L'uso strumentale della crisi.
Questo articolo cercherà di arricchire il dibattito sulle prospettive future della zona euro, commentando dei grafici basati sulle serie storiche di determinati indicatori economici, partendo dallo scoppio della crisi dei mutui “sub-prime” per arrivare alla fine del 2013.
Le locuzioni “riforme strutturali” e “cultura della stabilità”, sono ormai divenute di dominio pubblico, tanto da far compagnia, in tutti i bar della penisola, ai sempreverdi strali contro la corruzione e l'evasione fiscale. Di questo arricchimento lessicale possiamo, senza dubbio, essere grati al fronte, amplissimo e trasversale, che primeggia in tutti i media nazionali.
Fatto meno noto ai più è che, molte di queste “riforme”, sono state già fatte ed hanno puntualmente sortito gli effetti desiderati dall'attuale “governance” dell'Unione Europea, ben conscia dei voluti “effetti collaterali” che si sarebbero inevitabilmente manifestati.
1. Il saldo con l'estero.
Il primo grafico in esame fa un quadro generale di cosa sta succedendo ai conti con l'estero degli stati maggiormente coinvolti nel processo di riequilibrio messo in atto a seguito dello scoppio della crisi dei mutui “sub-prime”.
Grafico 1
Possiamo facilmente vedere come ci sia un singolo paese che, dall'alto del suo persistente avanzo con l'estero, vede tutti gli altri paesi, eccetto la Francia, arrancare per ottenere anch'essi un saldo positivo.
Ad una prima analisi, questo potrebbe apparire come un grande successo, vista la persistenza di consistenti saldi negativi negli anni precedenti ma, in seconda battuta, ci si può rendere conto di come tale “aggiustamento” sia completamente a carico dei paesi etichettati come “PIIGS” e si basa, come poi si vedrà, su una domanda interna che dovrà essere sempre in calo rispetto a quella estera.
Ma come si sta, nel dettaglio, raggiungendo questo risultato?
2. La dinamica dell'inflazione.
Possiamo tentare di fornire una plausibile spiegazione andando ad analizzare le dinamiche dell'inflazione e della domanda interna.
Il grafico 2 mostra l'andamento del deflatore del PIL rispetto al 2007, preso come anno di riferimento.
Grafico 2
Il primo dato che salta all'occhio è quello dell'Irlanda, che evidenzia come lo scoppio della bolla dei derivati abbia prodotto un effetto deflativo immediato, contribuendo a far scendere il valore di questo indicatore di 8 punti in tre anni.
Altro dato evidente è quello greco, caratterizzato da una sostanziale crescita dell'indice fino al 2011, anno dopo del quale si riscontra una netta inversione di tendenza che può, parzialmente, spiegare il miglioramento dei conti con l'estero.
In generale, considerando il resto dei paesi, si nota una generale tendenza al mantenimento di un basso livello di crescita dei prezzi, atto a recuperare lo svantaggio cumulato con la Germania durante tutta l'esperienza della valuta unica.
Possiamo meglio evidenziare il processo di riallineamento dei differenziali di inflazione con il grafico 3, che mostra l'evoluzione dei prezzi nei singoli paesi in relazione con quelli tedeschi.
Grafico 3
Il recupero di competitività, in teoria, dovrebbe avvenire nel momento in cui tutte le linee spezzate andranno a convergere con la retta in basso, ovvero in tempi differenti a seconda della pendenza, data da quanto l'inflazione di ogni singolo paese differisce con quella tedesca. Si può affermare che, stando così le cose, per Italia e Francia, ciò non avverrà in tempi ragionevoli e, con tutta probabilità, il prossimo futuro comporterà ulteriori “sacrifici” di “forneriana” memoria.
3. Effetti sui salari.
Il grafico 4 mostra l'evoluzione della quota salari sul PIL dei singoli paesi tra il 2007 ed il 2013.
Grafico 4
E' palese come ci siano delle profonde differenze tra un'economia e l'altra e fa riflettere come sia basso il valore di tale indicatore per Grecia, Irlanda ed Italia.
Il grafico 5 evidenzia le traiettorie di tali valori, sempre rispetto al 2007 come anno di riferimento,
Grafico 5
Il calo della quota salari, dal 2009, è riscontrabile, in maniera più evidente, in quasi tutti i paesi, con l'eccezione di Germania ed Italia che, tra il 2011 ed il 2012, hanno riscontrato un lieve aumento e Francia, interessata da una marginale flessione.
