L’obiettivo della piena e buona occupazione: un impegno in cerca di effettività
DA LA FIONDA (Di Dante Valitutti)
Nei giorni dell’elezione del nuovo Papa, la scelta del nome del successore di Pietro ha spinto più di qualcuno a domandarsi le ragioni di un richiamo così esplicito a Leone XIII, il Papa della Rerum Novarum. Ebbene è stato lo stesso Pontefice, Leone XIV, a chiarire poco dopo la sua elezione ai cardinali riuniti in suo ascolto le ragioni di quella scelta spiegando come il lavoro, nell’epoca che viviamo della rivoluzione digitale e dell’AI, sia al centro della sua ‘agenda’, dunque dell’agenda della Chiesa universale. Ed è proprio il tema del lavoro a riemergere quasi in modo carsico, oggi, nelle discussioni della dottrina, quasi fosse un “totem” cui è difficile sottrarsi.
Non si sottrae di certo a tale “totem” la bella monografia di Paolo Piluso, giovane promessa salernitana del diritto costituzionale, che alimenta il suo studio con rara passione e rigore, mai smarrendo un metodo che vuole coniugare – e sa costantemente coniugare come solevano fare i grandi giuristi di un tempo – in sé ricostruzione giusteorica e ricognizione sul diritto positivo e i principi della nostra Carta fondamentale. Ed è esattamente partendo dal principio lavorista, che di fatto permea – o dovrebbe permeare – il nostro ordinamento così come immaginato dai costituenti, che il Piluso svolge la sua argomentazione, immaginando quel principio come principio-guida e valvola di sicurezza del nostro intero sistema giuridico-costituzionale.
Si badi: nel valutare l’art. 1 (ma anche l’art. 4) Cost. quale vincolo di scopo dell’ordinamento, Piluso chiarisce subito come, in realtà, nel disegno dei costituenti, l’atto di fondare la (nostra) Repubblica democratica e anti-fascista sul lavoro (e non sui lavoratori) significasse una cosa ed una cosa sola: attribuire sin dal principio un telos ben preciso a quella Repubblica, il telos cioè della piena occupazione.
Detto per inciso, per alcuni, forse, quanto appena riferito parrebbe quasi eversivo, oggi, nel tempo della nuova costituzione materiale di matrice neo liberale, nella quale appunto – lungi dal ricercare e promuovere la piena occupazione – si ‘programmano’ al contrario da anni indici di disoccupazione come fossero un elemento indispensabile per le politiche pubbliche e la stabilità dell’ordine giuridico-economico.
Ora, la scelta – di metodo ma anche ideologica, se vogliamo – di Piluso vira esattamente in direzione contraria: in tal senso essa appare chiaramente una scelta che soffia contro lo spirito dei (nostri) tempi. In altri termini il libro che qui con sommo piacere discutiamo si presenta come un ricercatissimo (ed eruditissimo) percorso di dogmatica costituzionale che in più di un’occasione stravolge il discorso di “certa” dogmatica attuale; un percorso dogmatico tra l’altro intessuto di politica (e di teoria) del diritto – come fu quello di un certo Mengoni, ad esempio – volto a suffragare (nelle scelte del legislatore, nelle considerazioni della dottrina) un obiettivo ed uno soltanto: quello appunto della piena occupazione quale (lo ribadiamo) principio guida del nostro ordinamento.
Ancora due parole sul percorso scelto da Piluso: ebbene l’indirizzo di fondo del suo studio è esattamente quello di dare rinnovato respiro teorico a concetti crocevia – non di rado purtroppo nel passato come nel presente oggetto di voluti malintesi – al limite tra il diritto (costituzionale) l’economia e la filosofia. È un tipo di sincretismo metodologico che va apprezzato.
Da questo punto di vista non può che farsi riferimento, allora, in primis, al concetto di costituzione economica: tale concetto per il nostro alimenta un po’ tutto il discorso; per Piluso insomma la costituzione economica si fonda proprio sul (celebrato) principio lavorista in guisa tale per cui essa si integra perfettamente con la (nostra) costituzione. È questo uno snodo importante, probabilmente fondamentale: costituzione giuridica e costituzione economica nel nostro Paese insieme stanno (e insieme cadono).
In sostanza, per Piluso non può intendersi costituzione economica se non come parte della costituzione materiale in senso mortatiano, e ciò implica di fatto – e de iure – un dato fondamentale: il primato (in costituzione) del lavoro sul capitale, in qualche modo del sociale sul privato.
Consapevole di tutto questo, nel riprendere ad esempio le tesi di Schmitt, o al contrario quelle di Heller o degli ordoliberali tedeschi degli anni venti o trenta dello scorso secolo, Piluso avanza sempre con chiarezza la sua proposta: tale si basa grossomodo sulla necessità di anteporre anche oggi, soprattutto oggi, le ragioni del politico su quelle dell’economico, ma senza pensare a divaricazioni di sorta, il politico da una parte, l’economico dall’altra. Sarebbe tutto ciò un ritorno al “paleolitico” dei regimi liberali dell’Ottocento verso i quali Piluso – da costituzionalista raffinato – non pensa certo di far ritorno. Viceversa, per il nostro semplicemente l’economico deve integrarsi nel politico, fungere cioè da strumento del politico per combattere le diseguaglianze – quelle stesse diseguaglianze che la costituzione come sappiamo sin dai primi articoli si impegna a eliminare.
Ma come farlo? Proprio ponendo al centro dell’agenda – ritorna la questione dell’agenda – il tema del lavoro. In tal senso permetteteci di dire che con il nostro giovane autore la scienza del diritto costituzionale torna ad essere anche politica – su un argomento tra l’altro spinoso come pochi – del diritto costituzionale facendo chiarezza su come, in merito a certi problemi, l’oggettività o la neutralità della scienza (giuridica) è una falsa promessa della scienza (giuridica) stessa.
Insomma su un argomento come quello della piena occupazione non si può da giuristi non prendere parte, evidenziando il fatto che, nel tempo, l’idea dei costituenti – di porre al centro di tutto il sistema giuridico-istituzionale proprio il lavoro – sia divenuta, appunto, come recita il (sotto)titolo del libro di Piluso, un impegno in cerca di effettività se non un’idea contestata alla sua base.
Mi sia permesso di concludere, nel recensire il volume di un amico e di uno studioso che stimo da anni, con un passo dai vangeli: “In quel tempo Giovanni stava con due dei suoi discepoli e, fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: «Ecco l’agnello di Dio!». E i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù. Gesù allora si voltò e, osservando che essi lo seguivano, disse loro: «Che cosa cercate?». Gli risposero: «Rabbì – che, tradotto, significa maestro – dove dimori?». Disse loro: «Venite e vedrete». Andarono dunque e videro dove egli dimorava e quel giorno rimasero con lui; erano circa le quattro del pomeriggio. Uno dei due che avevano udito le parole di Giovanni e lo avevano seguito, era Andrea, fratello di Simon Pietro. Egli incontrò per primo suo fratello Simone e gli disse: «Abbiamo trovato il Messia» – che si traduce Cristo – e lo condusse da Gesù”.
Ebbene, laicamente e tuttavia rifacendosi al testo della costituzione, interpretandolo come un testo dotato di una certa sacralità giuridica – sebbene secolarizzata – Piluso si è posto alla ricerca di un messaggio di escatologia politica così come presente nel testo della Carta fondamentale. Inutile dire come abbia ritrovato quel messaggio facendolo suo, rilanciandolo con la forza di un pensiero intriso come detto di passione e rigore.
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