Reintrodurre l’equo canone: la bolla immobiliare deve essere sgonfiata e non deve più essere gonfiata
di Stefano D’Andrea
Giustizia, se si preferisce Socialismo, Bellezza, se si preferisce Ambientalismo, e Costituzione della Repubblica Italiana, se si preferisce Decrescita, stanno e si tengono insieme. Insieme vincono o insieme perdono.
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Abrogato in parte nel 1992 e in parte da una legge emanata sotto il Governo D’Alema nel 1998, l’equo canone è scomparso dal nostro ordinamento, senza che una o altra forza politica concepisse e rappresentasse al popolo quella scomparsa come una grave perdita e un terribile regresso della nostra legislazione sociale ed economica.
Eppure basta svolgere semplici ragionamenti per comprendere come l’equo canone sia un istituto imprescindibile per dare attuazione a principi fondamentali della Costituzione della Repubblica Italiana.
Cominciamo con l’osservare che l’aumento sconsiderato del prezzo degli immobili, verificatosi a partire dalla seconda metà degli anni novanta – guarda caso in coincidenza con la definitiva abrogazione dell’equo canone – ha riguardato non soltanto gli immobili di nuova costruzione, per i quali l’equo canone era già stato abrogato nel 1992, bensì anche quelli edificati in tempi risalenti o molto risalenti.
Orbene, per gli immobili costruiti trenta o più anni fa, l’equo canone è un istituto necessario al fine di evitare una valorizzazione del capitale, in forma di rendita, che non può trovare alcuna giustificazione e che mortifica tutte le forme di lavoro, subordinato o autonomo. E’ evidente che, vigente l’equo canone, il prezzo degli immobili non può salire più di tanto, perché se la rendita è un dato normativo (per esempio seicento euro), solo un folle sarebbe disposto a pagare, per la proprietà di un appartamento, un prezzo che non ha alcuna relazione con la rendita. Se invece l’equo canone è abolito, la rendita non è più certa e potrà aumentare e anche raddoppiare, con la conseguenza che l’immobile potrà pervenire ad avere un “valore di mercato” che sarebbe del tutto sproporzionato e impensabile se l’entità della rendita non fosse stata “affidata al mercato”.
Che significa, sotto il profilo dell’economia politica, che un appartamento edificato trenta anni fa o settanta anni fa registra in sette anni un aumento del prezzo di circa il 100%, come è avvenuto nel recente passato? Significa che i proprietari di quegli immobili hanno visto raddoppiare il valore dei medesimi, oltre a percepire una rendita maggiore (anche doppia) rispetto al passato. Chi aveva duecentomila euro di capitale immobiliare si è trovato proprietario di un capitale di quattrocentomila euro (oltre alla maggiore rendita); chi aveva un capitale immobiliare di due milioni di euro è giunto a detenere quattro milioni di euro in immobili (oltre alla maggiore rendita); e chi aveva cento milioni di euro di immobili avrà guadagnato in conto capitale (immobiliare) altri cento milioni di euro (oltre alla maggiore rendita).
Si potrebbe obiettare, molto ingenuamente: perché dispiacersi se la sorte ha consentito ad alcune persone di raddoppiare il proprio patrimonio? L’obiezione sarebbe ingenua, perché se gli immobili valgono di più, vale di meno il lavoro (autonomo e subordinato) e diminuisce il capitale investito e (effettivamente) rischiato.
Infatti, per quale ragione si dovrebbe investire un capitale in un’attività d’impresa, se l’investimento, tolto il compenso per il lavoro che l’investitore mette nell’impresa, non consente un raddoppio del capitale in sette anni? E anche se lo consente, perché rischiare per avere un profitto identico ad una rendita per niente rischiosa? D’altra parte, il raddoppio del valore degli immobili, posto che non è stato accompagnato da un raddoppio dei salari e dei redditi da lavoro autonomo, sta a significare che il lavoratore subordinato che desiderava acquistare un appartamento dovrà pagarlo una somma che non corrisponde più a (poniamo) otto anni del suo stipendio, bensì a sedici anni di lavoro. Il medesimo discorso vale per il lavoratore autonomo, che, come il lavoratore subordinato, dovrà lavorare il doppio degli anni per acquistare la casa desiderata. E si badi che non è un ragionamento che riguarda soltanto i poveri e il ceto medio. Anche un lavoratore autonomo che ha un reddito netto di centomila euro l’anno e desiderava acquistare una casa di grande valore dovrà pagarla il doppio e quindi dovrà impegnare otto anni del proprio lavoro, anziché quattro. L’equo canone, più ancora che un istituto del socialismo, è Giustizia.
