Tra costituzioni e mercato. Ordoliberismo e principio di sussidiarietà
Di Nicola Di Cesare (FSI Cagliari)
Senza scomodare sontuosi compendi di economia, una definizione sintetica di ordoliberismo la si può trovare sulla Treccani (quindi non perderò tempo a riportarla), formulata con evidente deferenza per la scuola di Friburgo, tanto da attribuire a questa scuola di pensiero giuridico-economico il “pregio” di accomunare libertà di mercato e giustizia sociale.
Uno dei padri dell’ordoliberismo, Walter Eucken, teorizzò e implementò la struttura costituzionale della Germania Federale come applicazione della cosiddetta Economia sociale di mercato.
Il motivo per il quale è utile conoscere la teoria ordoliberista è molto semplice; la sua diretta emanazione politico economica si ritrova interamente applicata nei principi regolatori dell’Unione Europea e dunque in netto contrasto e in posizione dominante rispetto all’impianto costituzionale Italiano ma in perfetto accordo con i principi costituzionali Tedeschi; Eucken non a caso fu nel 1951 Ministro dell’Economia nel governo dell’Europeista Adenauer.
L’Economia sociale di Mercato (ESM) ha come obiettivi principali della sua Politica Economica il primato della politica monetaria e della politica di sviluppo, l’allineamento dei prezzi sull’offerta delle merci, una ripartizione equa e graduale dell’aumento del benessere; nulla, ma proprio nulla fa riferimento al lavoro e alla piena occupazione e il motivo è molto semplice: l’intervento dello Stato nei mercati, dunque anche quello del lavoro, è ritenuto dall’ESM inammissibile.
Come si sia dispiegato il dominio politico ed economico della Germania in ambito Europeo è noto a tutti ma è meno noto che esso si sia sviluppato dietro la peggiore delle menzogne, quella della giustizia sociale.
La principale credenza medioevale ordoliberista da sconfessare è la seguente: “adherence to the principles of an open market economy with free competition, favouring an efficient allocation of resources”.
Lungi dall’essere ciò per cui viene spacciata, la ESM in realtà consiste in un’impalcatura economico istituzionale volta unicamente alla polarizzazione indefinita dei redditi; essa si esplica attraverso il trasferimento automatico di ricchezza per effetto della stabilizzazione monetaria; questa produce, da un lato il progressivo trasferimento di quote di profitto dai salari verso le rendite, e dall’altro l’aggiustamento della domanda di lavoro in funzione di retribuzioni progressivamente decrescenti tali da poter raggiungere la piena occupazione. Come è noto, un mercato del lavoro che raggiunge la piena occupazione attraverso salari di puro sfruttamento può essere giustamente considerato un esempio di efficiente allocazione delle risorse ma non certo di giustizia sociale.
Il fenomeno che tuttavia testimonia del fatto che le politiche ordoliberiste siano pienamente inefficienti nell’allocazione delle risorse è rappresentato dal suo effetto decrescente nella propensione marginale agli investimenti.
Tale effetto discende dal mancato incentivo che il dogma della stabilità monetaria, provoca ad opera della stagnazione della domanda aggregata interna, la quale a sua volta genera la paralisi se non l’arretramento del saggio di crescita della produttività per via della selezione delle imprese e della loro naturale moria da mancata competitività.
Meno imprese per selezione naturale significa dividere una torta un po’ più piccola di mercato per via della crescente disoccupazione (calo della domanda) tra un numero minore di investitori, i quali vedono crescere i propri profitti in modo automatico in assenza di investimenti e contemporaneamente aumentare la quota di remunerazione del capitale anche in presenza di decrescita del PIL.
Altro effetto non meno nefasto si rileva nella collocazione geografica delle attività produttive che tendono a localizzarsi e concentrarsi in prossimità delle aree a maggior concentrazione industriale con un effetto di impoverimento progressivo delle aree periferiche.
