Agenzie di “rating”: il monopolio delle “tre sorelle” USA
La notizia è di poche ore fa. L’Italia potrebbe tornare nella categoria A dei “rating” di Standard & Poor’s. Quest’agenzia di “rating” (“valutazione”) statunitense precisa che dipenderà dal buon esito (o meno) delle riforme attualmente in atto del governo euroatlantico guidato da Monti. Quello delle agenzie di “rating” è uno dei canali in cui fattivamente si esplicano l’ingerenza sfacciata, il fattivo direzionamento, la complessiva dipendenza politica, quindi economica e finanziaria, che subisce e soffre (anche) il nostro paese.
I declassamenti e le promozioni di dette agenzie risultano infatti funzionali ad una prospettiva strategica di dominio, non riducibile a motivazioni esclusive di interesse speculativo.
Le agenzie di rating, nate agli inizi del Novecento negli Stati Uniti, analizzano la solidità finanziaria di soggetti quali Stati, Enti territoriali e pubblici, imprese, banche, assicurazioni. Le principali agenzie sono tutte statunitensi: Moody’s, Standard & Poor’s e Fitch. Il rating, che valuta l’entità del rischio di credito, si divide in due principali categorie: il rischio commerciale ed il rischio paese, ma non misura altri tipi di rischi quale quello di tasso o di cambio, ecc. La valutazione della capacità del debitore di far fronte al rimborso del proprio debito finanziario viene fornita ricorrendo ad una scala alfabetica, che va da un valore massimo ad uno minimo.
Un monitoraggio di qualche tempo fa effettuato dall’Adusbef su oltre 1.000 “report” (consigli per gli acquisti o per le vendite su titoli e/o azioni), emessi a pagamento (quindi con un potenziale conflitto di interessi, a volte anche quando non è richiesto) dalle maggiori agenzie di rating, ha provato che tali rapporti sono risultati sballati al 91%. Quando le agenzie diffondono i loro “report” su società quotate, i “consigli” (ad acquistare: “buy”; vendere: “sell”; o tenere: “hold”) si sono rilevati 9 volte su 10 vere e proprie bufale a danno dei risparmiatori. Le società di “rating”, poiché sono pagate dai committenti e non dagli investitori, sono portatrici di un conflitto di interessi che ha mostrato tutta la sua evidenza anche in scandali finanziari mondiali di una certa rilevanza da Enron e Worldcom alla Parmalat.
I voti negativi delle agenzie di “rating” hanno sempre drammatiche conseguenze economiche e sociali, con motivazioni sempre di una ripetitività e di una banalità sconcertanti: i tagli nelle spese di bilancio non bastano mai e le riforme delle pensioni, della sanità (leggi: privatizzazione), nel “mercato del lavoro”, e via elencando, tutto rigorosamente da tagliare e comprimere, vanno sempre a rilento. Sono giudizi, ripetuti in salse un po’ diverse, che sono stati emessi per tutti, paesi industrializzati o cosiddette nazioni in via di sviluppo che siano.
L’effetto immediato di un voto negativo è l’aumento dei tassi di interesse per “ricomprare” la fiducia dei sottoscrittori di obbligazioni e di altre forme di credito, per cui tutto il debito pubblico e privato di uno Stato costa subito di più, con ricadute negative sul bilancio statale e con l’aggiunta di ulteriori tagli alla spesa sociale. Per le nazioni più deboli, queste decisioni provocano anche una caduta del valore di scambio della moneta, con effetti devastanti sulle importazioni (che costano di più), sulle esportazioni (che valgono di meno) del paese, sul suo bilancio statale e sui livelli di vita della popolazione.
Con la deregolamentazione dell’economia, soprattutto dall’inizio degli anni Novanta, queste agenzie sono diventate il “grande fratello” finanziario e hanno progressivamente accumulato un potere immenso, superiore a quello degli Stati e delle banche centrali, sia nella valutazione delle politiche dei governi che dell’andamento economico di qualsiasi entità privata, determinando le decisioni di tutti gli attori economici. All’inizio le agenzie offrivano, a pagamento, ai detentori di titoli di credito, i loro giudizi sul comportamento dei debitori. Adesso persino i debitori pagano per avere un “voto” prima di emettere un’obbligazione o attingere a qualsiasi altra forma di credito. Senza il voto delle agenzie, economicamente non si esiste più. Per poter comprare o vendere, per prendere o dare in prestito, bisogna pagare il “pizzo” per ricevere la protezione o il semplice riconoscimento da parte di questi nuovi potentati.
Prima di tutto va sottolineato che le tre maggiori agenzie di rating (le “tre sorelle”) sono delle entità private strutturate come società per azioni e quindi parte della logica di mercato e sottoposte al principio del massimo profitto possibile. Inoltre, e risulterà chiaro da una sintetica analisi delle loro strutture dirigenziali (come da scritto di merito uscito su “Indipendenza” qualche anno fa), le “tre sorelle” hanno partecipazioni dirette, anche attraverso i membri dei loro consigli direttivi (“Board of Directors”), delle più grandi corporation e banche internazionali, pesantemente coinvolte nelle operazioni di finanza derivata, cioè in quelle speculazioni finanziarie principali responsabili delle bolle speculative e dell’attuale crisi finanziaria sistemica globale.