Una società che non controlla mediante leggi il costo degli immobili (e degli affitti) è una società malata, che tutela il lavoro morto (il lavoro che fu necessario per costruire l’immobile), ossia il capitale ormai investito e retribuito (il capitale che fu investito nella costruzione dell’immobile e che già è stato compensato con decenni di affitti, nonché dalla ordinaria rivalutazione dell’immobile), a scapito del lavoro vivo – il lavoro che è necessario prestare per poter acquistare un determinato appartamento – e del capitale investito in imprese più o meno redditizie e che ancora deve scontare il rischio dell’investimento.
L’equo canone deve essere reintrodotto anche per gli immobili di nuova costruzione. Senza dubbio, l’aumento dei costi ha inciso sull’aumento dei prezzi degli immobili di nuova costruzione. Ma quali costi? Non certo il costo della manodopera, che è rimasto pressoché stabile, anche a causa dell’esercito industriale di riserva creato dall’Unione europea e dagli immensi fenomeni migratori scatenati dalla costruzione del mercato globale. E’ aumentato il costo del terreno edificabile, e pertanto si sono foraggiate altre rendite. Il costruttore ha poi subito l’aumento dei costi di numerose materie prime, i cui prezzi, infatti, hanno cominciato a scendere soltanto con la crisi dell’edilizia. Volete trasferire ricchezza dai proprietari di terreni e dai produttori, esportatori e importatori di cemento e di ferro, ai lavoratori italiani, autonomi e subordinati, che devono acquistare casa? Allora dovete volere la reintroduzione dell’equo canone.
Giova soffermarsi sulle obiezioni.
Non è pertinente quella, assai frequente, relativa all’estrema difficoltà dei locatori di cacciare di casa gli inquilini morosi. Essa implica una nuova disciplina che agevoli la posizione del locatore. E sarebbe una disciplina giusta, se il canone fosse equo. Perché tutelare chi è inadempiente ad una obbligazione equa, che il legislatore ha fissato a protezione del conduttore (ossia dell’inquilino)? Non si vede per quale ragione si debbano compensare le effettive difficoltà del locatore nel cacciare gli inquilini morosi con la possibilità di un canone iniquo, determinato dal “mercato”. Si fissi un canone equo e si sanzionino severamente i conduttori morosi: ognuno è chiamato a impegnarsi soltanto se può mantenere le promesse. E’ un principio etico che deve essere anche giuridico.
Nemmeno vale obiettare che poveri e ceti medi hanno paura che la casa recentemente acquistata, grazie ad un notevole indebitamento, si deprezzi. E’ una paura infondata. Poveri e ceti medi non hanno nulla da temere ma tutto da guadagnare dalla reintroduzione dell’equo canone. Se hanno acquistato la casa nella quale vivranno per una vita, non subiranno alcun danno, mentre saranno avvantaggiati i loro figli, quando, cresciuti, dovranno andare via di casa e stipulare contratti di locazione o acquistare immobili (posto che l’equo canone è un ostacolo alla bolla immobiliare). Se poi colui che ha recentemente acquistato casa intende (o è costretto a) venderla per comperarne un’altra in un diverso luogo, al minor ricavo proveniente dalla vendita corrisponderà un minor esborso per l’acquisto.
Infine, a chi obiettasse che reintroducendo l’equo canone diminuirebbe la costruzione di nuove abitazioni si deve rispondere che egli ha ragione. Ma questa non è una obiezione. Perché la pretesa conseguenza negativa è, in realtà, uno degli obiettivi primari che dobbiamo porci, per rispetto della terra che ci ha dato i natali, ci ospita, ci nutre e ancora gratifica, con le sue meraviglie, coloro che sanno andare in cerca di queste ultime. Dobbiamo porre termine alla cementificazione del territorio Italiano, che come elemento costitutivo del nostro Stato, siamo tenuti a considerare sacro.
