Darwinismo
di PIERLUIGI BIANCO (FSI Puglia)
Inchiesta sul darwinismo (di Enzo Pennetta, edito nel 2011 da Cantagalli, ndr) parte da un’analisi scientifica della teoria e si spinge fino alla comprensione delle corrispondenti motivazioni ideologico-politiche. Si giunge così ad uno dei dati di fondo che emergono dal libro, ossia il fatto che le teorie socio-economiche precedettero le conclusioni scientifiche.
Nel 1798 (e in una versione definitiva nel 1826), con il suo Saggio sul principio di popolazione, Thomas Robert Malthus arriva a sostenere che, se la crescita di una popolazione supera la sua capacità produttiva, l’eccessiva offerta di manodopera porta inevitabilmente a salari più bassi e quindi, di riflesso, all’aumento della povertà.
I poveri se aiutati e sostenuti, continuerebbero a riprodursi riproducendo la povertà stessa. Darwin, leggendo l’ultima versione del saggio di Malthus, ebbe così l’intuizione per poter elaborare la sua teoria giungendo alla conclusione che l’ambiente (predatori, malattie e limitatezza di risorse) esercita sulle specie una forte pressione che seleziona solo alcuni esemplari. Quali? I più adatti. Darwin stesso scrive:
“Fra i selvaggi i deboli di corpo e di mente vengono presto eliminati; e quelli che sopravvivono godono in genere di un ottimo stato di salute. D’altra parte, noi uomini civili cerchiamo con ogni mezzo di ostacolare il processo di eliminazione; costruiamo ricoveri per gli incapaci, per gli storpi e per i malati; facciamo leggi per i poveri; e i nostri medici usano la loro massima abilità per salvare la vita di chiunque fino all’ultimo momento.
Vi è ragione di credere che la vaccinazione abbia salvato migliaia di persone, che in passato sarebbero morte di vaiolo a causa della loro debole costituzione. Così i membri deboli della società civile si riproducono. Chiunque sia interessato dell’allevamento di animali domestici non dubiterà che questo fatto sia molto dannoso alla razza umana.
E’ sorprendente come spesso la mancanza di cure o le cure mal dirette portano alla degenerazione di una razza domestica: ma, eccettuato il caso dell’uomo stesso, difficilmente qualcuno è tanto ignorante da far riprodurre i propri animali peggiori.[…] Dobbiamo perciò sopportare gli effetti indubbiamente deleteri della sopravvivenza dei deboli e della propagazione delle loro stirpe.”
A completare il rassicurante quadretto manca all’appello Adam Smith, sostenitore della teoria secondo cui ognuno facendo ciò che è meglio per sé (senza curarsi di cosa sia meglio per la collettività) farebbe automaticamente il bene di tutti. Il professor Robert H. Frank, in un articolo intitolato L’invisibile mano fatta trionfare da Darwin, scrive:
“Se domandassi di identificare il fondatore intellettuale della loro disciplina, la maggior parte degli economisti oggi probabilmente citerebbe Adam Smith. Se ponessimo la stessa domanda tra 100 anni, la maggior parte degli economisti risponderebbe Charles Darwin.”
La teoria sostenuta da A. Smith è, a pensarci bene, sbugiardata dai fatti: il comportamento del singolo nella ricerca della propria illimitata affermazione si traduce spesso e volentieri in un effetto negativo sul resto della collettività nonché in una maggiore possibilità di fallire per lo stesso. Oltretutto, se in un simile contesto nuovi elementi entrassero a far parte della comunità, si verificherebbe un ulteriore peggioramento della situazione e probabilmente ciò porterebbe anche al disfacimento della comunità in questione.
Insomma un sistema disfunzionale e dannoso ma giustificato dalla visione di Darwin.
Se questi pensatori sono arrivati a precise conclusioni, quello che viene fuori dalla loro sintesi, cioè quello che viene fatto da “Darwin l’assemblatore” fa riflettere: la “mano invisibile” di Adam Smith e l’”eliminazione” malthusiana delineano l’equivalente in economia della “selezione naturale”.
Preso atto che è nata prima una certa visione ideologico/politica, quando arriva una teoria scientifica a sostenerla non si può che cavalcarla e “allorché nella contrapposizione recente del mercato allo Stato, si giunge a negare anche le conseguenze sociali delle disparità dei punti di partenza individuali, attribuendole unicamente a fattori biologici, genetici e di originaria dotazione intellettuale, si scivola verso concezioni intrinsecamente razziste.”
Se si segue il discorso di Darwin e del darwismo sociale, Omero, Leopardi, Proust, Newton, uno cieco, l’altro con la tubercolosi ossea, questi sempre malati, dovevano essere eliminati e la razza umana ne avrebbe tratto giovamento. Che dire poi di Petrarca e delle sue evidenti difficoltà a farsi produrre una discendenza? Si sarebbero salvati soltanto i robusti, quelli di cui Aristotele ha sostenuto la schiavitù naturale.
Mi trovo sempre in profondo imbarazzo quando leggo cose simili su uno dei maggiori scienziati di tutti itempi.
