Ricciotti e altri eroi dimenticati del Risorgimento (1)
di Gianluigi Leone (ARS Lazio)
Ci sono trame del secolo XIX assai poco conosciute, che nascono e si sviluppano nella provincia italiana, lontano dai centri di potere e, apparentemente, ai margini della storia. Ovunque, lungo la Penisola, si sviluppa una spinta alla mobilitazione, a “macchia di leopardo”, come se il vento portasse in sé e diffondesse come un contagio lo spirito fiero e rivoltoso che a ondate nella storia si è annidato tra le nobili città, gli antichi borghi, le valli coltivate, i boschi e i cavalli. È il Risorgimento italiano, un fenomeno discontinuo ed eterogeneo, partito dall’istanza delle libertà civili e politiche, e approdato al concetto di indipendenza e unità nazionali. Nato non soltanto per la determinazione di singoli protagonisti, ma come espressione della volontà di emancipazione e progresso di un intero popolo.
Nicola Ricciotti (1797 – 1844)
Molti eroi rischiano l’oblio nel volgere di poche generazioni, schiacciati dalla crudele e cinica indifferenza di un’umanità reificata. Emblematico è il caso di Nicola Ricciotti, patriota martire, la cui fama di combattente, nel corso di tutto l’Ottocento, può essere paragonata a quella di cui gode Ernesto Che Guevara nel Novecento. Garibaldi volle ricordarne l’esempio chiamando il proprio quarto figlio “Ricciotti”. Lo stesso Ricciotti Garibaldi volle essere presente quando nel 1910 fu inaugurato il “Monumento a Nicola Ricciotti e ai martiri della Regione” (per regione si intendeva il territorio della ex Delegazione Apostolica di Frosinone) in piazza della Libertà a Frosinone, ai cui piedi riposano le ceneri dell’eroe e di Luigi Angeloni, cugino di Nicola e figura centrale del Risorgimento.
Monumento a Nicola Ricciotti e ai Martiri della Regione
Ricciotti nacque nel 1797 a Frosinone, nella Provincia di Campagna e Marittima, Stato Pontificio, da una famiglia di notai, avvocati e medici.
Il piccolo centro papalino, a partire dagli anni ’10 dell’Ottocento, vide fiorire la carboneria e la massoneria. Almeno tre generazioni di frusinati, per lo più esponenti della borghesia cittadina, rapiti da fervore patriottico, pianificarono, finanziarono e parteciparono in prima persona a moti insurrezionali, anche ben oltre i confini dello Stato Pontificio.
Ricciotti fece parte della seconda generazione. Era un uomo dall’aspetto comune e dal carattere trascinante. Nel 1820 possedeva un caffè distribuito su tre livelli in via della Pescheria, luogo trasformato presto in uno dei ritrovi clandestini per i patrioti della città. Si formò così un gruppo impegnato principalmente nel proselitismo e nella propaganda patriottica. Vi troviamo, tra gli altri, Luigi Marcocci – avvocato, cugino e coetaneo di Ricciotti, e futuro costituente della Repubblica Romana del 1849 – e i due fratelli di Nicola, Giacomo e Domenico. Sono giovani possidenti e benestanti che avrebbero potuto vivere una vita di agi e comodità, ma un’eccezionale forza di volontà li spinse ad amare e tentare di raggiungere un ideale quasi impossibile, spendendo tutte le proprie risorse materiali, ricevendo ferite, e perdendo, in molti casi, la stessa vita.
Crebbero scoprendo e seguendo l’insegnamento di padri, parenti o semplici concittadini impegnati nella lotta politica, d’azione o di pensiero, d’ispirazione patriottica. Il notaio Giuseppe Marcocci, padre di Luigi, era il più celebre e importante massone della città, mentre numerosi membri della famiglia Ricciotti furono implicati in disordini e attività sediziose, come Michele Ricciotti, zio di Nicola, carbonaro attivo a Napoli. L’elenco dei rivoltosi già nel 1801 era vastissimo. Si diceva che l’intero rione S. Martino fosse abitato da rivoluzionari.
Gli anziani premevano affinché le nuove leve restassero escluse da ogni ruolo attivo. Il clima verso il 1820 era diventato incandescente e le autorità del tempo ormai seguivano e annotavano in modo capillare tutti i movimenti dei cittadini sospetti, come dimostra il cospicuo materiale raccolto su Frosinone nel biennio 1820-21, conservato nell’Archivio Vaticano.