Tutela del lavoro, autonomo e subordinato, e lotta alle rendite-reintroduzione dell’equo canone-cessazione del consumo del suolo-ristrutturazioni volte al risparmio energetico: tutto si tiene. Giustizia (favorire i redditi da lavoro autonomo e subordinato e colpire le rendite), se si preferisce Socialismo, Bellezza (lotta alla cementificazione del territorio), se si preferisce Ambientalismo, e Costituzione della Repubblica Italiana (art. 47 Cost.: “La Repubblica incoraggia il risparmio”, in questo caso energetico e quindi anche monetario, e “Favorisce l’accesso del risparmio popolare alla proprietà dell’abitazione”, non, quindi, l’indebitamento dei cittadini per far crescere l’economia strozzandoli), se si preferisce Decrescita, stanno e si tengono insieme. Insieme vincono o insieme perdono.
La bolla immobiliare deve essere sgonfiata e non si deve più gonfiare. Un cittadino intelligente, consapevole dei propri interessi e degli interessi collettivi e pubblici allo sviluppo di una civiltà equa, che promuova la mobilità sociale e valorizzi il lavoro vivo (autonomo e subordinato), anziché il capitale e le rendite, non dovrebbe votare alcun partito che non ponga tra i punti fondamentali del programma l’obiettivo di sgonfiare la bolla immobiliare e impedire che si reinneschi la speculazione edilizia. La reintroduzione dell’equo canone è uno strumento essenziale, senza il quale l’obiettivo non può essere raggiunto. Come iscritto ad Alternativa, invito Alternativa, il Movimento per la decrescita felice, Per il bene comune, i Valsusini e quanti altri si stanno impegnando nella costruzione del nuovo partito alternativo al partito unico delle due coalizioni ad adottare lo slogan La bolla immobiliare deve essere sgonfiata e non si deve più gonfiare e a proporre tra i punti fondamentali del programma la reintroduzione dell’equo canone.
Considerazioni giustissime, ma lo faranno?
Dobbiamo riflettere su una cosa (o più di una…)
C'è sempre un motivo quando una legge giusta viene abrogata.
Il motivo è sempre uno: l'interesse a speculare sulla determinata cosa.
C'è un motivo se negli Usa fu abrogata la Glass-Steagall o se molti anni prima fu abbandonato il Gold-Standard…e alla fine questi sono tutti pezzi dello stesso puzzle se ci riflettiamo bene.
Quello che voglio dire è che l'equocanone "forse" è stato abbandonato proprio per gonfiare la bolla…
;(
Cara Alba,
io e te siamo quasi sempre d'accordo e forse addirittura sempre. Diciamo che l'equo canone è stato abolito per valorizzare il capitale immobiliare e quindi le rendite. Aggiungi la politica di bassi tassi di interesse, i prestiti trentennali e quarantennali e persino portabili agli eredi, le agevolazioni fiscali per chi paga rate di mutuo e la mancata previsione di analoghe agevolazioni per chi paga il canone di locazione, la svendità del patrimonio edilizio pubblico (che calmierava in parte i prezzi) e la estinzione di ogni programma di edilizia cooperativa e popolare ed ecco la bolla. La legge crea il mercato. La domanda e l'offerta dipendono dal quadro normativo. Si la bolla è stata voluta o almeno è stata volontariamente provocata.
Ciao
Mi permetto di aggiungere qualche nota al bell'articolo qui sopra.
Negli ultimi quindici anni sono stati cementificati/asfaltati oltre 3 milioni e mezzo di ettari di terreno, consegnandoci un triste primato europeo. La Liguria è in testa alla classifica nazionale, con uno straordinario 45,55% di suolo libero cementificato tra il 1990 ed il 2005.
Nel periodo 1950-2005 il suolo libero italiano è passato da 30 milioni di ettari a meno di 18 (-40,65%)
Un altro primato che nessun lavoratore europeo ci invidia è la spesa per l'edilizia sociale (ovvero edilizia che lo Stato mette a disposizione dei ceti meno abbienti). Se nel 1984 ci furono 36mila abitazioni edificate con sovvenzionamenti pubblici, nel 2004 siamo già a 1800.
