Lavoro subordinato: che fare?
di Stefano D'Andrea
Propongo la lettura di un'interessante relazione, tenuta in un convegno a Napoli, dall'avvocato Giovanni De Francesco. La relazione sintetizza in modo limpido ciò che è accaduto al lavoro subordinato in Italia negli ultimi venti anni. La proposta, avanzata dall'autore, per rimediare al disastro, è il ritorno al conflitto di classe.
Svolgo due annotazioni. In primo luogo il titolo "Lavoro: che fare?", che io ho mutato in "Lavoro subordnato: che fare?", e che dimostra ancora una volta la cecità di voler identificare il lavoro con il solo lavoro subordinato (per lo più alle dipendenze dei privati). Su questo punto rimando ad un articolo in cui ho spiegato che il capitale si avvale anche di lavoro autonomo ed è sempre più in concorrenza con quest'ultimo anche in campi che prima erano riservati per legge al lavoro autonomo. Se ai lavoratori subordinati questi temi non interessano, per quale ragione i liberi profesionisti, i commercianti e i piccoli artigiani dovrebbero interessarsi ai problemi dei lavoratori subordinati? Divide et impera è la logica del capitale. E' un gran male che sia fatta propria da chi vuole contrastarlo.
In secondo luogo, non un cenno alla trasformazione della classe operaia. Un conto era l'operaio che, pur vivendo con un solo stipendio che doveva bastare per sé e la famiglia, si sforzava di risparmiare, magari ricorrendo ad un secondo piccolo lavoro, per avere il gruzzoletto che gli consentisse di divenire autonomo e di liberarsi, ovvero che gli consentisse di far studiare i figli per garantire ad essi una vita migliore. Quell'operaio cercava anche di studiare e di capire e, consapevole della propria situazione, era disposto e anzi predisposto a rischiare. Altro conto è l'operaio che non risparmia, che fa vacanze (anche all'estero) a debito, che, come un coglione totale, acquista una autovettura da quindicimila euro, facendone ottomila di debito, soltanto perché lo stato lo ha incentivato "regalando" millecinquecento euro (in sostanza, ottomila euro di debito anziché novemilacinquecento); che si getta nelle sale giochi e scommesse offerte gentilmente in questi anni dal centrodestra e dal centrosinistra. Questo operaio è predisposto alla schiavitù e non ricorrerà mai al conflitto di classe. Una classe operaia organizzata ne gambizzerebbe un centinaio, al fine di educare tutti gli altri, e saprebbe che ciò è più urgente che non tornare a gambizzare i caporali. I caporali sanno di essere tali. Gli operai che spendono tutto il loro reddito, che si abbronzano d'inverno con le lampade, che vanno in palestra, che acquistano macchine a rate, che vanno in vacanza all'estero (a debito), sanno di essere spregevoli schiavi volontari? Ci si è resi conto che la metà almeno della classe operaia attuale possiede tutti i caratteri del lumpenproletriat? Che il conflitto cominci da qua: proletari contro ruffiani, indebitati cronici, abbronzati artificiali e scommettitori. E' da qua, anzi, che deve necessariamente iniziare: non era il lumpenproletariat l'ostacolo principale all'ascesa del proletariato? Ebbene si sappia che il lumpenproletariat si è moltiplicato. E' l'uomo povero storicamente determinato dalla attuale fase del capitalismo.
Ecco la relazione, che consiglio di leggere con attenzione.
http://www.comunismoecomunita.org/wp-content/uploads/2010/04/Riforma-diritto-del-lavoro.pdf
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