Massimo Campanini: Cos'è il fondamentalismo islamico
Intervista a Massimo Campanini, uno dei più noti arabisti italiani, docente di Pensiero islamico e Storia dei paesi islamici all’Università di Trento. Fonte: The Post Internazionale
Cominciamo dalle origini. Quando e come nasce il fondamentalismo islamico?
Quand’è che il radicalismo conosce un salto di qualità?
A partire dagli anni Novanta, quando l’estremismo ispirato a Sayyed Qutb si trasforma in vari casi (ad esempio al-Qaeda) in terrorismo. Qutb è considerato il padre del moderno fondamentalismo islamico. Tra gli anni Cinquanta e Sessanta fu l’ideologo dei Fratelli Musulmani, organizzazione islamista diffusa soprattutto in Egitto e Palestina. Qutb aveva teorizzato la necessità di combattere i regimi oppressori e miscredenti. Fu impiccato nel 1966, accusato di voler compiere un colpo di stato.
I perché di questa ulteriore radicalizzazione non sono tutti facilmente spiegabili: l’Occidente ha le sue colpe col neocolonialismo e le disgraziate guerre dei Bush, l’Arabia Saudita le sue nel finanziare i movimenti più reazionari, la crisi economica e la povertà esasperano le reazioni. Motivazioni comunque più politiche che religiose. E con gli attentati degli ultimi mesi il rischio di incorrere in una islamofobia diffusa è grande.
Ci aiuti a comprendere meglio cosa sta accadendo. Cosa spinge gli estremisti islamici a compiere azioni di questo tipo?
Il radicalismo è un’estremizzazione teorica e pratica che strumentalizza concetti religiosi per fini politici, e da verificare è se questa strumentalizzazione sia cosciente oppure spontanea, per così dire “onesta”. Gli obiettivi di organizzazioni come al-Qaeda e Isis sono anti-islamici, in primo luogo perché scatenano una guerra intestina tra i musulmani, una fitna, che è esplicitamente condannata dal Corano; in secondo luogo perché fanno del messaggio liberatorio e rivoluzionario del Corano il pretesto per una violenza cieca. L’opposizione tra amici e nemici è uno sviluppo salafita – ovvero di un movimento ultra-conservatore e favorevole alla guerra santa – all’interno dell’Islam sunnita, che il Corano non contempla. La stessa rivendicazione di al-Baghdadi di essere califfo non ha alcun fondamento nella tradizione del pensiero politico islamico.
Cosa risponde, quindi, a quelli che accusano l’Islam di possedere un Dna violento?
Cominciamo col dire che tutte le religioni, comprese quelle più ireniche come il buddhismo, hanno un nocciolo violento: per natura la religione professa di possedere la verità mentre gli altri sono in errore, è un’idea condivisa anche da buddhismo e induismo. Inoltre, i testi sacri dell’ebraismo non sono meno violenti del Corano, anzi lo sono forse ancor di più, ma le circostanze dell’applicazione storica dei princìpi sono state diverse. Il Corano ammette certo la liceità del combattimento, ma anche il Deuteronomio – quinto libro della Torah ebraica e della Bibbia cristiana – dice che, dopo aver conquistato una città, bisogna passarne a fil di spada gli abitanti: forse allora è proprio il monoteismo semitico tout court che è più violento degli altri credi.
Infine, se il Corano è responsabile dell’Isis, allora anche il Vangelo lo è dei roghi di Giordano Bruno e Francesco Pucci o dello sterminio degli indiani d’America considerati come animali, così come Also sprach Zarathustra lo è del nazismo. Ma il Corano è anche potente testo di liberazione, cosa che la Bibbia ebraica non è. Il Vangelo lo è in parte, ma con molte ambiguità. Il problema di tutti i testi sacri è la loro interpretazione, e l’interpretazione è un fatto umano, troppo umano anche ammettendo l’origine divina della rivelazione.
Secondo lei, cos’è che non sta funzionando nelle politiche adottate per la lotta al terrorismo?
Credo fondamentalmente che l’atteggiamento dell’Occidente nei confronti dell’Isis sia troppo attendista e in certo senso passivo. Delegare, per esempio, ai curdi la resistenza in Siria e Iraq è strategia perdente: i curdi da soli non saranno mai in grado di sconfiggere l’Isis. L’Occidente, Stati Uniti in testa ma anche Francia e Gran Bretagna, è sempre stato pronto, anzi rapido a scatenare guerre e invasioni quando i suoi interessi erano minacciati.
