L’esercizio del credito nella Costituzione italiana e nel diritto dell’Unione europea
Stefano D'Andrea ARS
Tutta l’Unione europea è in radicale contrasto con la nostra costituzione economica.
Intanto il principio del libero mercato e quello della concorrenza, dogmi fondamentali dell’Unione europea, contrastano con il principio della programmazione economica, costituzionalmente stabilito. La norma fondamentale della nostra costituzione economica, quella che è stata chiamata la decisione di sistema, prevede che “La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali” (art. 41, 3° co.). Con questa norma i costituenti sceglievano un modello dirigista (N. Irti, L’ordine giuridico del mercato, 1998 – V ed. 2009), un dirigismo che deve svolgersi nel rispetto della sacrosanta tutela costituzionale dell'iniziativa economica privata, ma pur sempre di direzione politica dell'economia si tratta. E’ quasi pleonastico osservare che l’Unione europea è il contrario del dirigismo o meglio essa instaura un dirigismo che ha come destinatari gli Stati, ai quali è tolto il potere di dirigere l’economia, lasciata alle cosiddette forze del mercato. Giustamente autorevole dottrina, per definire l’Unione europea, ha utilizzato l’espressione “antisovrano” (M. Luciani, L’antisovrano e la crisi delle costituzioni, 1996; P. Boria, L’antisovrano, 2004)
Questo contrasto radicale e di principio – tra “scelte di sistema”, è stato detto – si specifica in moltissimi profili diversi. Ne sottolineo tre, connessi all’esercizio del credito.
L’art. 47 della Costituzione italiana prevede che "La Repubblica… disciplina, coordina e controlla l’esercizio del credito". E’ apparentemente una strana norma. Nella Costituzione abbiamo tante riserve di legge, che servono a dire: questa materia non può essere disciplinata dal Governo; deve essere disciplinata, talvolta soltanto nei principi (cosiddette riserve di legge relative), dal Parlamento. Qui invece abbiamo una singolare “riserva di Repubblica”. Erano matti i nostri costituenti quando scrivevano che la materia dell’esercizio del credito deve essere disciplinata dalla Repubblica? Che significa la riserva di Repubblica?
Non erano matti. Essi sapevano. Sapevano che il capitale finanziario tende a rendersi autonomo dallo Stato e tende ad assoggettare quest’ultimo, come fosse un qualunque debitore. Ecco la ragione di questa singolare riserva di Repubblica. La norma fu voluta da un deputato lucano, monarchico e conservatore: Francesco Marinaro. Antonio Pesenti, economista comunista, e Amintore Fanfani, economista democristiano, non si opposero all'introduzione della norma ma la considerarono inutile, perché, secondo il loro punto di vista, ciò che essa prevedeva sarebbe stato già previsto dalla norma generale sulla programmazione, ossia dalla norma contenuta dall'art. 41, 3° comma del testo definitivo della Costituzione (la scelta di sistema, appunto). Oggi si deve riconoscere che la proposta di Francesco Marinaro fu molto opportuna. La norma disciplina una materia che sta a monte della programmazione, un presupposto di quest'ultima.
La riserva di Repubblica è stata violata quando le direttive europee in materia bancaria ci hanno imposto le riforme dei primi anni novanta. Lo Stato italiano ha si emanato norme che disciplinano la legge bancaria (e che hanno reintrodotto la banca universale ed eliminato ogni coordinamento del credito) ma si tratta di norme eteronome: norme che lo Stato Italiano aveva assunto il dovere di emanare in conformità alle direttive (e poi del trattato di Maastricht). Quelle direttive, dunque, e le disposizioni dei Trattati europei che le sorreggevano erano contrarie alla Costituzione. O meglio l’obbligo dello Stato italiano di sottostare a direttive in materia bancaria, assunto con la legge di ratifica dei Trattati, è incostituzionale. Oggi, invece, ci troviamo nella assurda situazione per la quale se il Parlamento italiano votasse all’unanimità una legge che separasse banche d’affari e banche commerciali, e quindi vietasse la banca universale, le nuove disposizioni sarebbero in contrasto con le direttive europee e, sembrerebbe, persino con una norma costituzionale (l’art. 117 riformato), sebbene una norma che imponga di non legiferare in contrasto con i vincoli derivanti dal diritto comunitario non può, a rigore, rendere illegittima una disciplina che contrasta con un “diritto comunitario” incostituzionale.
L’art. 47 della Costituzione prevede anche che la Repubblica “coordina… l’esercizio del credito”.