Luigi Marcocci (1797 – 1880)
Ma Ricciotti non volle aspettare. Fu introdotto alla Massoneria nel 1820 presso l’abitazione di Giuseppe Maria De Verolis, a Pofi, nonostante il parere contrario di Giuseppe Marcocci. Nel dicembre dello stesso anno fu istituita la rivendita carbonara frusinate, alle dipendenze della Vendita Perfetta di Torrice (guidata da Nicola Fabrizi). Luigi Marcocci fu nominato Gran Maestro, Nicola Ricciotti Maestro ricevitore, per le sue capacità di fare proseliti, Giacomo Ricciotti e Gaetano Giansanti Maestri terribili, Domenico Ricciotti Maestro guardia bolli e suggelli. Tra gli altri affiliati vi furono Clemente Capitani, Paolo Sodani e Giovanni Battista Turriziani. La rivendita fu intitolata “Guerrieri e Seguaci di Pompeo”, per sottolineare la fede repubblicana dei suoi adepti.
Come si temeva, la polizia fu subito informata di queste attività. (Le spie non mancarono mai…)
Come è noto, gli unici strumenti di resistenza popolare, in assenza di diritti politici e individuali, sono la cospirazione, l’imboscata, la guerriglia. Da sud giungevano venti di rivolta, e alla notizia della sollevazione napoletana, Nicola Fabrizi, in contatto con il fragile governo rivoluzionario partenopeo, riuscì a convincere i frusinati ad organizzare un’insurrezione che avrebbe condotto alla provvisoria annessione della provincia pontificia al Regno di Napoli, nonostante il Marcocci fosse di parere contrario, e intendesse ottenere la concessione di una costituzione da parte del papa.
La notte del 10 gennaio 1821, sfruttando l’assenza da Frosinone del delegato apostolico e dell’amministratore camerale della provincia, sette squadre di giovani armati partirono da sette punti distinti della città, per poi unirsi con altri gruppi dei centri limitrofi, e creare disordini presso Porta Campagiorni. Il trambusto avrebbe consentito ai reparti napoletani promessi dal Fabrizi e ai disertori pontifici radunati nel frattempo a Falvaterra di entrare agevolmente in città.
Tuttavia, le truppe napoletane si rivelarono insufficienti. Pertanto, anche a causa anche dell’inesperienza e della distanza politica tra il Fabrizi e i frusinati, il moto fallì senza che vi furono spargimenti di sangue.
Nei giorni seguenti, dopo l’arresto del Fabrizi, del Giansanti e di Domenico Ricciotti, Luigi Marcocci fuggì a Teramo, mentre Nicola, Giacomo e gli altri, ripararono a Pontecorvo.
A Teramo, il 27 gennaio, si svolse un congresso di rivoluzionari romani, guidati da Filippo Cicognani, nel corso del quale fu affidato il comando dei patrioti di Benevento, Pontecorvo e Frosinone, rispettivamente a Francesco Vasconi, Nicola Ricciotti e Luigi Marcocci.
In breve gli eventi precipitarono. Guglielmo Pepe decise di affrontare l’esercito austriaco in marcia verso Napoli. I due Ricciotti, Capitani e Turriziani si unirono alle truppe napoletane guidate da Pepe. Lo scontro avvenne a Rieti il 6 marzo del 1821, dove i rivoluzionari napoletani e laziali subirono una dura sconfitta.
Nicola Fabrizi e Nicola Ricciotti furono condannati a morte, pena poi commutata con il carcere duro a vita. Per gli altri ci furono condanne più “lievi” a decenni di carcere duro.
I fratelli Ricciotti furono rinchiusi nella Fortezza di Civita Castellana, dove, nel 1827, Giacomo morì tra le braccia di Nicola per un’infezione causata dal contatto di pesanti catene con polsi e caviglie. Le ultime parole di Giacomo furono trascritte dal compagno di cella Vincenzo Fattiboni di Cesena: “In questi casi non bisogna farsi illusioni, sento che il mio ultimo istante è vicino. Lasciamoci da forti. Quando suonerà l’ora del riscatto il mio spirito sarà con te. Se tu dovessi tornare a casa, dì ai parenti ed agli amici che io son morto per la causa della libertà”.
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La seconda parte dell’articolo: Ricciotti e altri eroi dimenticati del Risorgimento (2)
Dallo spirito risorgimentale abbiamo molto da imparare per la militanza politica.