Grecia, Spagna e Portogallo hanno manifestato le flessioni più nette dal 2011, mentre l'Irlanda si è distinta per il brusco calo tra il 2009 ed il 2011, dopo aver segnato un netto aumento, tra 2007 e 2009, dovuto alla deflagrazione della bolla finanziaria che ha evidentemente ridotto la quota profitti più di ogni altro paese esaminato.
4. Tassazione sulle famiglie.
Il grafico 6 illustra l'evoluzione della tassazione sui redditi e la ricchezza delle famiglie in proporzione al PIL, ed il 7 ne evidenzia la variazione rispetto al 2007 come anno di riferimento.
Grafico 6
L'Italia, su questo fronte, può vantare un poco invidiabile record…
Grafico 7
In ogni caso si riscontra un generalizzato aumento, rispetto al PIL, delle tasse sulle famiglie, con accelerazioni davvero brusche per Grecia e Portogallo e, comunque, molto significative per tutti gli altri paesi, con Francia ed Irlanda in testa. Curioso è il parziale dietro front, nel caso greco, tra il 2012 ed il 2013 che, tuttavia, riduce marginalmente il cumulo degli aumenti passati.
5. Effetti sui consumi privati.
Il grafico 8 visualizza l'evoluzione, a prezzi costanti, dei consumi individuali nei rispettivi paesi.
Grafico 8
Ed il grafico 9 ne evidenzia le variazioni rispetto i valori del 2007.
Grafico 9
Ora, a parte il lieve aumento dei consumi individuali tedeschi e la sostanziale staticità di quelli francesi, nel resto dei paesi presi ad esame si manifestano dei cali vertiginosi con la Grecia a tenere la bandiera con quasi 30 punti percentuali in meno rispetto al 2008.
In Italia, la contrazione più brusca ha avuto inizio nel 2011, notoriamente l'anno dell'avvento del governo Monti il quale, alla CNN, in lingua inglese e lontano dai riflettori nazionali, si è espresso con tali termini: “Stiamo effettivamente distruggendo la domanda interna attraverso il consolidamento fiscale.” [http://megachip.globalist.it/Detail_News_Display?ID=90120]
[Quindi, sottolineo, sanno quello che fanno e ne cercano di rendere accettabili le conseguenze in nome di un fantomatico ideale superiore o vincolo esterno, il famoso: “Ce lo chiede l’Europa” che tralascia, sempre e comunque, il piccolo dettaglio che l’Italia fa parte dell’Europa e, a quanto pare, non ha mai chiesto ed ottenuto alcunché. Ndr.]
6. Effetti sugli investimenti.
Passiamo ora ad esaminare il grafico 10, relativo agli investimenti lordi in capitale fisso espressi in percentuali di PIL, ed il grafico 11, che ne evidenzia le variazioni rispetto al 2007 come anno di riferimento.
Grafico 10
Grafico 11
E' eloquente il drastico calo generalizzato di questo dato ed è facile notare i casi clamorosi di Portogallo, Spagna, Irlanda e Grecia che hanno segnato riduzioni tra il 30% ed il 50% .
L'Italia si trova in una condizione intermedia, con flessione dell'ordine del 20%, mentre Germania e Francia hanno manifestato leggeri recuperi dal 2009 per sperimentare, dal 2011, cali di entità significativamente ridotta rispetto agli altri paesi.
[Il quadro, nel complesso, è disastroso e mostra come, alla luce dei fatti, l'effetto Pigou non esista nella realtà. Ndr.]
7. Effetti sulla produzione industriale.
Il grafico 12 mostra l'andamento dell'indice di produzione industriale, ribasato al 2007.
Grafico 12
Come era prevedibile dedurre dai dati precedenti, anche tale indice mostra dei sostanziali cali generalizzati, con Grecia, Spagna ed Italia fanalini di coda.
E' da notare come il dato relativo ad Irlanda e a Germania abbia sperimentato un netto rimbalzo dopo il netto calo del 2009, tornando a livelli appena inferiori a quelli del 2007 nell'arco di un anno, il primo e di due il secondo.