Specificherei la totale mancanza di connessione tra Darwin, la sua teoria contenuta nell’origine delle specie, e il darwinismo sociale di Spencer. Anche se è vero che per elaborare la sua teoria si ispirò all’opera di Malthus, Darwin usò l’enorme mole di dati da lui prodotta in più di due anni per sistematizzare la teoria della selezione naturale che è un pochino più complessa di come è arrivata al grande pubblico. Qui uno stralcio del mio articolo su Appello al Popolo entra nel merito: (https://www.appelloalpopolo.it/?p=10846)
Sulla concorrenza e il libero mercato si è detto tanto e da autori molto più preparati di me.
Ho notato che nel dibattito, spesso si ricorre a significati di concorrenza che ne allargano il dominio fino a comprendere anche la parte animale dell’uomo. Si parla di competizione per le risorse e darwinismo sociale. Le due argomentazioni opposte che maggiormente utilizzano il concetto di competizione sono la creazione di “eccellenza” e il disagio economico e sociale degli “ultimi”. Tutte e due includono i concetti di lotta per l’esistenza, selezione darwiniana e quindi, evoluzione naturale. Tutte e due, però, danno un’interpretazione impropria della teoria di Charles Darwin.
Lo studioso inglese arrivò a formulare il cuore della sua teoria osservando la selezione che gli allevatori esercitavano sui loro animali per ottenere varietà fenotipiche migliori (i caratteri fisici direttamente osservabili) per i propri scopi di mercato. Queste osservazioni le trasferì agli animali selvatici che dovevano competere tutti i giorni per la propria vita ( struggle for life), sviluppando il concetto di selezione naturale e evoluzione.
In breve, oggi si sa che gli animali, o più esattamente le specie cui appartengono, si evolvono per adattarsi sempre meglio all’ambiente che li circonda. La selezione naturale è lo strumento casuale dell’evoluzione che, agendo come una rete a maglie larghe, screma le popolazioni animali avvantaggiando gli individui più adatti (o meglio sfavorendo i meno adattati) alle condizioni ambientali presenti in quel preciso momento storico e geografico. Le tattiche che i vari gruppi utilizzano per sopravvivere vanno dalla competizione diretta, all’aiuto reciproco e all’altruismo (sempre nella stessa specie).
I concetti su cui vorrei soffermarmi sono:
1) La selezione naturale non ha direzionalità, non è progressiva verso i migliori in senso assoluto, semplicemente seleziona i più adatti in quel preciso momento storico, se l’ambiente cambia improvvisamente, si salveranno individui con caratteristiche totalmente diverse dai primi;
2) La selezione naturale, per essere evolutivamente efficace, lavora sulle specie e non sugli individui. È la specie che evolve nel tempo, grazie all’ereditarietà dei caratteri selezionati, e non l’individuo;
3) La competizione diretta per le risorse è solo uno degli innumerevoli modi con cui le specie cercano di adattarsi all’ambiente per passare indenni la selezione;
4) La variabilità genetica e fenotipica, ossia l’insieme delle differenze tra i singoli individui, è il substrato su cui agisce la selezione naturale.
Riassumendo, in natura non sono selezionati i migliori assoluti, è preferito il successo di gruppo rispetto al successo del singolo, non esiste solo la competizione ed è garantito un bacino di variabilità individuale elevata in modo da rispondere efficacemente a qualunque stress ambientale che il gruppo potrebbe subire nel tempo.
LA CONCORRENZA DI MERCATO NON SI BASA SU ALCUNA LEGGE NATURALE PRE-DETERMINATA
Quindi non è un sistema naturale che sostanzia la vittoria in un mondo dominato dalla concorrenza, ma un insieme di sovrastrutture economiche costruite per confermare l’ideologia culturale dominante: il capitalismo assoluto
D’altronde Darwin diceva: ‘If the misery of the poor be caused not by the laws of nature, but by our institutions, great is our sin’
Non proprio uguale a quanto dice il buon Pennetta, a cui consiglio di leggere i testi originali di Darwin e non solamente le versioni riproposte di chi voleva legittimare scientificamente un’ideologia politica.
Sono d’accordo.
Una sola precisazione: come ha ampiamente dimostrato la biologia evoluzionista, non è la specie in quanto tale il soggetto (Non l’oggettto, contrariamente a quello che pensa l’articolista) dell’evoluzione, bensì la singola popolazione.
A livello umano, direi il singolo popolo se non rischiassi di suonare politicamente scorretto.
Si, popolazione è di sicuro un termine più appropriato.
Per il resto, è interessante la declinazione umana che fai della teoria. Non sono a conoscenza di saggi o studi a proposito. Sicuramente è noto che la cultura e la tradizione giocano un ruolo fondamentale nella nostra specie, politicamente scorretto o no che sia.
Non ne conosco neanche io se non in senso anglosassone, ovvero spenceriano, che come notavi tu (e come non ha compreso l’articolista) sono pura e semplice ciarlataneria.
Sul ruolo della cultura, io mi rifaccio all’idea di noosfera di Vernadsky, scienziato e filosofo oramai misconosciuto ma importantissimo sotto diversi punti di vista.
Il Darwinismo per noi (intesi come specie) è di fatto superato dal momento che il comportamento migliore non è più quello adattivo, bensì quello demiurgico.
Non dobbiamo adattarci all’Universo, ma adattare l’Universo a noi stessi.
Questo differenzia l’Uomo dalla bestia, ma ovviamente non inficia la validità biologica del darwinismo.