Nel 2005 il 35% del patrimonio abitativo olandese era relativo ad abitazioni sociali, contro uno splendido 4% italiano.
http://dipiter.unical.it/Materiale_didatt_ciccone/ingegneria_del_territorio/Paesaggio,%20relazione%20Provincia%20RM%20%20%20%20%20%20%20%20%20%2011.10.07.pdf
Ovvio che nel quinquennio successivo al periodo preso in considerazione dell'articolo del link le cose sono peggiorate.
Un aspetto "positivo" riguardo alla bolla immobiliare è che essendo andati i prezzi oltre le reali possibilità di acquisto (tenendo presente l'attuale crisi) si sta assistendo ad un lento ma inesorabile dietro-front in Italia, e ad una debacle impressionante negli USA (e forse anche Spagna).
Ciò che mi preoccupa di tutto questo è che lo sciacallaggio si sposti dal mattone al pane, ovvero che ci siano speculazioni sempre maggiori sui prodotti alimentari. Mentre ci si può adattare a vivere in una baracca (succedaneo dell'abitazione), non si possono trovare cibi di ripiego.
Mi auguro quindi che si riesca a trovare il modo per investire nell'edilizia sociale e ridimensionare così le cifre terribili di esposizione al debito che l'acquisto della casa (diritto costituzionale) impongono al già magro bilancio familiare dei lavoratori italiani del nuovo millennio.
Ho molto apprezzato quest'articolo e, in generale, i toni originali del vs sito, segnalatomi da un amico comune. Mi sento però di contribuire con alcune riflessioni:
1) la speculazione edilizia non trova il proprio humus nella liberalizzazione delle rendite, quanto in un non avveduto controllo del credito: negli anni cui vi riferite il vero motore della crescita dei prezzi è stato il sistema creditizio e le politiche lasche di affidamento; il mercato dei mutui ha a sua volta avuto grande linfa dalla facilità con la quale il rischio creditizio legato ai mutui fondiari veniva ceduto al mercato tramite lo strumento delle cartolarizzazioni: non è un caso se la spirale dei prezzi ha avuto una sensibile accelerazione dopo il 99 (anno di approvazione della legge italiana sulle cartolarizzazioni); ulteriore riprova ne viene dal fatto che dal 2007 il mercato si è sostanzialmente fermato e le quotazioni vengono "mantenute alte" dall'artificioso allungamento dei tempi di vendita;
2) la speculazione edilizia non è necessariamente un male: l'incremento dei prezzi degli immobili determina – come effetto collaterale "positivo" – un rafforzamento del settore dell'edilizia di nuove costruzioni e un ampliamento del mercato: in poche parole ci sono più case a disposizione e a prezzi più ragionevoli (ovviamente in zone sempre più decentrate, ma meglio che sotto i ponti); è evidente che il calmiere dei prezzi renderebbe le nuove costruzioni molto meno profittevoli e dovrebbe essere necessariamente accompagnato da una seria edilizia popolare, che mi sento francamente di ecludere dato lo stato fatiscente della finanza pubblica italiana;
3) L'imposizione di un regime di prezzi amministrati determina di solito la nascita di un "mercato nero" e un ulteriore incentivazione all'evasione; prevengo la facile obiezione del "ma tanto l'evasione c'è comunque" e contropropongo l'aliquota secca del 12.5% come per le attività finanziarie (il che sarebbe coerente con la classificazione dell'investimento immobiliare quale forma privilegiata di investimento del risparmio privato);
grazie per lo spazio.
lucio
ottimo pezzo. per propalare il concetto:
"La crisi finanziaria è stata provocata da una bolla immobiliare, l'equo canone previene la speculazione e assicura una casa per tutti, se non sostieni l'equo canone vuol dire che desideri la miseria generalizzata"
ecco come ci si potrebbe porre. Poi si potrebbero buttare al macero pubblicazioni quali il mio testo di economia politica (28, mi è andata bene), che dopo due paginate di grafici conclude: "L'introduzione dell'equo canone, dunque, sicuramente non comporta un beneficio per la comunità, e può procurare un danno a coloro ai quali dovrebbe arrecare un beneficio."