Il caso Irlandese potrebbe essere in parte spiegato dal fatto che l'esplosione della bolla dei derivati ha effettivamente trascinato verso il basso i prezzi, senza dover incidere subito in maniera drastica sui salari come nel caso greco, riguadagnando rapidamente competitività nelle esportazioni.
Per avere parziale conferma di questa ipotesi basta tornare guardare il grafico 5 che mostra, sempre nel caso irlandese, una quota salari su PIL addirittura in crescita dal 2007 al 2009 [segno di salari che scendono meno dei profitti Ndr.], proprio negli anni in cui il deflatore del PIL è sceso di circa 7 punti complessivi, confrontando il tutto con l'andamento del saldo sull'estero, riportato nel grafico 1, che ha segnato dei miglioramenti netti.
[C’è da ribadire che, gli ulteriori miglioramenti del saldo con l’estero, sono stati poi raggiunti agendo sia sui salari (2009-2011) e sia sulle tasse (2010-2013), ovvero comprimendo la domanda interna ma, comunque, continuando a beneficiare dell’effetto deflativo iniziale. Ndr.]
Il caso tedesco, come analizzato nell'articolo precedente, è dovuto al massiccio export che la Germania ha potuto permettersi usando a suo vantaggio la moneta unica, svalutando internamente ed imponendo ai suoi concorrenti, tramite le istituzioni UE, dei vincoli, “stranamente” stringenti con alcuni paesi e molto laschi con altri, che ne rendono estremamente difficoltoso il recupero di competitività.
[Proprio in questi ultimi giorni, il segretario di Stato tedesco agli Affari europei Michael Roth si è distinto per aver proferito le seguenti parole: “Con bassi salari e precariato ci siamo dotati di un vantaggio (competitivo) sleale ai danni dei nostri partner”. http://www.tmnews.it/web/sezioni/news/mea-culpa-germania-bassi-salari-ci-danno-vantaggio-sleale-PN_20140221_00164.shtml Ndr.]
8. Effetti sulla disoccupazione
Analizziamo ora l'andamento della disoccupazione con il grafico 13, che la mostra in percentuale di forza lavoro, ed il grafico 14, che ne indica il dato di quella giovanile.
Grafico 13
Grafico 14
Qui i grafici si commentano da soli ed è evidente il disastro su larga scala che tale procedura di riequilibrio sta producendo su gran parte della zona euro, con paesi che hanno anche raddoppiato o, addirittura, triplicato il tasso di disoccupazione nell'arco di pochissimi anni.
La Francia sembra resistere, sperimentando l'aumento più contenuto, mentre la Germania è caratterizzata da un dato in continuo calo. L'Irlanda ha manifestato una netta impennata dal 2007 al 2012, dove aveva triplicato il valore di partenza, per poi accennare un miglioramento tra il 2012 ed il 2013.
Da sottolineare la fortissima accelerazione del dato greco che, nell'arco di cinque anni, ha raggiunto e superato il dato record relativo alla Spagna.
L'Italia ed il Portogallo mostrano un andamento simile per quanto riguarda la disoccupazione giovanile mentre, per quella totale, il secondo manifesta un valore finale superiore di circa il 4%.
[Il governo Monti pare essersi distinto ancora una volta, producendo una variazione netta, in senso peggiorativo, di questo indicatore. Ndr.]
9. Effetti sui conti pubblici.
Nel grafico 15 possiamo osservare l'evoluzione del rapporto debito pubblico / PIL dei singoli paesi in esame.
Grafico 15
A quanto pare no e, come è evidente, in nessun caso tale rapporto si è ridotto ed è piuttosto esploso, in particolare in Irlanda, Spagna, Grecia e Portogallo.
Da notare, anche questa volta, il dato italiano che, dal 2009, mostrava un andamento di lieve incremento, subendo poi un'accelerazione nel 2011, [sempre l’anno del famigerato governo Monti. Ndr. ] che ha portato il rapporto dal 120 ad oltre il 130% del PIL nel 2013.
Verifichiamo ora come tali debiti pubblici siano aumentati rispetto al PIL.
Il saldo totale e quello primario, dei singoli bilanci pubblici, sono illustrati dai grafici 16 e 17.
