L'intervento di Tito Boeri rifiutato dal Corriere della Sera
Il Corriere e la tolleranza
Apprendiamo ora che tale asimmetria è il frutto di una scelta editoriale. Il Corriere ha rifiutato di pubblicare interventi successivi di Boeri. Forse ritengono che le cose di Sartori facciano vendere di più, il che apparentemente dà a Sartori il diritto di offendere dicendo al contempo cose insensate, mentre toglie agli altri, in particolare agli oggetti dei suoi attacchi personali, il diritto di replicare. Da parte di un foglio che si mostra tanto preoccupato per la libertà, la tolleranza, e la nefasta influenza che su di esse possono esercitare gli immigrati, diremmo che non c'è male.
Detestiamo la censura in tutte le sue forme e in tutte le sue manifestazioni. Per questa ragione abbiamo deciso di pubblicare l'intervento di Tito Boeri che il Corriere ha rifiutato. Non perché ci prema prendere posizione a favore dell'uno o dell'altro, ma perché riteniamo che solo la discussione libera e senza censure possa produrre buoni ragionamenti e buone decisioni. Sfortunatamente per il Corriere (e per i tanti intolleranti che girano per il mondo) le tecnologie moderne rendono la diffusione del pensiero molto più facile che nel passato. Siamo coscienti che il nostro blog è poca cosa rispetto al Corriere, ma sappiamo anche che la goccia scava la pietra. E noi non siamo l'unica goccia.
Quella che segue è una versione estesa dell'intervento che Tito ha mandato al Corriere. Tito ci ha comunicato che il direttore, Ferruccio de Bortoli, aveva invitato a mandare una replica di 50 righe, ma poi ha cambiato idea e ha deciso di non pubblicarla. Le ragioni non sono note, possono solo essere congetturate …
Caro Direttore
i terribili avvenimenti di Rosarno mostrano in modo inequivocabile quanto sia cruciale il tema dell’integrazione degli immigrati nella società italiana, su cui lei ha deciso di aprire un dibattito sul suo giornale. Ci dicono che i flussi migratori sono non solo fonte di grandi benefici economici, ma anche di gravi tensioni sociali per le comunità che li ospitano. Dimostrano al contempo come sia riduttivo (e intellettualmente disonesto) confinare alla dimensione religiosa il problema dell’integrazione. La tesi sull’”impossibile integrazione degli islamici” è stata sostenuta sulle sue colonne con riferimenti storici quanto meno azzardati (non è vero che i mussulmani hanno imposto la propria fede con forza in India sotto l’impero dei Moghul, non è vero che solo la cultura islamica ha prodotto chi si fa uccidere per uccidere, basti pensare ai kamikaze o ai guerrieri Tamil), e su testi di autori, come Toynbee, scomparsi 35 anni fa, quindi impossibilitati a studiare il lungo processo di integrazione delle minoranze islamiche nelle società europee contemporanee. Non un solo dato è stato citato a supporto di questa tesi così impegnativa. Né sono stati presi in considerazione le statistiche che avevo fornito e che documentano che l’integrazione di minoranze mussulmane nei paesi a più antica immigrazione è difficile, ma tutt’altro che impossibile.
Il compito di uno studioso è quello di fornire informazioni sui casi tipici, sui grandi numeri (di aneddoti ed eccezioni è costellata la nostra vita quotidiana). Approfitto allora di questo spazio per far nuovamente parlare i dati, questa volta sulla realtà dell’immigrazione nel nostro paese, alla luce della prima indagine rappresentativa degli immigrati clandestini condotta in Italia, a cura della Fondazione Rodolfo Debenedetti, nel novembre-dicembre 2009. Primo dato: un italiano su tre non vorrebbe avere un mussulmano come vicino di casa; pochi meno di quanti non vorrebbero estremisti (di destra o sinistra) o malati di aids nella porta accanto; tre volte la percentuale di italiani che non vorrebbero ebrei come vicini di casa. Secondo dato: gli immigrati in provenienza da paesi mussulmani parlano più spesso l’italiano, mandano i loro figli alla scuola pubblica e hanno più frequenti contatti con italiani delle altre minoranze, soprattutto dei cinesi. Terzo dato: gli immigrati, di tutte le etnie, lavorano più degli italiani (il loro tasso di occupazione è del 15 per cento superiore al nostro) sebbene circa un quarto di loro sia presente irregolarmente nel nostro paese, non abbia permesso di soggiorno e regolare contratto di lavoro.
Il primo dato spiega molte reazioni dei lettori; fa riflettere anche sul comportamento di chi, dopo aver compiaciuto la vox populi, conta il numero di commenti favorevoli raccolti sul sito web del suo giornale. Il secondo dato apre speranze sull’integrazione dei mussulmani nel nostro paese; soprattutto se sapremo investire, come in altri paesi, nel sistema scolastico, come strumento per trasmettere la nostra identità culturale. Pone dubbi sulla decisione di imporre un tetto del 30 per cento agli immigrati nelle nostre scuole. Ci sono comuni in cui l’80 per cento della popolazione è straniera: dovremmo forse impedire ai figli di questi immigrati di andare a scuola? Il terzo dato è cruciale per capire come contrastare davvero l’immigrazione clandestina, nei fatti e non con le parole. Rafforzando i controlli sui posti di lavoro per contrastare l’impiego in nero degli immigrati si può essere molto più efficaci che introducendo nuove leggi (come quelle che istituiscono il reato di immigrazione clandestina) destinate a non essere applicate.
Non ho le rocciose certezze di alcuni suoi editorialisti che hanno risposte su tutto: dalle riforme costituzionali, al rapporto fra islam e immigrazione, al modo con cui salvare la Terra dagli effetti del cambiamento climatico. Essendo indiscutibilmente più limitato, temo di non avere risposte a molti quesiti posti dai lettori. Ma di una cosa sono convinto: queste risposte non possono alimentarsi sui pregiudizi né essere trovate nelle (peraltro autorevoli) pagine di libri scritti alcuni decenni fa. Dovremo avere tutti l’umiltà di dubitare, di osservare per imparare, di farci aiutare dai dati e dai numeri. In fondo è proprio questo che trovo interessante nel mio lavoro
La ringrazio ancora per lo spazio che mi ha gentilmente concesso
In realtà l'intervento è stato pubblicato sulla edizione online