La lettura degli atti dell’assemblea costituente, e in particolare degli interventi del citato Francesco Marinaro, chiarisce che si intendeva alludere alla allora vigente legge bancaria, che distingueva tra credito a breve, a medio e a lungo termine. In sostanza, sotto questo profilo la banca universale è palesemente contraria alla Costituzione. L’Unione europea, invece, impone la concorrenza di tutti gli enti creditizi che possono erogare ogni credito che vogliono. Dunque l’Unione europea vieta il coordinamento. Mentre per la Costituzione il coordinamento deve esserci e la competenza a presiedere al coordinamento spetta alla Repubblica. Là dove il dogma è il libero mercato e la libera concorrenza tra banche non c’è nulla da coordinare. Per la Costituzione, invece, il coordinamento è un dato: la assoluta e totale concorrenza in materia di esercizio del credito è dunque rifiutata dalla Costituzione.
Le nostre banche commerciali non erogavano mutui ventennali per l’acquisto degli immobili. Il credito a lungo termine – trenta anni e più precisamente oltre i venti anni – era riservato alle attività produttive e poteva essere erogato soltanto da alcuni enti creditizi. Chi può negare che i mutui trentennali abbiano concorso a generare la bolla immobiliare e poi, conseguentemente, la crisi del settore?
Oggi poi vogliono realizzare la “vigilanza bancaria europea”, anche se sembra che l’intenzione abbia incontrato ostacoli insormontabili in coloro che veramente comandano nell’Unione europea. Ho parecchie conoscenze che lavorano in Banca d’Italia che hanno mille dubbi sull’opportunità di questa scelta. Ma il problema è che c’è una norma costituzionale che prevede che “la Repubblica controlla l’esercizio del credito”.
Il contrasto tra l’art. 47 e i Trattati europei è dunque assoluto. Come assoluto è il contrasto tra la scelta di sistema: dirigismo – mercatismo.
Parole sante: ma c'è di più. L'art 47 parrebbe "incorporare" la struttura di controllo ministeriale-governativa (i vari comitati, CICCR e altri previsti dalla legge del 1936) sulla generale attività creditizia, inclusi i risvolti monetari (del tutto ovvii, dati i meccanismi di creazione della moneta procedenti dalla banca centrale e, a cascata, dall'attività intermediatrice delle banche).
Cioè parrebbe costituzionalmente del tutto dubbio che questi organismi, pur sempre espressione di indirizzi politici sottoposti alla fiducia parlamentare (e che, per la verità, non funzionarono mai a pieno regime, ma soltanto in ragione dello spirito fortemente cooperativo col tesoro che muoveva spontaneamente B.d'I), potessero essere aboliti e non sostituiti. rRinunciandosi a un compito della Repubblica che non è una mera norma costituzionale programmatica di "settore", ma, con evidenza, come d'altra parte tutta la Costituzione economica, risultava direttamente espressiva del principio (superfondamentale e intangibile dai vincoli europei) di egualianza sostanziale ex art.3, comma 2.
La Germania, ad es;, con la sentenza "Lisbona" della sua Corte cost. non ha accettato la degradazione di norme costituzionali di questo tipo; e si è riservata, come attesta l'attuale vicenda OMT, di sindacare le scelte del parlamento nel recepire e adeguarsi al quadro UE…
Onoreato della visita.
Mi sembra di ricordare che in un intervento nella commissione – quello di presentazione della proposta o quello successivo che replicava alle osservazioni relative alla presunta inutilità – Marirano chiarisse che l'autonomia dovesse essere soltanto quella dei direttori di filiale che avrebbero dovuto essere liberi di decidere a chi fare credito. Ciò sembrerebbe confermare la tua ipotesi e getterebbe un'ombra di legittimità su tutta la disciplina del rating, qui, paradossalmente, per un dirigismo che si voleva evitare. Naturalmente, però, il tuo corollario e quest'ultimo che ho aggiunto si reggono soltanto sull'argomento storico della volontà del costituente che propose la norma. La disposizione in sé considerata ha, invece, uno spazio semantico che probabilmente avrebbe reso possibili talune modifiche della legge del 1936 (di natura e contenuto del tutto diverse da quelle che sono state introdotte), salvo voler imporre un'interpretazione "salafita" della Costituzione.
Quarantotto, comunque per quanto riguarda il CICR che pur essendo organo amministrativo di fatto aveva un compito di rilievo governativo, le funzioni potevano essere trasferite al Governo, non certo alla BCE. Quindi lo si poteva estinguere ma non certo per delegare all'esterno della repubblica quelle che in fondo erano decisioni da indirizzo politico (la misura della riserva obbligatoria, per esempio). In questo senso hai senz'altro ragione