Perché questa volta non lo fa? Soprattutto se è vero che l’Isis rappresenta un pericolo mortale?
I casi sono due: o l’Isis è meno pericoloso di quello che sembra e dunque non c’è fretta di combatterlo, o l’Isis, per così dire, “serve”, “ci fa comodo”. Dato che la prima ipotesi è da scartare, resta da chiedersi: cui prodest? A chi giova? Non amo le dietrologie, per cui dico: non lo so. Ma certo l’Isis è utile ad alimentare l’islamofobia, a consolidare l’immagine dell’altro-nemico, quell’Islam dipinto come violento e aggressivo per natura che nell’immaginario occidentale ha sostituito lo spettro del comunismo. Naturalmente, non è scelta facile organizzare una spedizione militare in Libia o in Siria, ma nel 2003 gli USA di George W. Bush ci hanno messo poche settimane a decidere di invadere e annientare l’Iraq di Saddam che, a quell’epoca, non costituiva più alcun pericolo e che dunque è stato combattuto senza motivo apparente.
Tra gli obiettivi principali del Califfato c’è sicuramente la Tunisia, unico tra i paesi arabi ad aver visto trionfare le istanze della primavera araba. Quali sono le sfide che si trova a dover affrontare oggi la giovane democrazia del Maghreb?
La destabilizzazione della Tunisia avrebbe un alto valore strategico e simbolico. Strategico perché consentirebbe di approfondire il buco nero libico, col pericolo di attrarvi e risucchiarvi l’Algeria e soprattutto l’Egitto, che a sua volta sta attraversando un periodo di grave instabilità. Simbolico perché l’Isis dimostrerebbe ai suoi simpatizzanti di essere davvero in grado di vincere. La Tunisia sta attraversando una transizione difficile di consolidamento democratico in cerca di equilibrio tra islamisti e laici. Una spallata come quella dell’Isis, che tra le altre cose annullerà per molto tempo il turismo, rischia di interrompere questa complicata transizione con ricadute al momento imprevedibili. Quanto successo lo scorso 27 giugno nella moschea di al-Imam al-Sadiq in Kuwait [moschea sciita attaccata da un kamikaze che ha provocato 28 morti e 200 feriti, ndr], invece, ci pone di fronte all’annosa questione che lega sciiti e sunniti.
Da dove ha origine il loro conflitto?
Sunniti e sciiti si sono guardati reciprocamente in cagnesco per secoli, accusandosi gli uni gli altri di essere eretici. Altrettanto, però, per secoli sunniti e sciiti sono convissuti pacificamente all’ombra degli imperi sovranazionali: dagli ottomani ai mughal nel subcontinente indiano. I conflitti aperti sono stati sporadici e in certo senso marginali, come quando i Wahhabiti sunniti nel diciottesimo secolo hanno saccheggiato i santuari sciiti in Iraq. Ma, ripeto, in genere per secoli la convivenza è stata pacifica. L’attuale esplodere di genocidi reciproci è il frutto ulteriore di una strumentalizzazione politica della religione. Non si può dire quando le cose cambieranno: probabilmente solo quando l’assetto della regione si sarà ristabilizzato e la religione non sarà più brandita come pretesto per giustificare la predominanza sciita in Iraq o la predominanza sunnita dell’Isis in Siria. Con gli attentati compiuti dagli uomini del Califfato aumenta la distanza tra Isis e al-Qaeda, che invitava prima di tutto alla jihad contro gli americani e i governi locali loro alleati.
Cos’è cambiato rispetto al passato?
Il terrorismo dell’Isis è diverso da quello di al-Qaeda, in parte perché colpisce in modo più indiscriminato e crudele, facendo delle uccisioni e delle decapitazioni uno strumento di comunicazione mediatica che al-Qaeda non utilizzava. Ma soprattutto perché sembra avere fini diversi. Da un lato, l’Isis rivendica in modo più esplicito e mirato l’idea di califfato: anche al-Qaeda certo aspirava all’instaurazione dello stato islamico ma l’Isis è più preciso nel dire che questo stato islamico è proprio il califfato, cioè il sistema politico perfetto dell’epoca dei successori del Profeta. Tutto questo ha un alto valore simbolico e potenzialmente mobilitante.
