La rivolta dei "perdenti" contro le élite
di ALESSANDRO VISALLI (Tempo Fertile)
Un doloroso articolo di Martin Wolf cerca di riportare i lettori del Financial Times ad uno sguardo più realistico sul mondo. L’articolo, come molti dell’influente giornalista economico, è caratterizzato da una specifica posizione di parlante: membro di una élite che si sente “illuminata” parla per essa (nella tragica consapevolezza che molta “luce” non ci sia). Ciò che ricorda è molto semplice, l’aristocratica divisione del mondo in “vincenti” (noi) e “perdenti” (gli altri) si scontra con una semplice, indefettibile, realtà: loro sono molti di più.
Ma ciò è in qualche modo necessario, perché altrimenti “noi” non avremmo tutto questo potere, tutta questa ricchezza. Il punto è che in democrazia il fatto che “loro” sono di più, questa vecchia realtà che tutti i riti del mondo, tutti i monumenti, tutte le tecniche, hanno sempre cercato di esorcizzare e mettere a frutto per consentire l’accumulazione, significa che hanno anche più voti. Ne hanno, cioè, “troppi”. Sì, Martin Wolf scrive così: “i perdenti hanno voti, troppi. Questo è ciò che significa la democrazia”.
Ma aggiunge “e giustamente”. Ora, cosa succede nella civile America, nella civile Inghilterra (ma anche Francia, Spagna, Portogallo, Grecia, Polonia)? Che i “perdenti” si sentono presi in giro ed umiliati e voteranno per Donald Trump. O per Marine Le Pen, o Nigel Farage.
In particolare quali sono questi “perdenti” così pericolosi, perché così umiliati, così offesi? Sono quella che Wolf chiama “la classe operaia nativa”, cioè l’insieme dei lavoratori dei servizi, del terzo settore, gli autonomi e precari, più o meno discendenti, gli ormai pochi lavoratori delle industrie, spezzettati e abbandonati, che nel loro insieme si sentono sedotti da un mix potente di “nazionalismo” della destra, di “statalismo” della sinistra e “autoritarismo”. Questa ricetta ha naturalmente il sapore di un sinistro già visto: ricorda molto concretamente il populismo degli anni trenta (come l’autore infatti sottolineerà).
Questi “troppi”, questi “sconfitti”, sembrano in sostanza aver capito finalmente chi li ha colpiti, e quindi “rifiutano le élite che dominano la vita economica e culturale dei loro paesi”; sono arrabbiati con quelli che si riuniscono ogni tanto a Davos al Forum economico mondiale.
Ma cosa può succedere se il 90% si accorge che il gioco è truccato a suo sfavore? Wolf ne è sicuro: “Le potenziali conseguenze sono spaventose. Le élite hanno bisogno di produrre delle risposte intelligenti. Potrebbe già essere troppo tardi per farlo”.
Fino ad ora, infatti, quelle di destra hanno proposto solo tassi bassi alle imposte marginali (che le riguardano), hanno chiesto di potenziale l’immigrazione (perché favorisce la competizione salariale e dunque il capitale, che è il loro), di spingere la globalizzazione (per la stessa ragione) di restringere il welfare, deregolamentare i mercati del lavoro, di massimizzare il valore per gli azionisti. Questa è la ricetta della lotta di classe condotta dal capitale.
E quelle di sinistra? La lista di Wolf è presto fatta: immigrazione “liberale”, multiculturalismo, secolarismo, diritti individuali e relative uguaglianze. Un programma complementare. I “libertari” sono in linea con entrambi.
Tutte le élite, insomma, hanno abbandonato da molto tempo, seguendo la spinta di un concreto interesse o di un comodo cosmopolitismo che segue l’onda, quelle che Wolf chiama “le lealtà nazionali e le [relative] preoccupazioni”. Loro fanno ormai parte di “una super-elite globale” e delle nazioni se ne infischiano, come della democrazia nazionale (se lo dice “l’illuminato” Martin possiamo crederci, lui ne fa parte da sempre).
Ora però “la gente comune”, in particolare quella “nativa” (ovvero non quella emigrata, trasferita, senza radici e comunque mobile) è “alienata”. Che strana parola in bocca ad un liberale, ed all’autore di Perché la globalizzazione funziona, il libro del 2004 in cui inneggiava alla pace ed alla democrazia portata dai commerci, alla “magia del mercato” e indicava come errori quelle paure che oggi riconosce potenti e fondate. Certo anche allora la chiusa era interessante: “sarà necessario attuare dei cambiamenti a livello globale, anche per quanto riguarda il ruolo del settore privato nelle crisi finanziarie. Non possiamo permetterci un’altra serie di crisi di queste dimensioni e dobbiamo agire immediatamente”.
Sono passati undici anni, dopo tre la temuta crisi è puntualmente arrivata e dopo altri otto non è ancora andata via. Ed oggi vediamo, inizia persino a farlo Martin, che “la globalizzazione non funziona”. O meglio, funziona benissimo, ma solo per pochi “vincenti”. Peccato che i “perdenti” siano “troppi”. Tanti da non poter andare avanti in questo modo conservando la democrazia. Viene il momento in cui bisognerà scegliere.
Essi, infatti, “non condividono equamente i guadagni. Si sentono usati e abusati. Dopo la crisi finanziaria e la lenta ripresa del tenore di vita, vedono le élite come incompetenti e predatori. La sorpresa non è che molti sono arrabbiati, ma che tanti non lo sono”. La situazione è semplice, la descrive Branko Milanovic , quando ricorda che la maggior parte della popolazione nei paesi ad alto reddito è rimasta fuori dalla crescita. Il fatto è chiamato “indiscutibile”, la spiegazione complessa: “una miscela di innovazione tecnologica, commercio liberale [ovvero globalizzazione], cambiamenti nella corporate governance e liberalizzazione finanziaria”.
