Futuralismo
Nei corridoi suburbani della Supercittà, gli agenti dell’Intelligenza pubblica
domanderanno ai passanti, se ne restano, le loro “idee”, il loro permesso di
ideologia sorvegliata e, nella maggior parte dei casi, il loro “uit” (unica idea
tollerata).
Coloro che non saranno in regola verranno arrestati e condotti verso il blocco
operatorio culturale e universale.
L’elucubratore li condurrà alla cancelleria della colpevolezza collettiva e della
responsabilità comandata.
Là, i grandi manipolatori perforeranno loro il biglietto socio-cerebrale e
saranno rimessi in libertà trattabile manovrabile e manipolata.
Jacques Prévert (1972)
Questi versi di Prévert rappresentano l’emblema di come l’arte poetica, svestendosi della tediosa retorica quotidiana, sappia esprimere meglio di qualunque altra forma di comunicazione le verità essenziali di un’epoca. Desta impressione come in tali parole si riescano a cogliere anticipatamente i tratti profondamente remissivi e omologanti di una cultura la cui tendenza già si declinava nei termini di un brutale e pericoloso appiattimento, di uno scivolamento verso quel pensiero unico dei benpensanti da iniettare quasi chirurgicamente nelle vene e nelle menti dei cittadini/gusci vuoti, da riempire a piacimento con immondizie culturali che avrebbero costituito il mangime per polli del nuovo fast food globale.
L’uniformazione di stampo liberale, la quale solo in apparenza sembra una contraddizione in termini, è il male del nostro tempo, è il Dio sanguinario sul cui altare si sacrificano senza ritegno le specificità culturali, le identità dei popoli, le storie, le tradizioni, tutte quelle diversità dalla cui interazione deriva il vero progresso dell’umanità. Già, il progresso. Tutti fanno a gara per definirsi progressisti, va di moda, un’altra, ennesima omologante e straripante moda. Ma l’imposizione dell’uniformità è il maggiore ostacolo per lo sviluppo e per il progresso medesimi. Società e popoli sono le grandi variazioni sul tema dell’umanità, ma le loro peculiarità sono paradossalmente minacciate proprio da questo progresso (il)liberale, portatore di una “ideologia sorvegliata”, di un’unica “idea tollerata”.
In un senso che dovrebbe apparire piuttosto chiaro ed evidente, i sovranisti sono chiamati ad essere conservatori, ossia dei custodi di un bagaglio di valori la cui messa in discussione condurrebbe allo sgretolamento dell’identità di una cultura storicamente definita e radicata, e dunque ad una completa anarchia etica e civica, la quale si traveste al giorno d’oggi come moderna conquista di un’ideologia pseudo-progressista. In realtà, identità e tradizioni sono esse stesse delle vere forze progressiste in quanto consentono alla società civile di rigenerarsi e perpetuarsi rifiutando l’azzeramento insensato del proprio retaggio e della propria storia.
Ma ciò non è dopotutto l’obiettivo del globalismo apolide e senza storia che vorrebbe presentarsi al mondo come il destino ultimo della storia medesima?
Il rischio è allora quello che Prévert, in maniera sublime in questi versi, ha descritto più di quarant’anni orsono, quello di barattare il futuro col futuralismo, il tempo della disumanizzazione assoluta, abitato solo da corpi senza organi né memoria atti a fungere da mere protesi di un potere senza più limite alcuno.
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