Su Mazzini e l’idea di Nazione
Nel periodo in cui lo Stato nazionale non si era ancora affermato e gli imperi multietnici dominavano in vaste aree dell’Europa, il pensiero e l’azione di Giuseppe Mazzini influirono idealmente e ideologicamente sui singoli movimenti risorgimentali e dell’Italia e degli altri Paesi. Questi recepirono il messaggio mazziniano, adattandolo alle esigenze locali così come adeguarono tattiche, indirizzi ed esiti delle lotte per l’indipendenza a vari e altri fattori, sia interni sia esteri. L’equilibrio tra le Potenze, l’azione diplomatica e l’interesse economico pesarono sulla bilancia politica ancor più dei principi mazziniani, ragion per cui gli studiosi considerano Mazzini, soprattutto dopo il 1849, un uomo politicamente sconfitto, perché non ottenne in Italia e in altri paesi quei successi che altri, più assidui nel frequentare le stanze del potere ufficiale, raggiunsero. Ma, se l’azione mazziniana sostenne senza fortuna le lotte nazionali per l’indipendenza, le sue idee, sia pure adattate e a volte travisate, contribuirono comunque a trasformare politicamente l’Europa e diventarono patrimonio comune ancora oggi considerato valido. Fu nel periodo compreso tra gli anni 1831 e 1848, che Mazzini diede forma organica al suo pensiero politico e allo stesso, negli anni successivi, si mantenne coerente, nonostante il mutare degli eventi tra i quali l’unificazione d’Italia, che certo era il sogno che gli premeva realizzare al di sopra d’ogni altro. In questo processo di formazione ideologica e di progettazione insurrezionale alternato di continuo alle contingenze tattiche, egli riservò un grande ed essenziale spazio alla nuova idea di nazione.
Mazzini riteneva che la nazione di origine medievale, legata alla figura del monarca o a un’oligarchia nobiliare, era stata ormai sconfitta dal cosmopolitismo illuminista settecentesco con un opera di demolizione necessaria per affermare i diritti dell’individuo fino allora conculcati; che questa funzione positiva s’era svolta e chiusa in una determinata epoca, superata la quale, il XIX secolo avrebbe visto non più l’individuo e le libertà formali occupare il campo politico, bensì la nazione e la sua indipendenza – considerata da Mazzini una forma più alta di libertà – opporsi all’ordine sancito dagli imperi nel congresso di Vienna (1814).
Mazzini concepiva la nazione come universale, democratica e composta da uomini che “formano un solo gruppo, riconoscono uno stesso principio, e si avviano, sotto la scorta d’un diritto comune, al conseguimento di un medesimo fine” (Giuseppe Mazzini, Nazionalità. Qualche idea su una costituzione nazionale (1835), in Edizione nazionale degli scritti, VI). In un’Italia, come altre regioni europee, ancora contadina, l’universalità poteva sembrare una generosa illusione che aveva la forza di attrarre coloro che erano mossi dall’interesse generale e non da quello di classe o personale. Ma, nel prefigurare una nazione di cittadini Mazzini sapeva bene che un limite “culturale” segnava la coscienza delle masse (compresa quella dei ceti medi e degli intellettuali) che non erano ancora preparate alle idee di nazionalità e di cittadinanza. Per questo insisteva molto per un’educazione che teoricamente intendeva rivolgere a tutti i futuri cittadini, ma che nei fatti poté esercitare soltanto verso la classe operaia e in concorrenza con le correnti socialiste, le quali agivano ovviamente istruendo le masse sui temi della giustizia sociale e del progresso civile, più che sulla formazione della coscienza nazionale. Mazzini, che non era sordo all’esigenza di coniugare aspirazioni nazionali e questione sociale non solo operaia, non trascurò, durante l’esilio in Svizzera, di lanciare l’invito a credere nell’unità della patria e ad agire per essa anche “au cultivateur, au paysan”. La sua opera educativa fu sempre protesa a formare la coscienza nazionale di tutto un popolo.
Mazzini – e non fu il solo – parlò di riscoperta della nazione partendo da basi già ben sedimentate dai secoli: la comunanza di lingua e di costumi. Se una nazione non si inventa dal nulla, va comunque ricostruita come nazione dei cittadini. Egli affermava scrivendo dall’estero: “nous ne croyons pas à l’eternité des races. Nous ne croyons pas à l’eternité des langues. Nous ne croyons pas à l’éternelle et tout puissante influence des climats sur le développement de l’activité humanitaire”. Infatti “la langue c’est le verbe d’un peuple; c’est sa pensée, l’idée qu’il est chargé de représenter dans le monde, le signe de sa mission” (Giuseppe Mazzini, Humanité et patrie, in Edizione nazionale degli scritti, VII). Per Mazzini dunque la nazione, se non può ignorare l’ethnos, neanche si identifica con esso, sia perché è fattore difficilissimo a individuarsi, sia perché ha scarso peso come elemento utile per costituire interesse comune e sentimento di appartenenza. Insomma la nazione etnica fornisce solo i mattoni, ma a legarli è la malta dei vincoli che la storia comune crea, delle condivise convinzioni democratiche, delle regole che il popolo, la comunità dei cittadini, sceglie a suffragio universale. Risorgimento significava per lui la costruzione di un ordinamento statuale democratico. Da ricostruire è la nazione nel senso più nobile, quella “storica”, quella che si si costituisce liberamente intorno a una serie secolare di eventi e tramite scelte politiche: concetto di ampio respiro e non facilmente assimilabile, ma al quale Mazzini riserva una considerazione particolare e finisce talora per farlo valere per la nazione storica tout court. Il concetto di nazione “storica” si accorda inoltre con un altro e importante aspetto dell’ideologia mazziniana, che gli storici a volte hanno giudicato severamente: la patria in fieri. Traspare l’idea da una sua considerazione sulla situazione spagnola dove, indirizzandosi agli uomini del “Propagador de la libertad” (rivista spagnola 1835-1838) egli dice: “la rivoluzione spagnola è bene una rivoluzione nazionale perché opera la fusione del popolo, rende le genti “omogenee”. (Giuseppe Mazzini, De la nationalité au Propagador, in Edizione nazionale degli scritti, VII).
