca delle ipotesi, quindi, concime od humus, terriccio per il futuro che avanza!
L’onda ciclica delle crisi dettate da una pianificata(?) agenda economica si ripropone a strati come fosse un articolato e sofisticato scavo archeologico nel quale poter rimestare le torbide esperienze del passato e sperimentare le “allucinogene” quanto “inebrianti” proposte per il futuro.
Le crisi cicliche sono, infatti, delle altrettanto incontrovertibili oasi di opportunità.
Prove dell'esistenza del miracolo, di quel miracolo sintetizzabile nella seguente locuzione: il Terrore paga!
Il miracolo della rinascita dell'efficienza passa attraverso l’accettazione del sacrificio dettato dalla paura di non poter sopravvivere.
In più di “uno”… è stato asserito che in una situazione di crisi è possibile implementare “innovazioni” e “riforme” che, passata la buriana”, sedimentano e si ramificano rendendo quei cambiamenti imposti: “Irreversibili”!
Quel miracolo della riforma che illumina d'immenso le dinamiche produttive, lasciate finalmente libere dalle briglie della regolamentazione normativa di matrice "costituzionale".
Oasi feconde di sperimentazione, implementazione e puntellamento di sterminate (o sterminanti?) strategie sociali.
Presa in apnea da panico, a corto di fiato e di lucidità di pensiero, la mente umana reagisce appunto solo per sopravvivenza, in preda all’istinto di conservazione della propria specie.
L’uomo pertanto tenterà di salvaguardare, in primis, la propria vita e poi quella dei suoi cari, della propria famiglia diretta o allargata che sia. Costi quel che costi ed scapito di ogni altro valore, etica o morale esistenziale.
A scapito di ogni norma giuridica o sociale.
E’ quindi fin troppo stucchevole continuare a disquisire su temi come responsabilità, sostenibilità, fiducia, che ciò riguardi i mercati o l’opinione pubblica o la comunità internazionale.
E' stucchevole poiché tali elementi non son parte di una maturata valutazione super partes, possibilmente asettica e fisiologicamente oggettiva, piuttosto risultati attentamente individuati di interessi consolidati di un determinata “comune” come sopra evidenziata.
Non che sia un male di per se che vi sia un interesse o che esistano interessi che possano condizionare determinate valutazioni, non è questa la sede del biasimo fine a se stesso, purché ovviamente e comprensibilmente la natura di tali interessi non sia pregiudicante rispetto alla pluralità, ai meriti ed ai bisogni di tutti gli attori in gioco, in un delicato e continuo processo di ricerca e di mantenimento di un giusto sebben precario equilibrio.
A tal proposito la questione di fondo, infatti, rimane sempre la stessa dalla notte dei tempi:
Quale interesse stiamo servendo… Dio O Mammona?
Qualcuno lo disse, lo sostenne e lo sentenziò ed evidentemente mai fu più lungimirante e spietato nella sua lucida analisi.
Ancorché dimostrabile o meno nella veridicità degli scritti biblici, quella sentenza si dimostra oggi essenziale nelle valutazioni pratiche dell’operato di ognuno di noi: fossimo singoli interlocutori, innocui votanti o numerici sostenitori di involucri autoreferenziali della burocratica nomenclatura in essere.
Qualcuno ha già trascritto per noi, millenni or sono, questa semplice dicotomia o delirio amletico! Ma la sostanza non cambia gli avvenimenti, semmai potrà farlo la presa di coscienza.
Torniamo allora al fulcro, alla questione cruciale di questo intervento: La Kubark Society.
Ossia la società dei piani di stabilizzazione!
Cos'è un buon piano di stabilizzazione? Verrebbe propriamente da chiedersi!
Be'… immagino che ciò possa dipendere dal punto di vista dell'analisi… che ognuno di noi presume più opportuna.
Per i fautori dell’economia e della società del terrore, il punto di vista è evidentemente l’urgenza e pertanto l’emergenza.
Nell’urgenza si possono imporre più facilmente soluzioni non condivise e coercizioni normative, nell’emergenza si possono tacitamente e senza pubblico dibattito o confronto, limitare i diritti, ampliare i doveri, estendere i sacrifici con radici e cicatrici più efficaci e profonde.
Tutto diviene immanente e la celerità d’intervento sembra essere il must non eludibile, il leit motiv preponderante, il faro indicatore unico, delle proprie ed altrui decisioni.
I guru salvatori, spuntano allora da ogni cespuglio e ad ogni piè sospinto.
Salvatori della patria e di quei diritti fondamentali che si apprestano invece, sottobosco, spudoratamente, impunemente e cinicamente a calpestare.
Sarebbe infatti interessante paragonare le ultime esternazioni del neo premier in carica con quelle di seguito proposte:
“…Ora, anziché sottoporre le nuove politiche a un macchinoso dibattito al congresso o a estenuanti negoziazioni con i sindacati…, la Casa Bianca… potrebbe mettere a frutto il patriottismo che ha avvicinato molti al presidente ed il sostegno mostrato dalla stampa per smettere di parlare ed iniziare ad agire…”
(La terapia del terrore negli Stati Uniti – Politiche sulla sicurezza interna negli anni della guerra globale al terrorismo – Tratto da Shock Economy di N.Klein).
La Kubark Society si manifesta in questo! Nella pervasività ed onnipresenza della catastrofe che caratterizza, previene, anticipa, sollecita, suggerisce e sostanzialmente impone scelte forzate che non sono frutto di ponderate decisioni il più possibile condivise. Sono, invece, la logica conseguenza di “non scelte” tra la sofferenza atroce ed immediata ed il tentativo di procrastinare un destino ormai segnato dal patimento e dalla privazione.
Non dobbiamo arrenderci alla fatalità di una sofferenza indotta per piegarci al destino da qualcun altro pilotato.
Dovremmo semmai pretendere di essere noi gli attori protagonisti di quel destino e costruire tutti insieme un futuro non basato sul terrore e la sofferenza quanto più sulla condivisione, l’inclusione e la solidarietà sociale!
Elmoamf
Massimo Paglia (Ars Lazio)
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