Grafico 16
Qui appare evidente come l'esplosione della bolla dei derivati abbia inciso sulle finanze pubbliche irlandesi, con una massiccia socializzazione delle perdite, evidenziata da quel -30% del saldo pubblico del 2010.
Il dato migliore sembra, ancora una volta, essere quello della Germania che è l'unico stato che riesce a mantenere i conti pubblici in pareggio. Tutti gli altri, malgrado gli enormi sforzi, non riescono nell'intento e si assestano, nel 2013, a valori di deficit compresi tra il 3% dell'Italia ed il 13% della Grecia. Quest'ultimo valore spiega anche la riduzione della tassazione sulle famiglie sperimentata tra il 2012 ed il 2013 di cui al grafico 7.
Grafico 17
Analizzando i dati relativi al saldo primario, si scopre che l'Italia, nonostante la difficoltà di mantenere un attivo di bilancia dei pagamenti, può vantare un valore di avanzo primario sovrapponibile a quello tedesco, contrariamente a tutti gli altri paesi, costantemente in deficit dal 2008.
Quando in precedenza si accennava ad un trattamento “stranamente” difforme, si intendeva proprio questo. A quanto pare il vincolo esterno viene usato in maniera più rigida o più morbida a seconda di determinati e non esplicitati obiettivi da raggiungere. Desta quindi curiosità il motivo di tanta selettiva inflessibilità. Mi chiedo come mai, solo nel nostro caso, non sia possibile espandere il deficit per, ad esempio, ridurre il cuneo fiscale senza andare ad impoverire ulteriormente la popolazione o, magari, ricostruire zone interessate da disastri ambientali.
Il grafico 18 illustra, in fine, l'evoluzione del PIL reale dei singoli paesi.
Grafico 18
Come prevedibile, essendo il risultato complessivo, al netto dell'inflazione, di molte delle dinamiche illustrate, non fa altro che confermarne il quadro desolante.
Solo la Germania sembra riuscire effettivamente a crescere anche se, dal 2011, anch'essa subisce il rallentamento che, per quasi tutti gli altri paesi, eccetto Francia ed Irlanda, si è tramutato in ulteriore recessione, dopo quella dovuta allo scoppio della crisi.
Da questo se ne può dedurre che gli aggiustamenti abbiano fatto peggiorare i conti pubblici di molti paesi, deprimendone ulteriormente la crescita.
10. Considerazioni finali.
Ora, alla luce dei dati analizzati, ci si interroga sull'entità dei danni che tali procedure di riequilibrio arrecheranno complessivamente a tutti i paesi interessati e se si prospetta o meno un'inversione di tendenza una volta che ciò sia arrivato a conclusione.
Date le condizioni attuali e le possibilità di intervento consentite dai trattati europei, si può affermare che, l'intera zona euro si avvia, nella migliore delle ipotesi, ad essere un blocco di paesi in perenne deflazione, con l'intento di competere, sul prezzo, con il resto del globo.
L'impressione è che si stia sperimentando la presunta efficacia di un modello di crescita che si basa su un'aspettativa di calo costante della quota salari a favore di quella dei profitti, con la speranza di generare nuovi investimenti nel medio lungo termine. Il primo effetto risulta ottenibile solo mantenendo un alto tasso di disoccupazione, con effetti disastrosi sulle condizioni di vita delle generazioni presenti e quelle a venire, interessate ad avere tagli crescenti di servizi pubblici e welfare nonché aumenti di tasse, dovuti agli inevitabili peggioramenti delle finanze pubbliche.
Questa sembra essere la famigerata “cultura della stabilità” di montiana memoria che, fino a prova contraria, non sembra aver dato alcun frutto reale, se non quello di innescare una spirale autodistruttiva, con una domanda interna complessiva in forte calo, non compensata da un aumento di domanda estera che mai sarà garantito.
Visto l'esito disastroso del consolidamento fiscale, ci si domanda se ciò non sia, in realtà, un uso strumentale di una crisi che aspettava solo il momento di essere scatenata, per essere poi mantenuta per abbattere ogni residuo di stato sociale e di protezione dell'occupazione.
Possiamo veramente affermare che le scelte dalla UE siano ispirate della giustizia sociale?
Si può seriamente ritenere che tutto ciò sia in linea con i principi di una Repubblica Democratica Fondata sul Lavoro?
Antonello Nusca – ARS Abruzzo
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