Un giorno dovremmo scrivere un bell'articoletto sul grado di infiltrazione dell'ideologia mercatista/neoliberista/american-sionista nelle università di questo disgraziato paese.
Caro Lucio,
in primo luogo ti ringrazio. Poi rispondo.
Concordo con il punto 1). Fin dal Manifesto del fronte popolare italiano (https://www.appelloalpopolo.it/?p=22) ho segnalato ciò che dici e ipotizzato rimedi. Poi, oltre a vari cenni in diversi articoli, ho pubblicato la audizione parlamentare dell'avv. Agostino D'Antuoni sul credito al consumo e immobiliare (https://www.appelloalpopolo.it/?p=1698). Resta il fatto che la fissazione di una rendita equa concorre con altri strumenti normativi ad impedire la lievitazione dei prezzi (i proprietari dei terreni non potranno pretendere la somma che hanno preteso ma una somma più bassa, ecc. ecc.).
Sono in disaccordo politico (non tecnico) sul punto 2). Sia perché implica l'accoglimento della ideologia della crescita (che io rifiuto), sia perché comporta il consumo del territorio e della bellezza (vedi l'importante commento di Tonguressi, che precede il tuo), sia perché in Italia abbiamo tante case da ristrutturare, sicché l'edilizia dovrebbe essere indirizzata verso le ristrutturazioni, da consentire soltanto se il progetto prevede un altissimo livello di risparmio energetico.
Quanto al punto 3) posso osservare che mia moglie, che è giudice civile, si è occupata di locazioni e aveva centinaia di cause in cui gli inquilini richiedevano ciò che era stato pagato in eccesso (l'abolizione del dicembre 1998 non ha riguardato i contratti in corso, cosicché i contratti ad equo canone sono scaduti fino al dicembre 2002). Perciò gli inquilini, se volevano, recuperavano il nero. E se non volevano, la ragione stava, talvolta, nel fatto che tutto sommato il locatore aveva previsto un prezzo, a loro modo di vedere, equo.
L'aliquota secca del 12,5 per le rendite finanziarie non la vuole più nessuno. Ora anche Fini ha posto l'obiettivo di alzarla al 25 o al 22 o al 20 % (non ricordo) e se rifletti è uno sconcio morale. In europa dappertutto si aggire intorno al 20 o è superiore (nel parlamento italiano è in discussione una norma che prevede la cedolare secca del 20% per le rendite immobiliari). Ma l'europa si interessa dell'IVA, che è una imposta sul consumo finale, non della imposta sulle rendite. Rifletti. Tu svolgi, poniamo, il lavoro di avvocato e sul tuo reddito lordo, eventualmente di 40.000 euro, paghi imposte che per buona parte di questo reddito finiscono per superare il 20% e, credo, per arrivare al 33%. Poi, per ragioni di famiglia sei proprietario di tre immobili, che non solo si valorizzano del 17% l'anno, ma ti danno una rendita rispetto alla quale paghi il 12,5%. E' evidente che tu hai più interesse ad opporti ad una cedolare secca del 30% che all'abolizione dei minimi tariffari, che faranno scendere il tuo reddito o lo faranno crescere meno di quanto sarebbe cresciuto. E' assurdo. Non si tratta di socialismo ma di ideologia borghese, la quale nacque per combattere le rendite. Che esistano difficoltà (e impossibilità a causa del fatto che il potere politico è in mano, ormai, a ceti medio alti o ricchi) a fissare una cedolare secca del 30% è un conto. Che sia giusto opportuno e sacrosanto, da tutti i punti di vista, che la rendita venga tassata in misura maggiore del lavoro, non può essere negato.
Quanto al nero, basterebbe prevedere che in mancanza di registrazione del contratto o in caso di registrazione di contratto con prezzo simulato nulla è dovuto e il conduttore gode gratuitamente dell'immobile (stai sicuro che il nero scomparirebbe). La Corte Costituzionale si è espressa sempre in senso contrario, se non erro, alla subordinazione dei diritti soggettivi agli adempimenti fiscali. Ma io, che non conosco quelle sentenze, non sono riuscito a trovare una norma costituzionale che possa fondare le decisioni della Corte Costituzionale.