D’altro lato, mentre al-Qaeda preferiva colpire prima il nemico lontano, cioè l’Occidente, e solo poi il nemico vicino, cioè i regimi falsamente musulmani (secondo il suo punto di vista) dei Paesi arabi, l’Isis rovescia la prospettiva: si tratta prima di consolidarsi e radicarsi in Medio Oriente – in Siria, in Libia, in Yemen e potenzialmente in quei Paesi attaccabili dal virus jihadista, come la Tunisia – e poi da questo trampolino di lancio proiettarsi verso l’Europa.
Per concludere, quale ruolo, secondo lei, dovrebbero assumere gli altri musulmani nel mondo?
I musulmani nella stragrande maggioranza non sono favorevoli al terrorismo, vogliono la pace esattamente come tutti. L’importante è credergli e smetterla – come fanno invece la stragrande parte dei mass-media – di indicarli come mentitori e parlanti con lingua biforcuta, convinti che l’Islam sia per natura violento e assassino.
[Intervista a cura di Andrea De Pascale]
Bel trionfo della political correctness. La verità è che la caratteristica quintessenziale di tutte le religioni, finché sono vitali, è una violenta intolleranza nei confronti di culti diversi. Quando una religione smette di suscitare identificazioni (e quindi contrapposizioni) forti deperisce e muore: allora l’elemento nobile dell’essere umano, l’omicidio cruento del proprio simile, si trasferisce in capo a ideologie profane.
Infine la stretta interazione fra politica e religione (politica è reggimento della polis, dnque aggregazione; religo significa tenere assieme, dunque ancora aggregazione) è fondamento di ogni convivenza e infatti in ambito demoplutocratico politica e religione si diluiscono in perfetto unisono nell’ammuina dei diritti umani.
Dag Tessore ha scritto un bellissimo e spregiudicato libro sul tema della guerra santa, dimostrando testi sacri alla mano che nessuna religione, sia essa monoteista o politeista, è pacifista. Dunque il ricorso alla violenza, al bellum iustum, non va mai escluso in linea di principio. Ma da qui a dire che la fede istighi all’intolleranza più feroce e all’omicidio di miscredenti e infedeli ne passa: anzi la guerra santa è tradizionalmente oggetto di restrizioni piuttosto rigide. Il nemico principale che il credente di ogni religione deve combattere è metafisico: l’inclinazione al male che ognuno ha dentro di sé.
Lessi anni fa il libro di Tessore e se la memoria non mi gioca un brutto scherzo la tua interpretazione è pesantemente riduttiva. Tessore ricostruisce tutta la metafisica del sangue e del sacrificio (umano), intesi come lavacro sacrificale e momento di affrancamento dai vincoli terreni, che è sempre stata connaturata al cristianesimo (prima che si dissolvesse nella pappina odierna) e alle altre religioni del libro.
In questa chiave “il male che ognuno ha dentro di sé” si identifica con il materialismo e la guerra diviene percorso di autotrascendenza in direzione dell’idea e, quindi, del divino: “gloriosa vittoria della libertà sul gretto impulso animale” come la definiva A.W. Schlegel. Il platonismo cristianizzato dei padri della chiesa confluirà nel platonismo panteizzato dei romantici e, di qui, addiverrà al suo momento di più elevata esplicazione nel romanticismo d’acciaio (Goebbels), che scorgerà nell’atto bellico la miglior cura contro il processo di reificazione (e quindi di decadenza) indotto dalla modernità.
Scrivi con il sangue, e scoprirai che il sangue è spirito.
Ovviamente, se questa è la tesi di Tessitore e se Tessitore ha ragione, per fortuna che il cristianesimo si è trasformato in una pappa. Il romanticismo d’acciaio lo lasciamo ai depressi che trasfigurato la loro depressione in desideri imperialistici ridicoli.
per quanto riguarda l’islamismo radicale, esso è un progetto politico militare di liberazione da governanti corrotti o seguaci di ideologie estranee ai popoli arabi in primo luogo e islamici in secondo. È altresi un progetto di liberazione dal dominio statunitense. La forma di violenza atroce che esso ha assunto in certe formazioni politico militari credo che corrisponda a una identica violenza dei nemici combattuti e alla potenza tecnologica e militare di questi ultimi. La proposta di un’ordinamento civile e penale ricavato dalla interpretazione letteralista del corano è soltanto una scelta delle élite politiche di questo progetto, le quali credono, a torto o ragione, che i guerrieri necessari per combattere per molti decenni per ottenere la liberazione politica e quindi un diritto pubblico indipendente possano essere raccolti soltanto chiamando a raccolta i seguaci del letteralismo.
