La Restaurazione
di Luca Mancini (FSI Roma)
NdA: L’articolo è uscito per la prima volta l’8 febbraio 2015 ma lo ripropongo, poiché credo sia un’analisi sempre attuale.
Con il termine “Restaurazione”, sul piano storico-politico, si indica il processo di ristabilimento dei sovrani assoluti in Europa, in seguito alla prima sconfitta di Napoleone a Lipsia nel 1813. L’imperatore francese con le sue innumerevoli campagne militari non aveva portato soltanto la guerra nei vari Paesi europei, ma soprattutto si era fatto portatore di quegli ideali che avevano animato la Rivoluzione francese e avevano dato vita ad un nuovo tipo di Stato, che si può definire liberale, in opposizione allo Stato d’Ancién Regime di tipo feudale. La nobiltà perse gran parte del suo potere politico e dei suoi privilegi economici e nacque il Codice Civile Napoleonico, attualmente ancora in vigore in Francia e che fece da modello per tutti i codici europei successivi.
La nobiltà europea, dopo la sconfitta di Napoleone, si riunì a Vienna nel 1814 e pensò bene di poter cancellare dalla Storia tutte le idee rivoluzionarie che nel frattempo avevano attecchito nei vari paesi europei e ritenne di poter fare ciò semplicemente restaurando lo Stato d’Ancien Regime, rimettendo i vari monarchi decaduti sui loro troni e ridando alla nobiltà i loro antichi privilegi.
Il seguito della Storia è abbastanza noto. Il XIX secolo fu caratterizzato da una serie infinita di rivoluzioni in tutto il continente che portarono all’abbattimento di quell’ordine che era stato restaurato a Vienna e alla costituzione degli Stati liberali. Fu così che la “Restaurazione” passò alla Storia come il tentativo maldestro e disperato da parte della nobiltà di recuperare una serie di privilegi che il popolo era riuscito a togliergli tramite la lotta. La Rivoluzione francese aveva acceso un fuoco, Napoleone lo aveva portato nei vari paesi europei e la nobiltà non comprese che non si poteva spegnere un fuoco acceso.
Nell’ultima parte del XIX secolo in quasi tutta Europa nacquero una serie di stati che si diedero una costituzione liberale e un ordinamento parlamentare e giuridico nuovo, ispirandosi ai vari tentativi della Francia rivoluzionaria. La classe borghese era riuscita ad arrivare al potere politico e tramite questo cercò di aumentare le capacità del suo potere economico. Infatti in questi anni era opinione comune tra le classi dirigenti borghesi che lo Stato non dovesse intervenire in maniera particolare nel sistema economico e che il mercato, in base alla legge dell’economista francese Say, si sarebbe autoregolato, dal momento che ogni venditore è anche compratore e pertanto l’offerta è sempre in grado di creare la propria domanda.
Nel corso degli anni a venire questa convinzione ebbe diverse occasioni per dimostrarsi fallace. Dal 1873 al 1896 il mondo capitalistico cadde nella sua prima grande crisi di sovrapproduzione. Durante gli anni del primo conflitto mondiale, gli Stati si videro costretti ad entrare massicciamente nell’economia, nazionalizzando settori dell’industria che erano strategicamente importanti per la vittoria della guerra e infine nel 1929 il capitalismo liberista conobbe la sua crisi più grande e profonda.
Tra gli anni Venti e Trenta, dinanzi a questi ciclici fallimenti, in molti iniziarono a mettere in discussione il sistema capitalistico di stampo liberista che creava delle enormi disuguaglianze sociali. Improvvisamente quello che era stato considerato come un dogma inoppugnabile iniziò ad essere messo in discussione e ciò non avveniva soltanto ad opera dei socialisti, ma anche degli stessi liberali, primo fra tutti l’economista inglese John Maynard Keynes.
Partendo da queste riflessioni, i diversi governi intrapresero una serie di politiche economiche stataliste e se si pensa al mondo della metà degli anni trenta si può notare che il capitalismo liberista era praticamente scomparso.
L’Unione Sovietica, perseguendo il modello comunista, non conobbe affatto la crisi del ’29, anzi mentre molti paesi del mondo occidentale languivano in altissimi tassi di disoccupazione, i sovietici raggiunsero quasi un regime di piena occupazione.
L’Italia fascista era impegnata nella costruzione dello Stato corporativo dove tutte le classi produttrici, coordinate e controllate dallo Stato, collaboravano per il bene della nazione considerato come valore supremo. Questo modello economico all’epoca era ritenuto come la “terza via” tra capitalismo e comunismo e molti Paesi dell’Europa centro-orientale tentarono di seguirlo.
La Germania nazionalsocialista, pur non avendo creato le istituzioni dello Stato corporativo, seguì una politica molto simile. L’economia era sotto il controllo della politica e al servizio di essa per il bene del Völk tedesco e inoltre era regolata dal piano quadriennale varato da Göring nel 1936, che ricordava molto i piani quinquennali di Stalin.
Persino gli USA avevano abbandonato il laissez-faire ed erano passati al New Deal del presidente Roosevelt. In quegli anni sui giornali americani non era difficile leggere frasi come: “Noi americani siamo destinati a dipendere molto dallo Stato come unico mezzo per salvare il sistema capitalista”; “Le analogie tra l’economia del New Deal e quella dello Stato corporativo di Mussolini o dello Stato totalitario di Hitler sono strette ed evidenti”.
Non vi era più traccia del liberismo e le cose in Europa rimasero a lungo in questo modo, ossia fino agli anni ’80. Infatti, dopo la fine del conflitto mondiale in molti Stati europei nacquero delle costituzioni democratiche che portarono con sé principi lavoristici e di solidarietà nei rapporti economici, sconosciuti alle costituzioni liberali del XIX secolo.
Il vecchio ordine liberale era stato abbattuto e l’umanità sembrava stesse proseguendo il suo cammino lasciando il capitalismo liberista ai libri di Storia, esattamente come era avvenuto con il feudalesimo, grazie ai principi della rivoluzione francese.
Negli anni Ottanta invece avvenne la stessa cosa che successe a Vienna nel 1814. Un ristretto gruppo di persone, in questo caso l’alta borghesia finanziaria, capì che stava perdendo potere e che i suoi profitti si stavano riducendo e tentò di restaurare il suo potere esattamente come la nobiltà aveva tentato di restaurare i suoi antichi privilegi. Nascono da qui le varie politiche economiche neoliberiste nelle quali siamo ancora coinvolti.
Il crollo dell’Unione Sovietica e la fine del bipolarismo non fecero altro che accelerare e incentivare questo processo. L’alta borghesia finanziaria pensò bene di non avere più rivali e pertanto di poter restaurare prepotentemente il suo antico potere. Negli anni ’90 tutti i paesi europei seguirono l’esempio della Thatcher e del presidente USA Reagan e venne restaurato il capitalismo liberista.
Il varo di queste politiche neoliberiste negli ultimi trent’anni può essere considerato una vera e propria “Seconda Restaurazione”, mirante a restituire potere politico ed economico ad un piccolo gruppo di persone che lo stavano perdendo. Evidentemente questi uomini, come i loro predecessori, non sanno che non si può spegnere un fuoco acceso.
Viva la Repubblica libera e sovrana!
Una risposta
[…] mio primo articolo su “Appello al Popolo” (https://www.appelloalpopolo.it/?p=13010), mi soffermai su questo concetto, facendo un parallelismo tra la “restaurazione” […]