Il ritorno di Amintore Fanfani
di PIETRO SCOPPOLA
Amintore Fanfani aveva 25 anni quando pubblicò nel 1933 il volume su Le origini dello spirito capitalistico in Italia, seguito l’anno dopo dal più organico Cattolicesimo e protestantesimo nella formazione storica del capitalismo. «Max Weber secondo noi non ha ragione»: scriveva categoricamente il giovane, da pochi anni laureato, mostrando una buona dose di audacia e perfino di arroganza. Il suo obiettivo polemico era uno dei più grandi esponenti della cultura europea: quel Max Weber, appunto, il quale trenta anni prima aveva scritto la sua famosa opera L’etica protestante e lo spirito del capitalismo.
L’opera era stata certo oggetto di discussioni e dibattiti ma rappresentava un caposaldo della cultura storica e sociologica del primo Novecento: Max Weber, come si sa, aveva rovesciato con la sua interpretazione delle origini del capitalismo, legate ai suoi occhi all’etica e alla spiritualità protestante, la tesi marxiana del primato dei fattori economici per affermare invece l’importanza determinante dei fattori culturali e religiosi.
Ora quella audace opera giovanile di Fanfani viene ripubblicata dall’editore Marsilio con una prefazione di Antonio Fazio e una introduzione di Piero Roggi, nella edizione definitiva, rielaborata ed arricchita dallo stesso autore, comparsa nel 1944. Ma che senso ha a distanza di oltre 60 anni questa riedizione? È solo il frutto della fervida attività della Fondazione che a Fanfani stesso si intitola e tende meritoriamente a tenerne viva la memoria? è un segno di quel revival democristiano di cui si moltiplicano le manifestazioni? o ha un più profondo significato culturale?
Una risposta ci viene da oltre Oceano dove l’opera di Fanfani è stata più volte ripubblicata: «Uno dei motivi per rendere nuovamente disponibile questo classico di Fanfani – scriveva l’editore nel 2003 – è quello di confutare le argomentazioni avanzate [….] dai neo conservatori d’assalto i quali ritengono che le radici intellettuali del capitalismo siano compatibili con la tradizione di pensiero e con la cultura trasmessaci dalla Chiesa cattolica». Insomma quella giovanile opera ha dimostrato in sessanta anni una rara vitalità.
Fu proprio con gli scritti del ‘33-‘34 che Fanfani non solo vinse una cattedra universitaria ma entrò a pieno titolo e con grande rilievo nel circuito del grande dibattito internazionale che l’opera di Weber aveva suscitato. L’opera di Fanfani, nella edizione del ‘34, fu di fatto tradotta e pubblicata più volte in inglese e suscitò particolare interesse negli Stati Uniti: la citò Maritain, la studiò Kennedy. Per queste ragioni sarebbe stato forse di maggiore interesse ripubblicarla nella prima originaria edizione del ‘34.
Fanfani dal suo canto, come Piero Roggi mette bene in luce nella sua introduzione, non nega l’importanza del fattore religioso sulla economia ma tende a inquadrarlo in una più articolata visione storica, nella quale entrano altri decisivi fattori la cui presenza nella storia europea è anteriore alla stessa Riforma. In sostanza, lo sconvolgimento determinato nella economia e nei commerci, alla fine del Quattrocento, dalla scoperta delle Americhe, avrebbe contribuito ad una evoluzione spirituale per la quale entravano in crisi la idea e il valore della «limitatezza» nella proprietà e nell’uso delle ricchezze, caratteristiche della cultura medievale, in favore di una nuova mentalità dominata dalla idea della «illimitatezza» della ricchezza come valore che non doveva trovare alcun freno e alcun limite in principi morali.
Corrado Barbagallo rimproverò all’opera del giovane Fanfani una sorta di determinismo. Ma in realtà sembra che quello che è più caratteristico e più originale della analisi di Fanfani sia proprio questa idea della complessità del fenomeno che escludeva ogni lettura unilaterale di tipo ideologico e poneva le premesse per una distinzione che guiderà il suo pensiero e la sua azione politica: da un lato la realtà ineludibile del mercato con le sue dinamiche proprie, ma, dall’altro la possibilità e la necessità di un intervento correttivo ispirato a valori etici e destinato a tradursi in una politica economica.
È ben comprensibile che il libro di Fanfani suscitasse particolare interesse, specie negli Stati Uniti negli anni successivi alla grande crisi, in quanto indicava un modello di capitalismo che non escludeva un attivo intervento dello Stato. Un secondo e più incisivo momento di attualità ed efficacia le idee di Fanfani lo hanno avuto nei lavori dell’Assemblea Costituente. Nel ‘45, su consiglio e sollecitazione di Giuseppe Dossetti, Fanfani entra attivamente nella politica e assume la direzione del settore della propaganda e della cultura della Democrazia Cristiana: in uno scritto dello stesso anno, di cui Roggi sottolinea l’importanza, Persona, Bene, Società, già delinea il profilo di un riformismo sociale cristiano. In un saggio pubblicato a cura della Spes, che era l’ufficio propaganda del partito, nel 1946 definisce il capitalismo una società economica dis-orientata, una società cioè che ha bisogno di un nuovo orientamento.
Di fatto il suo apporto ai lavori della Costituente e alla elaborazione della nuova Costituzione italiana sarà proprio nel senso di una riforma della economia capitalistica diretta soprattutto ad una più equa distribuzione della ricchezza. Come è noto fu proprio Fanfani che propose e introdusse nella nostra Costituzione la formula che si legge nel primo articolo: «L’Italia è una Repubblica fondata sul lavoro».
La successiva opera politica di Fanfani, che non ha ancora dato luogo ad una sistematica ricostruzione storica, risente profondamente della sua formazione culturale giovanile e conferma ed esprime anche quella audacia e, perché no, quella grinta, che lo spinse a 25 anni ad aprire una aperta polemica con uno dei maggiori esponenti della cultura europea. Ma l’interesse delle idee di Fanfani non sembra minore oggi, nel momento in cui il modello capitalistico, pur uscito vincente dal pluridecennale confronto-scontro con il modello comunista, si trova tuttavia esposto ad una profonda crisi ideale e deve misurarsi con gli immensi problemi del sottosviluppo e del rapporto Nord-Sud del mondo.
L’idea di una politica economica, di respiro europeo e planetario, animata da una forte ispirazione etica, è più che mai attuale ed urgente. Può darsi che l’editore americano che citavamo all’inizio abbia un poco ecceduto nel sottolineare l’incompatibilità fra la dottrina della Chiesa e il capitalismo, ma chi ha letto la Centesimus annus di Giovanni Paolo II ricorda la visibile preoccupazione del Papa di evitare che il severo giudizio sul comunismo sconfitto si risolvesse in un acritica accettazione del capitalismo tanto da dar luogo quasi ad una equidistanza nel giudizio sui due sistemi.
Dunque quello che ritorna per merito della Fondazione a lui intitolata è un Fanfani inedito e poco noto al grande pubblico; ma non si può storicamente capire il più noto Fanfani politico senza risalire alle giovanili intuizioni che hanno dato vita all’opera oggi ripubblicata.
[“la Repubblica”, 1.3.2006]
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