Noi italiani siamo estranei a questa guerra, non essendo l’impero né i governanti corrotti. Spingere gli islamisti radicali ad abbandonare l’Italia per andare a combattere nei campi di battaglia è il miglior modo per combattere l’islamismo radicale in casa nostra. Andare a combattere gli islamisti radicali nei campi di battaglia è invece il modo migliore per promuovere l’islamismo radicale e gli attentati terroristici in Italia.
Bene, godetevi la pappina della società multi-tutto. Basta non volere la botte piena e la moglie ubriaca.
Noi non c’è la godiamo. Come credo saprai, visto che frequenti questo sito da molto tempo la analizziamo e diffondiamo criteri per giudicarla. In più promuoviamo un progetto di aggregazione su alcune proposte politiche che non hanno niente da spartire con il sangue e l’acciaio.
Esaltare oggi il sangue e l’acciaio in Italia mi appare infantile, nel migliore dei casi, segno di squilibrio negli altri. Sono frasi che rispetto sotanto in bocca a coloro che il giorno dopo averle pronunciate si vanno a schiantare con l’autobomba contro il nemico. Auguri di buono schianto (ma attento agli effetti collaterali).
Nel mio intervento non facevo “politica per l’Italia di oggi”: ricostruivo radici spirituali e dottrinarie, senza attendermi rispostacce stile newsgroup a metà fra dileggio, battutine, attualità e politica politicata.
Scorgere in ideali alternativi un segno di infantilismo e/o di squilibrio mentale è proprio della miopia prospettica di chi vive immerso nel regime immaginale (in tedesco Ideenkleid = “vestito di idee”) imposto dal conquistatore di turno. Come accade a voi che vorreste la rivoluzione senza violenza, il vincolo organico senza rinunciare alla metafisica dell’individuo, lo stato nazionale insieme alle nazioni unite. Tanto che là dove i nodi vengono al pettine, come sull’invasione extracomunitaria, non sapete che pesci prendere e comincia il balletto dei sottili distinguo.
Auguri a voi di risuscitare l’Italia anni 50-60, ma attenzione a non schiantarvi quando vi accorgerete che il mondo è cambiato e che in quell’Italia lì c’erano tutti i semi di quella attuale.
Quando Stefano non sa cosa rispondere, cioè 8 volte su 10, la butta sulla delegittimazione esistenzialistica dell’interlocutore, sostanzialmente dandogli del pazzoide.
L’imperialismo britannico (di cui gli USA sono semplicemente una propaggine malata) è stata la cosa più antiromantica che ci sia stata nella storia, indi faccio molta fatica a capire cosa diavolo voglia dire il suo panegirico, se non insinuare “sottilmente” che Lorenzo o in generale chiunque abbia una visione tragica dell’esistenza sia uno psicopatico che domani riaprirebbe i campi di concentramento (anche quelli non sono stati inventati da Goethe, tanto per dire).
Che il salafismo (così si chiama, il fondamentalismo islamico è una cosa serissima che ha il suo centro principale nell’università di al-Azhar al Cairo, da sempre avversa all’IS) sia un progetto di liberazione dalla dominazione straniera è talmente falso che io mi vergognerei persino a pensarlo, e denota una crassa ignoranza della genesi di una scuola di pensiero che ha la sua origine nell’Hanbalismo del 9 secolo dell’Era Volgare.
Senza il fondamentale apporto britannico formalizzato nel 1927 con il trattato di Gedda, i sauditi non avrebbero mai mantenuto il potere, e non potrebbero quindi usare i propri petrodollari per finanziare il salafismo planetario.
Hassan al-Banna, fondatore della famigerata Fratellanza Musulmana, era membro del britannico Institute for Propaganda and Guidance, una organizzazione di intelligence volta a scatenare gli estremisti arabo-islamici contro l’Impero ottomano. La moschea di Ismailia, in Egitto, dove la fratellanza ebbe il suo primo centro, fu edificata da un’impresa britannica, la Suez Canal Company, nei pressi di una base militare britannica della prima guerra mondiale. Durante la seconda guerra mondiale la Fratellanza Musulmana funzionò di fatto come un reparto delle forze armate britanniche.
