La concorrenza artificiosamente naturale
Sulla concorrenza e il libero mercato si è detto tanto e da autori molto più preparati di me.
Ho notato che nel dibattito, spesso si ricorre a significati di concorrenza che ne allargano il dominio fino a comprendere anche la parte animale dell’uomo. Si parla di competizione per le risorse e darwinismo sociale. Le due argomentazioni opposte che maggiormente utilizzano il concetto di competizione sono la creazione di “eccellenza” e il disagio economico e sociale degli “ultimi”. Tutte e due includono i concetti di lotta per l’esistenza, selezione darwiniana e quindi, evoluzione naturale. Tutte e due, però, danno un’interpretazione impropria della teoria di Charles Darwin.
Lo studioso inglese arrivò a formulare il cuore della sua teoria osservando la selezione che gli allevatori esercitavano sui loro animali per ottenere varietà fenotipiche migliori (i caratteri fisici direttamente osservabili) per i propri scopi di mercato. Queste osservazioni le trasferì agli animali selvatici che dovevano competere tutti i giorni per la propria vita ( struggle for life), sviluppando il concetto di selezione naturale e evoluzione.
In breve, oggi si sa che gli animali, o più esattamente le specie cui appartengono, si evolvono per adattarsi sempre meglio all’ambiente che li circonda. La selezione naturale è lo strumento casuale dell’evoluzione che, agendo come una rete a maglie larghe, screma le popolazioni animali avvantaggiando gli individui più adatti (o meglio sfavorendo i meno adattati) alle condizioni ambientali presenti in quel preciso momento storico e geografico. Le tattiche che i vari gruppi utilizzano per sopravvivere vanno dalla competizione diretta, all’aiuto reciproco e all’altruismo (sempre nella stessa specie).
I concetti su cui vorrei soffermarmi sono:
1) La selezione naturale non ha direzionalità, non è progressiva verso i migliori in senso assoluto, semplicemente seleziona i più adatti in quel preciso momento storico, se l’ambiente cambia improvvisamente, si salveranno individui con caratteristiche totalmente diverse dai primi;
2) La selezione naturale, per essere evolutivamente efficace, lavora sulle specie e non sugli individui. È la specie che evolve nel tempo, grazie all’ereditarietà dei caratteri selezionati, e non l’individuo;
3) La competizione diretta per le risorse è solo uno degli innumerevoli modi con cui le specie cercano di adattarsi all’ambiente per passare indenni la selezione;
4) La variabilità genetica e fenotipica, ossia l’insieme delle differenze tra i singoli individui, è il substrato su cui agisce la selezione naturale.
Riassumendo, in natura non sono selezionati i migliori assoluti, è preferito il successo di gruppo rispetto al successo del singolo, non esiste solo la competizione ed è garantito un bacino di variabilità individuale elevata in modo da rispondere efficacemente a qualunque stress ambientale che il gruppo potrebbe subire nel tempo.
LA CONCORRENZA DI MERCATO NON SI BASA SU ALCUNA LEGGE NATURALE PRE-DETERMINATA
Quindi non è un sistema naturale che sostanzia la vittoria in un mondo dominato dalla concorrenza, ma un insieme di sovrastrutture economiche costruite per confermare l’ideologia culturale dominante: il capitalismo assoluto (per dirla alla Fusaro!).
Anche i problemi scientifici risentono pesantemente del periodo storico in cui sono studiati, infatti l’ideologia dominante ne determina le domande cui essi dovranno rispondere (cfr. L’ape e l’architetto di Ciccotti). In particolare, sia la biologia ( cfr. le opere di Ernst Mayr) sia l’economia essendo scienze che studiano processi storici, in cui la variabile tempo spesso non è valutabile in una singola osservazione, sono particolarmente influenzate dal pensiero dominante. Anche perché la storia la scrivono i vincitori…
E non solo la storia, anche le regole con cui si valuta il merito sono create da chi ovviamente vuole mantenere posizioni di potere più a lungo possibile. La meritocrazia inoltre, è un concetto antidemocratico, poiché garantisce posizioni di privilegio a pochi attraverso una vera e propria discriminazione, basata sul merito (difficilmente quantificabile con parametri oggettivi e quindi facilmente manipolabile). Questo non vuole dire che non si devono premiare i meritevoli, ma che non bisogna rincorrere l’eccellenza in modo assoluto e fideistico. A questo proposito vi propongo un pensiero del laburista inglese Michael Young che nel 1954 coniò il termine meritocrazia:
“Se valutassimo le persone non solo sulla base della loro intelligenza ed educazione, le loro occupazioni e il loro potere, ma sulla base della loro gentilezza e del loro coraggio, della loro immaginazione e della loro sensibilità, della loro simpatia e della loro generosità, non avremmo nessuna disuguaglianza di quelle cui siamo abituati. Chi potrebbe sostenere che uno scienziato sarebbe superiore a un facchino che ha la dote di essere un ottimo padre, il funzionario pubblico al camionista con un’abilità particolare per coltivare rose? Una società pluralistica dovrebbe essere una società tollerante, in cui le differenze individuali dovrebbero essere incoraggiate più che tollerate passivamente, in cui sia dato pieno significato alla dignità delle persone. Ogni essere umano avrebbe così uguali opportunità per sviluppare le sue speciali capacità per condurre una vita degna nell’interesse e in beneficio degli altri come di se stesso”.
Esaltare le differenze individuali e il pluralismo: lo stesso principio su cui si basa l’evoluzione darwiniana; un processo che è stato provato con successo per milioni di anni!
Il principio basato sulla concorrenza e il mercato dell’Homo oeconomicus su cui l’Unione Europea si fonda ha fallito. Dobbiamo ripensare a forme istituzionali più rispettose delle differenze individuali ed economiche, ma per fare questo abbiamo bisogno di un cambio di paradigma culturale (soprattutto nel dominio delle scienze) che ci permetta di vivere in un modello di società in cui ne valga la pena.
“I governi, l’economia, le scuole, tutte le istituzioni sociali non esistono a beneficio delle minoranze privilegiate. Esse esistono a beneficio della gente comune, che non è particolarmente intelligente o interessante, che non ha un alto livello di istruzione, non ha successo o non è destinata al successo e che insomma non è niente di speciale. Le istituzioni esistono per le persone che, nel corso della storia, sono entrate come individui, al di fuori dei gruppi a cui appartenevano, solo perché i loro nomi sono registrati all’anagrafe con le date di nascita, di matrimonio e di morte. Ogni società in cui valga la pena di vivere è costruita per loro, non per i ricchi, gli intelligenti, gli eccezionali, anche se ogni società in cui val la pena di vivere deve offrire a tali minoranze uno spazio e un ambito di azione. Ma il mondo non è fatto per il nostro tornaconto personale e neppure noi siamo nel mondo per il nostro personale vantaggio. Un mondo che afferma che questo è il suo scopo non è un buon mondo e non dovrebbe durare”. Hobsbawm E.J
Davide Visigalli
ARS Liguria
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