Moria delle attività economiche, elevato inutilizzo delle risorse umane, tendenza alla diminuzione degli investimenti, congestionamento industriale e impoverimento delle periferie. Si può affermare dunque che, sia teoricamente che empiricamente, si riscontra nell’applicazione di politiche economiche ordoliberiste una totale e perniciosa inefficienza nell’allocazione delle risorse; l’esatto opposto di quanto propagandisticamente sbandierato da chi oggi detiene lo scettro del controllo della Politica Economica dell’Unione Europea.
A fondamento dell’Ordoliberismo vi è infine un principio troppo spesso ignorato che permea silenziosamente tutta la filosofia Europeista: Il principio di sussidiarietà orizzontale; per capirne bene la portata sociale basti pensare che esso è stato ed è tutt’oggi uno dei fondamenti anche della dottrina sociale della Chiesa Cattolica e della sua linea antistatalista:
“…non è giusto, come abbiamo detto, che il cittadino e la famiglia siano assorbiti dallo Stato: è giusto, invece, che si lasci all’uno e all’altra tanta indipendenza di operare quanta se ne può, salvo il bene comune e gli altrui diritti. […] Se dunque alla società o a qualche sua parte è stato recato o sovrasta un danno che non si possa in altro modo riparare o impedire, si rende necessario l’intervento dello Stato” (Rerum Novarum, 28)
e ancora più in là nel tempo: “…deve tuttavia restare saldo il principio importantissimo nella filosofia sociale: che siccome è illecito togliere agli individui ciò che essi possono compiere con le forze e l’industria propria per affidarlo alla comunità, così è ingiusto rimettere a una maggiore e più alta società quello che dalle minori e inferiori comunità si può fare. Ed è questo insieme un grave danno e uno sconvolgimento del retto ordine della società; perché l’oggetto naturale di qualsiasi intervento della società stessa è quello di aiutare in maniera suppletiva (subsidium) le membra del corpo sociale, non già distruggerle e assorbirle. Perciò è necessario che l’autorità suprema dello stato, rimetta ad associazioni minori e inferiori il disbrigo degli affari e delle cure di minor momento, dalle quali essa del resto sarebbe più che mai distratta; e allora essa potrà eseguire con più libertà, con più forza ed efficacia le parti che a lei solo spettano, perché essa sola può compierle; di direzione cioè, di vigilanza, di incitamento, di repressione, a seconda dei casi e delle necessità. Si persuadano dunque fermamente gli uomini di governo, che quanto più perfettamente sarà mantenuto l’ordine gerarchico tra le diverse associazioni, conforme al principio della funzione suppletiva dell’attività sociale, tanto più forte riuscirà l’autorità e la potenza sociale, e perciò anche più felice e più prospera l’azione dello stato stesso” (Quadragesimo Anno, 79-81)
In parole povere, nella migliore delle tradizioni liberiste, lo Stato deve essere considerato un buon vigile urbano che normalmente regola il traffico ma che ha diritto di intervenire (in economia) solo ed esclusivamente in caso di conclamata catastrofe.
Tutto l’impianto del Welfare deve dunque realizzarsi in assenza di contrazioni significative della libera iniziativa e quanto più possibile demandato al volontariato e secondo un rigido protocollo compassionevole (reddito di cittadinanza e sussidi ma non lavoro); lo Stato non ha in alcun modo la funzione di riequilibratore sociale (articolo 3 comma 2 della Costituzione Italiana), azione che deve essere “sussidiata” dalla capacità riequilibratrice del mercato nei confronti dei beneficiari del “merito”, nella migliore delle tradizioni Darwiniane.
Chi abbia letto nel principio di sussidiarietà (da verticale a orizzontale), definito all’articolo 5 del Trattato UE, semplicemente un metodo di ricomposizione degli eventuali conflitti di competenza tra Unione e singoli Stati, sappia che dietro c’è ben altro: la ferma volontà di rimettere nella competenze legislazione Europea il pieno controllo dell’economia secondo le logiche Ordoliberiste di derivazione Germanica.
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