Il terzo fattore illustrato è che la quota di immigrati nella popolazione è salita bruscamente danneggiando la grande massa della popolazione, ma indubbiamente beneficiando “quelli in alto”. Faceva parte del programma politico sia della destra sia della sinistra. E continua a farne parte. Può stupire in questa situazione che “la sinistra rispettabile” (ovviamente dal Financial Times e dai salotti buoni, dagli “illuminati”) “ha perso il sostegno delle classi lavoratrici”? In particolare negli USA? O che la “destra rispettabile” sia sulla stessa strada? Tagli fiscali, globalizzazione e deregolamentazione non vanno a vantaggio del lavoratore medio Wasp.
Del resto chi ha successo, come Trump, non è ormai più “un vero conservatore”, ma è un populista che riesce a mettere insieme la ricetta del nazionalismo spaventato e difensivo, dello statalismo protettivo e dell’autoritarismo. In pratica ciò significa essere protezionista nel commercio, ostile alle immigrazioni, sospettoso e irato con la finanza. Gente come Trump e Le Pen parla agli arrabbiati e gli ricorda che comunque il bene più prezioso che gli rimane, dopo che tutti i treni sono passati (e il sogno con essi), è la loro cittadinanza. Che non si può condividere con troppi estranei. È un messaggio semplice e potente.
Ora Martin Wolf, dal suo punto, la vede in modo molto chiaro: “i populisti nazionalisti non devono vincere. Sappiamo come è la storia: finisce molto male”. Se poi finisce male negli USA “il risultato potrebbe essere catastrofico”. Insomma, il Financial Times chiama la destra a votare per Clinton.
Ma la cosa va ben oltre le elezioni presidenziali. È un avvertimento per le èlite: si prendono grossi rischi “a coltivare la rabbia popolare”, seguendo politiche per garantirsi meno tasse, aumentare l’immigrazione e indebolire la regolamentazione. Anche quelle di sinistra rischiano “a sacrificare gli interessi e i valori di una massa di cittadini che lotta promuovendo il relativismo culturale e un controllo delle frontiere lassista”.
Fino a che i paesi occidentali saranno democrazie (e qui cade un punto), disprezzare le preoccupazioni dei molti, dei “troppi”, significherà seminare vento. Negli Stati Uniti si sta raccogliendo la tempesta.
Peccato che l’articolo sia a pagamento. Premesso che l’inglese “populist” in italiano si traduce “demagogo”, mi sembra che l’articolo di Visalli si possa riassumere in poche parole: le previsioni di fascismo e nazionalsocialismo si sono realizzate appieno. La battaglia contro il regime globalista passa attraverso il recupero dei loro ideali.
D’altro canto ci sarà un motivo se il regime combatte le finte sinistre (stile Tsipras) coi boicottaggi economici e mediatici e le destre col carcere e la persecuzione del libero pensiero.
Lorenzo, commento oggettivamente ridicolo.Il fascismo ormai è soltanto nella tua mente.
Chi siano i nemici del mondialismo (termine che peraltro ti squalifica subito come “Complottista”) direi che è sotto gli occhi di tutti.
Chi, almeno fino a questo momento (non prevedo il futuro), ne è stato il migliore alleato, idem.
Le cose possono cambiare?
Certo che si, magari veramente il futuro FSI rappresenterà una alternativa radicale in tal senso.
Rimanendo ad ora però le cose sono diverse.
Non la metterei giù dura come Lorenzo, ma il succo è che a sinistra non esiste possibilità di opposizione al sistema.
Stefano, quando Wolf parla di “demagoghi nazionalisti” e di “sappiamo come va a finire” mi sembra rievochi i fascismi come una presenza reale. I fascismi sono storia, le loro idee (a partire dall’approccio economico adottato per risolvere la crisi) sono a disposizione di tutti.
Tantopiù in un mondo che incarna alla virgola la parabola di decadenza che essi paventavano e a cui intendevano opporsi.
Non ci voleva un genio per immaginare che per ogni vincitore ci sono migliaia di perdenti, così come non ci voleva un premi0 Nobel per constatare che la trickle-down economy è (direbbe Fantozzi) una caxata pazzesca. In realtà mi pare che l’articolo di Wolf sia una sollecitazione per le élite, al di qua e al di là dell’Atlantico, di sbrigarsi. Di trovare cioè degli opportuni schermi di copertura per far passare leggi sempre più restrittive dei diritti sociali e politici, in modo da arrivare celermente alla democratura. Intanto, la sollecitazione a votare per la Clinton significa una cosa sola: la guerra; non c’è nulla di meglio per cementare la popolazione in un afflato patriottico, cantando Stars and stripes.
Seguo la ARS da tempo per la promessa di recuperare la Costituzione del 1948. Nel contempo ,da anni cerco di allarmare la popolazione tramite i blog che ospitano i miei scritti sul pericolo del Nuovo Ordine Mondiale: la peggior dittatura che possiamo immaginare e che, purtroppo, già stiamo vivendo. Quando si parla di Elite, si parla delle manifestazioni di questa dittatura globale che ha già ottenuto quel che voleva ottenere: 65 grandi famiglie controllano la metà della ricchezza mondiale. Ora stanno solo evitando che il loro potere non sia conclamato, ovvero, che si possa riunire una vera opposizione. E’ per questo che si accaniscono contro le vecchie costituzioni nazionali: sono l’unico argine che potrebbe contrastare il mondialismo. E trovo che nel programma ARS manchi questo specifico accenno al vero problema. La Costituzione del 1948 non ci è stata sottratta per l’UE o per l’euro- ma solo perché tanto l’UE che l’Euro sono funzionali al NWO.