Durante la Guerra Fredda fu ampiamente teorizzato, per esempio dal grande esperto strategico americano Bernard Lewis l’uso dell’islam contro il comunismo ateo, e per questo motivo fu consentito ai sauditi di sviluppare la cosiddetta “finanza islamica”, ovvero la rete di banche ed holding con cui viene finanziato il terrorismo jihadista di tutto il mondo, non necessariamente arabo.
Indi, meno terzomondismo d’accatto e più rispetto per l’interlocutore.
Altrimenti bloccate i commenti e nessuno verrà più a rompervi i coglioni.
A Lorenzo ho risposto sopra. Se certe dichiarazioni secondo me hanno una spiegazione psicologica non vedo perché non dovrei scriverlo.
Il riferimento ad alcune formazioni politico-militari salafite era dovuto al fatto che in esse è palese il sangue e l’acciaio e voleva segnalare come queste caratteristiche fossero proprie di progetti politico-militari, non dell’islam e tanto meno del salafismo come teoria.
Cosa c’entra la fratellanza con il salafismo? Cosa c’entrano i Saud con Osama Bin Laden o con Al Zarqawi e il gruppo di militari iracheni (ex baathisti) che crearono lo Stato Islamico in Iraq nel 2006, modificando la strategia di Bin Laden? Io stavo parlando di gruppi che hanno combattuto contro gli stati uniti in Afghanistan e in Iraq e che andarono a sfidare gli Stati Uniti anche in Somalia. Uno dei due ora è di nuovo combattuto dagli stati uniti, alleati in Iraq degli sciiti iracheni capeggiati spesso a terra da generali iraniani (è accaduto di recente a fallujah: a terral’esercito sciita iracheno era comandato da un generale iraniano, mentre la città veniva demolita dall’alto dai caccia statunitensi) e in Siria dei seguaci di Ocialan (ypg): se vuoi cominciare ad informarti comincia a googlare cercando Manbij.
In ogni caso il mio non è terzomondismo né d’accatto né serio. Da tempo ho smesso di tifare nelle partite giocate da squadre straniere. Lascio il tifo agli antimperialisti ingenui che credono di partecipare a un’unica battaglia geopolitica globale.
Il laicismo socialista panarabista è finito nel 1991, quando il padre di Assad si alleo’ con gli usa che aggredirono l’Iraq. E negli anni successivi al 2003 non vi fu una sola formazione della resistenza irachena che raggruppasse panarabisti laici e socialisti provenienti dalla Libia o dall’Egitto o dalla Siria o dalla Turchia. Saddam se ne era accorto nel 1991, quando decise di inserire nella bandiera irachena la scritta Dio è grande e incaricò Al Duri di curare la reislamizzazione del baath: ormai il cemento unitario era l’islam e non un morto socialismo laico. Non a caso nel 2003 accorsero invece alcune migliaia di salafiti. E non a caso la rivolta dei sunniti nel 2013 e’stata capeggiata dall’armata naqsbandy di al duri e dall’Isis due formazioni settare che hanno combattuto gli usa fino al 2011 (anche se poi l’isis molto piu’settario ha eclissato l’altra formazione). Indubbiamente i progetti di al qaeda e dello stato islamico sono “internazionalisti” e antinazionalisti. Per loro gli stati nazione sono invenzione dell’occidente.
La Fratellanza Musulmana è un movimento salafita, esattamente come Al Quaeda, l’IS, Boko Haram (che però aggiunge delle strane componenti tribali o addirottura, secondo alcune testimonianze, animiste) ecc…
Cosa centrino con questi movimenti i petrodollari del Golfo mi pare abbastanza ovvio.
Certamente, è esistita una vasta temperie culturale di liberazione dei popoli arabi, ma quello era il laicissimo socialismo panarabo baathista di cui solo la Siria mantiene almeno una parvenza.
Il salafismo a guida anglo-saudita non ha alcuna dignità “nazionalista” da rivendicare.
Che poi la partita non sia unilaterale è ovvio, ma non capisco chi abbia detto il contrario.
Tanto per dire, sia la Turchia che Israele vedrebbero di buon grado la Siria smembrata, ma sono decisamente opposti rispetto alla questione Curda.
Indi…di che parliamo?