Di sanità leggere, di reti primarie, di terzi settori
Ogni tanto capita di ascoltare o leggere sui media interviste o articoli che esprimono perfettamente lo spirito del nostro tempo, lo zeitgeist di questa gaglioffa postmodernità sociopatica che ha permeato la nostra cultura di socialdarwinismo. La cosa più sorprendente è la naturalezza con cui certi concetti vengono espressi, al punto che se uno non fa mente locale non li nota nemmeno, segno dell’introiezione di una linea di pensiero che tanto estranea ci fu ieri quanto ci è familiare oggi.
Giorni fa ho ascoltato sul GR3 una breve intervista a certa Giuliana Baldassarre, docente di Pubblica Amministrazione, Sanità e No-profit all’università – manco a dirlo – Bocconi. Si parlava della spesa sanitaria, che l’ISTAT descrive in forte diminuzione. Ciò che affascinava era ascoltare con quanta cura venivano scelti termini e circonlocuzioni per dare al fenomeno una connotazione quanto più positiva possibile, un magistrale compendio di ipocrisia e reticenza che la brevità dello spazio radiofonico rendeva ancor più significativo.
Per l’illustre studiosa, le minori spese si devono in parte a una diminuzione del reddito (aspetto negativo) che ha costretto a razionalizzare (aspetto positivo, implicazioni morali) le spese famigliari.
Ma si devono ricondurre, anche, alla “caduta di forme contrattuali nel mercato del lavoro che prevedevano pacchetti sanitari ad esso collegati”, (aspetto meramente tecnico) ciò che ha comportato per il dipendente il venir meno della “possibilità di scegliere forme di sanità privata”.
Il che sarà anche vero, ma non andrebbe trascurato di precisare che in generale la possibilità venuta meno, per il dipendente, è quella di continuare a essere tale. E che in un contesto di occupazione decrescente dove è la precarietà a prevalere, le uniche forme contrattuali che permangono sono quelle che contemplano l’alternativa fra il “ti va bene così” e il “sennò te ne vai”, le quali notoriamente non prevedono alcun pacchetto sanitario collegato.
La caduta (per la prima volta) del numero delle assistenze domiciliari – 4000 unità in meno! (aspetto negativo) – implica il “recupero di un capitale sociale che era stato perso” (aspetto positivo, implicazioni fortemente morali): ora è la famiglia – la “rete primaria” – che torna a farsi carico dei propri anziani. Si riscoprono dunque, secondo la Baldassarre, il valore dei legami famigliari, l’importanza degli affetti. D’altra parte è noto che in questa crisi le pensioni e i risparmi degli anziani sono il primo e più importante ammortizzatore sociale per i famigliari disoccupati; con l’impegno assistenziale di questi nei confronti di quelli il cerchio si chiude felicemente, in una sorta di micro-welfare domestico, autarchico – per così dire, che l’Europa finirà per prendere a modello.
L’ultima domanda, a proposito della riforma sanitaria integrativa allo studio della Ministra Lorenzin, con il “privato che interagisce con il pubblico” [ahi!], trova una risposta all’altezza di tutto il pezzo e lo chiude degnamente: “l modello vincente secondo me prevede l’intervento anche degli attori del terzo settore. Che possono fornire servizi a un prezzo inferiore a quello offerto dal settore privato e con una qualità uguale a quella che viene offerta dal settore pubblico e privato. Le cosiddette forme di “sanità leggera” che prevedono l’intervento del privato sociale.”
Detto in altri termini, quello evocato dalla Baldassarre è un modello in cui la sanità privata avrà il ruolo preponderante, mentre quella pubblica sarà relegata alla sussidiarietà marginale. Coloro che potranno permettersi una costosa assicurazione integrativa si serviranno delle strutture e delle eccellenze offerte da un mercato elitario che taglierà fuori le fasce popolari, le quali dovranno accontentarsi delle sempre minori e sempre più fatiscenti prestazioni pubbliche oppure, male che vada, affidarsi alle associazioni di volontariato laddove esistano. Una cosa tipo questa.
Riconosco però che come esposto dalla Baldassarri suona meno allarmante. Non per niente lei è prof alla Bocconi, io no.
Da quel che ho capito i GR sono disponibili sul sito RAI per quattro anni e mezzo. E’ un peccato, perché certi documenti dovrebbero essere conservati indefinitamente a beneficio degli storici e degli antropologi, che in un futuro speriamo meno atroce avranno tempo di interrogarsi sui meccanismi per cui l’alba del XXI secolo, così promettente, portò a un medioevo più cupo del precedente.
Trascrivo perciò a futura memoria il testo dell’intervista, che per il momento potete trovare qui (a partire dal minuto 7:50):
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La spesa sanitaria privata delle famiglie è diminuita, questo per due ordini di motivi. La diminuzione di reddito che ovviamente ha razionalizzato e ridimensionato le spese famigliari […] la caduta di forme contrattuali nel mercato del lavoro che prima prevedevano polizze e pacchetti sanitari ad esso collegate per il dipendente che quindi poteva scegliere forme di sanità appunto privata.
D: Nel 2014, per la prima volta, è anche calato il numero delle assistenti domiciliari, 4000 in meno. Anche questo è un segnale di cedimento del welfare privato a livello famigliare?
R: Senz’altro, si recupera forzatamente un capitale sociale che era stato perso, cioè il ricorso all’aiuto della rete primaria: l’assistenza domiciliare agli anziani viene presa in carico da altre persone della famiglia.
D: Allo studio della ministra Lorenzin c’è la riforma della sanità integrativa, il privato che interagisce [sic]con il pubblico. Qual è il modello che può funzionare?
R: Il modello vincente secondo me prevede l’intervento anche degli attori del terzo settore. Che possono fornire servizi a un prezzo inferiore a quello offerto dal settore privato e con una qualità uguale a quella che viene offerta dal settore pubblico e privato. Le cosiddette forme di “sanità leggera” che prevedono l’intervento del privato sociale.
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