1) La Standard & Poor’s (S&P) è sussidiaria della multinazionale McGraw-Hill Companies, colosso delle comunicazioni, dell’editoria, delle costruzioni e presente in quasi tutti i settori economici, con sede centrale a New York. La multinazionale, proprietaria anche di Business Week, nel 2005 vantava un fatturato di 6 miliardi e un profitto di 844 milioni di dollari. Il presidente di McGraw-Hill è Harold McGraw III, che è, tra le altre cose, contemporaneamente membro del Board of Directors della United Technology (multinazionale degli armamenti) e della ConocoPhillips (petrolio ed energia). È stato anche membro del “Transition Advisory Committe on Trade” del presidente George Bush senior.
Tra i membri del Board of Directors della McGraw-Hill, che decidono quindi anche dell’attività della S&P, troviamo: Sir Winfried Bishoff, presidente della Citigroup Europa e uomo di punta della Henry Schroder Bank di Londra; Dougals N. Daft, presidente della Coca Cola Co.; Hilde Ochoa-Brillenmbourg, alto responsabile della Credit Union del FMI-World Bank; James H. Ross, della British Petroleum; Edward B. Rust Jr., presidente dell’assicurazione State Farm Insurance Company (gigante del settore assicurativo, bancario e immobiliare, sotto inchiesta per le politiche troppo disinvolte dopo l’urgano Katrina), direttore della Helmyck & Payne, colosso del settore petrolifero e già membro del Transition Advisory Team Committee on Education della presidenza di George W. Bush (padre); Sidney Taurel, presidente della farmaceutica Eli Lilly (che in passato ha vantato tra i suoi dirigenti anche Kenneth Lay, condannato per la bancarotta della Enron) e direttore dell’IBM, già membro nel 2002 dell’Homeland Security Advisory Council (l’apparato dell’antiterrorismo).
2) L’agenzia di rating Fitch di New York è sussidiaria della multinazionale dei servizi finanziari Fimalac, con sede centrale a Parigi. Nel 2005 la multinazionale americana delle comunicazioni Hearst Corporation ha rilevato il 20% del pacchetto azionario. Il suo presidente è Marc Ladreit de Lacharriere, uomo della Renault e della Banque Suez. Tra i membri del Board of Directors troviamo: David Dautresme della banca Lazard Freres; Philippe Lagayette della JPMorgan & Cie; Bernard Mirat della Cholet-Dupont (finanza); Bernard Pierre della Fremapi (metalli preziosi). La Fimalac vanta anche un International Advisory Board per dare più lustro e potere alla multinazionale, che nel 2002 annoverava tra gli altri: Felix Rohatyn della Lazard Freres, l’uomo che ha recentemente smantellato l’industria statunitense dell’auto, Sholley della UBS Warburg, Reimnits della Kommerz Bank, Peberan della Paribas, rappresentanti della Nestlè, della Bertelsmann e anche l’ex presidente della Federal Reserve americana Paul Volker e l’italiano Lamberto Dini.
3) L’agenzia di rating Moody’s è sussidiaria della Moody’s Corporation, con sede centrale a New York. Il presidente è Raymond W. McDaniel Jr. Tra i membri del Board of Directors troviamo: Basil L. Anderson della Stables Inc. e della Hasbro Inc (due giganti del settore vendite e servizi); Robert Glauber della ING Group (settore bancario e assicurativo con base in Olanda), già sottosegretario del ministero delle finanze americano nel periodo 1989-92; Henry Mc Kinnell, della multinazionale farmaceutica Pfizer e della Exxon Mobil (petrolio); Nancy S. Newcomb della Citigroup e della Sysco Corporation (settore alimentare); John K. Wulff, della multinazionale chimica Herculer, della KPMG (la multinazionale di consulenza finanziaria e di certificazione dei bilanci), della Sunoco (petrolio) e della Fannie Mae (che insieme alla Freddie Mac detiene quasi per intero il pacchetto ipotecario immobiliare americano).
Le “tre sorelle” del rating quindi, sono non solamente l’espressione dell’intreccio dominante delle multinazionali, ma in particolar modo sono una struttura organizzata delle principali banche del pianeta che controllano il sistema finanziario e debitorio delle nazioni e di tutti i settori dell’economia sia privata che pubblica. Ma il dato da sottolineare è l’influenza determinante esercitata sulle “tre sorelle” da quella finanza altamente speculativa che è responsabile della gigantesca bolla in derivati finanziari che ha precipitato il mondo intero in un processo di crisi sistemica. Secondo i rapporti della Banca dei Regolamenti Internazionale (BRI) di Basilea –la banca di coordinamento di tutte le banche centrali– alla fine di dicembre 2005 solamente il totale del valore nazionale di tutti i derivati finanziari Over The Counter (OTC), cioè quelli che non appaiono sui bilanci delle banche e finanziarie che li sottoscrivono, aveva raggiunto i 284.819 miliardi di dollari, cioè sette volte il PIL mondiale (alla fine del 2003 era di 197.167 miliardi, cioè quasi 100.000 miliardi in più solamente in 24 mesi!). Queste sono operazioni finanziarie altamente speculative, soprattutto scommesse sugli andamenti futuri dei tassi di interesse, che hanno ripetutamente portato l’intero sistema in crisi e continuano a scuotere quotidianamente il sistema finanziario e monetario.
Tutto questo ci porta a concludere che le “tre sorelle” non sono solamente squalificate nella pretesa di valutare la solidità economica e finanziaria degli Stati e delle imprese, ma che sono parte integrante del sistema che sta portando il mondo economico verso il crack e la crisi sistemica con conseguenze devastanti per l’intera vita economica, sociale e politica del pianeta.
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