Ciao e grazie
Caro Stefano,
sul punto due prendo atto della "distanza" politica e spero di poterla segnare ogni volta che sarà necessario (ti farà piacere, se ho bene inteso lo stile della casa);
sull'aliquota secca – metto immediatamente in pratica – e ti segnalo che a mio parere e in linea di principio qualsiasi tassazione del risparmio dovrebbe è di per sè immorale, giacché il risparmio è il residuo di un reddito da lavoro (auspicabilmente già tassato in precedenza) e non il frutto del caso; mio malgrado propongo l'ulteriore "taglia" del 12,5% come male minore rispetto al 23-30-43%;
quanto alla Corte sono sostanzialmente d'accordo sulle tue conclusioni.
cordialità
ldg
Caro Lucio,
la Costituzione incoraggia e tutela il risparmio. Ciò significa che esso va salvaguardato dall'inflazione (se è monetario) o, se è immobiliare, che la rendita (o il vantaggio di vivere in una casa propria senza pagare canoni) + la rivalutazione devono pareggiare i costi di matenimento e le imposte. Non significa che il risparmio debba moltiplicarsi. Perciò il problema è se e come tassare la rendita, non come tassare il risparmio.
Alla prossima
Ottimo articolo e livello del dibattito molto alto. Mi piacerebbe partecipare ma per limiti culturali mi permetto soltanto di aggiungere qualche dato "pratico", desunto dalle pagine di Repubblica degli ultimi mesi:
La "bolla immobiliare" è sgonfia, sotto ai livelli del 1999:
COMPRAVENDITA DI CASE IN ITALIA (Fonte: Nomisma 2010)
1996: 483.000
1997: 525.000
1998: 578.000
1999: 642.000
2000: 690.000
2001: 681.000
2002: 762.000
2003: 762.000
2004: 804.000
2005: 833.000
2006: 845.000
2007: 815.000
2008: 684.000
2009: 609.000
2010 (proiezione): 620.000
QUANTO RISPARMIEREBBE IL PROPRIETARIO CON LA CEDOLARE SECCA?
Da quanto si deduce da questo articolo, ben poco:
http://www.lavoce.info/articoli/pagina1001715.html
Come al solito se le riforme le fa Tremonti bisogna stare molto attenti
ARMONIZZAZIONE RENDITE
La proposta di Fini è di portare la tassazione delle rendite al 25%, che non sarebbe comunque un'armonizzazione con la tassazione delle forme più blande di risparmio, ora al 27%, sotto forma di conti in banca.
ideologicamente parlando, concordo con Stefano, bisogna tassare la rendita e premiare il lavoro "vivo", e l'equo canone può essere uno strumento valido.
Grazie Marco.
Preciso soltanto che la bolla immobiliare non si è sgonfiata, perché le vendite sono diminuite ma i prezzi non ancora. Chi fa il costruttore, non è che possa cambiare mestiere e quindi sta costruendo, con costi che se anche in parte dimninuiti non è detto saranno compensati.
Poi bisogna distinguere tra chi (pochi) costruisce con soldi suoi. Questi se la caveranno. E chi (i più) costruisce con soldi delle banche. Questi ultimi stanno costruendo case che in gran parte "sono delle banche", le quali, fino ad ora hanno semplicemente l'ipoteca.
Dovreste approfondire l'iniziativa credo fatta a Roma del Mutuo Sociale, ovvero il Comune/povincia/regione si riappropria di aree abbandonate, indice una gara d'appalto per costruire complessi residenziali che poi vengono in parte venduti con mutuo a prezzi calmierati ed agevolati,in parte affittati ad equo canone ed in parte a canoni popolarissimi…ed il Proprietario istituzionale non ci lucra nè ci perde.Purtroppo solo Casa Pound , che io sappia, ne propaganda l'iniziativa.
Attenti, il mutuo sociale è una corbelleria, già smascherata un bel pò di tempo fa
http://www.marxists.org/italiano/marx-engels/1872/abitazioni/qa-1pa.htm
post citato in questo.
Grazie D'Andrea
http://noi-nuovaofficinaitaliana.blogspot.it/2012/11/il-diritto-alla-abitazione-alcune.html