Il popolo dimenticato dall'ideologia globalista
di ALAIN DE BENOIST
Ciò che François Hollande vuole ridurre non è la disoccupazione ma le cifre della disoccupazione. Da qui il suo programma di formazione dei giovani, che è principalmente orientato a sgonfiare le statistiche. Per il resto, mentre la politica liberale dell’offerta non funziona in maniera evidente, senza la spesa pubblica la Francia sarebbe caduta nella depressione. Tutto ciò che Hollande propone sono le solite ricette liberali: regali aggiuntivi alle imprese, riduzione degli investimenti pubblici, riduzione degli impegni di spesa per il benessere sociale e dei sussidi di disoccupazione, ecc.
Il governo non ha mai capito che le aziende assumono solo se sono certe di poter vendere e che non vendono da quando la politica d’austerità condanna il potere d’acquisto a stagnare o a diminuire. “Lavorare di più per guadagnare di più”, diceva Sarkozy, dimenticando che se si lavora di più, si aumenta allo stesso tempo la quantità di offerta di lavoro. O, come nel periodo di disoccupazione la domanda è inferiore all’offerta e non aumenta; la sola conseguenza è il crollo dei salari.
In molte persone di destra, il senso della giustizia sociale assume una visione generica. Vogliono difendere la nazione, ma in ultima analisi, si preoccupano molto poco del popolo. Non hanno ancora capito che il capitalismo è intrinsecamente mondialista, in quanto esige l’abolizione delle frontiere (“lasciar fare, lasciar passare!”), che in ragione della sua propensione all’illimitatezza non può esistere senza rivoluzionare costantemente le relazioni sociali né vedere nelle identità nazionali ostacoli all’espansione del mercato globalizzato, che il modello antropologico del quale è portatore (quello di un individuo che pensa permanentemente a massimizzare il proprio vantaggio) è espressione del liberalismo economico, come del liberalismo sociale, e che l’assiomatica dell’interesse e la macchina del profitto sono i pilastri della dittatura dei valori mercantili.
Nel momento in cui il voto per il Front National riflette sempre più un “vero conflitto di classe”, come ha detto Christophe Guilluy (geografo e sociologo francese, ndt) – per cui “è lavorando sulla questione sociale che si arriva alla questione identitaria” – nel momento in cui la maggioranza delle classi popolari non vive più laddove si creano ricchezza e posti di lavoro, come non era mai accaduto nella storia, chiaramente le destre liberali trovano il programma economico del Front National “troppo a sinistra” o si entusiasmano per quel pagliaccio patetico di Donald Trump (l’equivalente americano del russo Zirinovsky), che pensa che “saper fa soldi” sia sufficiente per qualificarlo una buona guida per gli Stati Uniti.
Dagli anni Novanta del secolo scorso, la disperazione sociale non smette di espandersi: 6,5 milioni di persone registrate nel Centro per l’impiego, 8,5 milioni di persone povere, in linea al 60 per cento del reddito medio, 6 milioni di persone fisse al minimo sociale, 2,3 milioni di famiglie beneficiarie del Rsa (Reddito di solidarietà attiva, che fornisce un piccolo reddito alle famiglie bisognose in base alla composizione familiare, ndt), 3,8 milioni con alloggi precari, 3,9 milioni di beneficiari di aiuti alimentari, 810mila senza tetto, di cui 100mila costretti a dormire in grotte o per strada…
Di fronte a questa svolta della storia sociale della Francia, alcuni persistono a non vedere nulla. Essi comprendono gli agricoltori che moltiplicano le azioni illegali perché il mondo agricolo sta morendo, capiscono i Corsi che vogliono vendicarsi contro le azioni dei teppisti che hanno assalito i vigili del fuoco, ma quando otto dipendenti dello stabilimento Goodyear di Amiens sono condannati a due anni di carcere, di cui nove mesi in cella per aver trattenuto per trenta ore due dirigenti di una società che ha soppresso 1.100 posti di lavoro, e reso 800 lavoratori disoccupati (dodici suicidi dalla chiusura) – nove mesi di carcere contro trenta ore! – loro non nascondono la loro gioia di vedere questi “teppisti” spediti “in cella”.
Corsi e agricoltori d’accordo, ma non i lavoratori! Neanche un parola, inoltre, sui teppisti dal colletto bianco che delocalizzano la mano d’opera e moltiplicano i “piani sociali” per permettere ai loro azionisti di arricchirsi ancor di più! Io devo molto alla tradizione del sindacalismo rivoluzionario (Georges Sorel e Edouard Berth, Emile Puget e Victor Griffuelhes, Arturo Labriola e Filippo Corridoni), e questo solleva il mio cuore.
fonte: controinformazione.info
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