La rivoluzione nazionale è l’idea forte che per sua natura punta all’Umanità e non al cosmopolitismo. Il cosmopolitismo mira a riscattare l’umanità attraverso l’individuo; l’Umanità mazziniana riscatta gli individui attraverso la patria. È la stessa differenza che passa tra libertà semplice e la libertà piena che si realizza dentro e attraverso l’associazione. Il cosmopolita resta passivo, non ha bisogno di agire per ottenere il suo scopo, o rischia addirittura, confondendo fine e mezzi (i diritti individuali), di accettare il dispotismo e di far coincidere la patria con il suo egoistico bene (ubi bene, ibi patria). Mazzini, che s’era già opposto agli imperi fondando la Giovane Europa, si contrappose al cosmopolitismo filosofico, illuministico e sociale dei democratici comunisti, fondando la Lega Internazionale dei Popoli. Il cosmopolitismo avverso al principio della nazionalità, troverà poi eco nel Manifesto del Partito Comunista, dove si dice che il “proletariato non ha patria”. Sfuggiva in quel periodo ciò che è palese oggidì osservando la superclasse globale finanziaria, e cioè che “il vero internazionalismo apatriottico è da sempre quello delle classi agiate e dirigenti”. (Luciano Canfora, in “Il Corriere della sera”, 1996). In definitiva, contrariamente a quanto asseriva il Manifesto Comunista, Mazzini era fortemente convinto che i lavoratori hanno una patria e che fosse da respingere finanche il cosmopolitismo dal basso degli operai italiani che all’estero, entrando in associazioni o sindacati stranieri, sottraevano, a suo avviso, energie alla lotta patriottica italiana.
Sia che guardasse alle realtà nazionali europee sia a quella italiana, per Mazzini restava valida l’idea della rivoluzione sincronicamente presente in ogni dove; soprattutto per l’Italia era questa la conditio sine qua non il suo progetto politico di rinascita pienamente nazionale rischiava di snaturarsi; coerente a questa convinzione, ritenne che il regno del Nord fu solo un disegno dinastico dei Savoia. Tra le iniziative teoriche e pratiche mirate alla realizzazione del suo progetto, una in particolare ha attirato da sempre le facili critiche degli storici: la guerra di popolo. In effetti, la fiducia nella forza del numero dei patrioti contro quella degli eserciti regolari e nell’azione delle bande armate diede esiti scarsi se non fallimentari. La spedizione dei Mille, eccezione che fece storia a sé per molti motivi, sembrò ridar credito alle tesi mazziniane sulla guerriglia; ma il fenomeno non si ripeté e, del resto, nei decenni precedenti non ve n’era stato uno uguale in nessun angolo d’Europa. Il dibattito sulla validità delle spedizioni di volontari maturò verso la conclusione che, mancando il concorso anche indiretto di un esercito amico, la guerra di popolo aveva scarse prospettive di successo. Lo stesso Mazzini che, specialmente negli anni Sessanta, confidava nell’intervento unisono di alcuni eserciti regolari (italiano, serbo, forse ungherese e polacco) in appoggio alle insurrezioni progettate nei Balcani, non esitò, come è noto, a trattare con lo stesso re d’Italia.
L’affermazione teorica di fede nella guerra di popolo diede comunque i suoi frutti storici e ideali; l’eco mazziniana risuona ancora nell’art. 52 della nostra Costituzione: “La difesa della Patria è sacro dovere del cittadino. Il servizio militare è obbligatorio nei limiti e modi stabiliti dalla legge. […] L’ordinamento delle Forze armate si informa allo spirito democratico della Repubblica”. Ispirandosi a quella fede, oggi più di ieri uno Stato nazionale autenticamente sovrano ha l’obbligo costituzionale di darsi a sua difesa un esercito popolare di leva obbligatoria per impedire che stati stranieri impongano a loro esclusivo servizio un esercito mercenario di contraenti, non più a difesa della Patria, ma per più o meno palesi disegni imperialistici. Mazzini, che tra i cardini del suo pensiero coltivava l’idea che non basta l’indipendenza per avere la nazione, declinerebbe oggi l’indipendenza come sovranità di popolo.
(Luciano Del Vecchio, socio ARS)
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Giuseppe Mazzini, Edizione nazionale degli scritti
Giuseppe Mazzini, Pensieri sulla democrazia in Europa, traduzione di Salvo Mastellone
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