Nomos
Nei poemi omerici (databili attorno all'VIII sec. AC) la legge aveva origine divina e carattere orale; l'autorità del re era politica e religiosa insieme. Le ordinanze regali, tramandate da padre in figlio, costituiscono nel corso delle generazioni il corpo di un diritto sacro. A partire dal VII sec. a.C. si ha una prima, fondamentale innovazione: le leggi vengono scritte e rese pubbliche. I grandi legislatori (ad es. Solone ad Atene nel 594 a.C.) raccolgono il diritto, tramandato oralmente, in codici scritti: nasce così Nomos, la legge scritta. Col diritto scritto, la legge si installa nella polis e ne diviene l'anima stessa. Nel Nomos si esprimono la volontà ed il potere della polis, e subentra il vincolo comune della obbedienza alla legge.[1]
La creazione di Nomos comporta una conseguenza inevitabile: osservare più da vicino Physis (ciò che sta alla base, natura ultima), trasfigurandola.[2]
Ci si rende conto cioè che esiste una legge artificiale (creata dall'Uomo stesso), ed una legge naturale che precede qualsiasi morale collettiva. In questo senso Solone con la creazione delle leggi democratiche anticipò di un paio di millenni Cartesio e il suo duopolio Rex Extensa e Res Cogitans.
La situazione ai tempi di Solone era decisamente complicata. Il latifondo (aristocrazia) aveva istituito la schiavitù per debiti. Il piccolo coltivatore quando aveva bisogno di un prestito si rivolgeva ad un latifondista e dava come garanzia sè stesso, e questa prassi aveva generato un sostanziale schiavismo da debiti le cui dimensioni cominciavano ad essere preoccupanti per la stabilità della polis stessa.
Azzerando lo schiavismo da debiti Solone impone un Nomos che vuole togliere lo strapotere agli aristocratici e favorire gli imprenditori (Demos, il solito 10%). Agli imprenditori, ci insegna la Storia, non servono gli schiavi. Almeno secondo la definizione classica…..
I due aspetti (Nomos e Physis) cominciano ad essere studiati più attentamente. Abbiamo visto Talete che inizia a dare la stura al processo di misurazioni, spostando contemporaneamente il significato di Physis da "Natura ultima" a "Natura misurabile".
Dall'altra parte ci sono i Sofisti che cominciano ad interrogarsi sul significato di Nomos. Chiedersi cosa sia la verità o la conoscenza porta direttamente a mettere sotto osservazione l'intero Nomos.
Protagora afferma che il Nomos perde ogni garanzia di validità universale in quanto la questione del fondamento delle leggi umane è indissolubilmente legata al suo rapporto con la polis. E' la polis stessa a fornire il criterio di demarcazione tra il giusto e l'ingiusto: "Quali cose a ogni città sembrino giuste e belle, queste sono tali per essa, fintanto che tali le creda".
Gettando le basi del relativismo culturale ("L'uomo è misura di tutte le cose") i Sofisti affermano che l'uomo può conoscere solo ciò che cade nell'orizzonte della sua esperienza.
Il linguaggio quindi non è mai stato capace di rappresentare in modo univoco le cose, e tra il logos e la realtà ci sarebbe un divario incolmabile. L'unico criterio di "verità" per un discorso è la sua presunta universalità: un postulato (un assioma o un teorema) diventa vero se è condiviso ed è utile alla maggioranza della gente (e qui si torna con la concezione matematico/democratica dell'argomento). Se non è possibile elaborare un discorso oggettivamente vero, è possibile formularne uno che rispecchi i punti di vista della maggioranza.
Qui si apre una questione spinosa: perchè ciò che decide la "maggioranza" dev'essere necessariamente "giusto"? Protagora afferma che il concetto stesso di "giusto" appartiene alla maggioranza, indipendentemente dai valori che tale termine esprime o comporta.
I tedeschi della Seconda Guerra Mondiale trovarono "giusto" invadere Cecoslovacchia, Polonia, Francia, Russia etc…Se non l'avessero trovato "giusto" (per qualsivoglia ragione) non l'avrebbero fatto.
E così un dizionario altro non fa che riportare, secondo i Sofisti, un'opinione maggiormente diffusa che non ha necessariamente molto a che vedere con una presunta "verità".
Ci informa un dizionario online che la parola Sofista trae origine da Sophos (sapiente) e Sophia (sapienza) e che descrive un abile e dotto argomentatore che DEGENERA ben presto in odioso cavillatore che trae gli altri in errore con fallaci e viziosi argomenti aventi solo l'apparenza della verità.[3]
In estrema sintesi: esiste una qualche verità universale ed i Sofisti sono tutti degli stronzi a metterla in dubbio.
Cos'altro ci si potrebbe aspettare da un dizionario?
La questione assume poi dei connotati metafisici se la osserviamo dal punto di vista di Crizia. Secondo quest'ultimo, infatti, anche la religione è una creazione umana con finalità di controllo: le divinità sono strumenti inventati dal legislatore per tenere a bada gli uomini convincendoli dell'esistenza di una forza soprannaturale in grado di osservarli in qualsiasi momento e in seguito giudicarli.
Insomma già 2500 anni fa ci fu chi seppe mettere a confronto le convenzioni sociali (Nomos) con il potere. Discutere sui significati, su postulati, assiomi e teoremi significa mettere in discussione una delle basi su cui si fonda il potere: il consenso.
Cosa questa mai gradita ai potenti, che da sempre si affrettano ad appiccicare etichette dispregiative nei confronti di chiunque osi mettere in discussione la bontà del sistema politico da loro stessi sostenuto.
[1]http://www.linguaggioglobale.com/filosofia/txt/Sofisti.htm
[2]"Gorgia e Parmenide", E. Berti pg. 189
[3]http://www.etimo.it/?term=sofista
"Qui si apre una questione spinosa: perchè ciò che decide la "maggioranza" dev'essere necessariamente "giusto"?"
Direi che è Socrate che ci dà una chiara risposta, una risposta per cui si è sacrificato: la Verità non può essere espressione della maggioranza del momento, e il singolo (il filosofo) potrebbe avere ragione pur in contrasto con la propria counità.
Come ho già avuto modo di dire ci sono stupefacenti analogie tra il processo di Socrate e quello di Galilei. Ad entrambi, ad esempio, furono fatte delle "offerte di pace" che vennero sdegnosamente rifiutate e portarono ai risultati che conosciamo.
La questione vera salta fuori rovesciando i normali termini del discorso; siamo abituati a vedere come LORO avessero la Verità e gli altri no, ma questo è un lusso che ci viene concesso adesso, e che allora non era minimamente garantito. Se ragioniamo in termini di relativismo culturale (alla Protagora) ci dobbiamo chiedere perchè una società strutturata (nel bene e nel male) debba cedere alcuni princìpi su cui si fonda per dare retta a chi (nel bene e nel male) ne propone di diversi
Socrate viene quindi ritenuto un pericoloso nemico politico che contesta quei valori di cui i capi del governo credono di avere il sicuro possesso e che vogliono imporre ai cittadini, ci informa Wiki.
Ora: qualsiasi cultura (quindi sistema politico) si fonda sull'accettazione dei criteri di valutazione (impianto morale) che la rendono "efficiente". Da questo punto di vista Socrate non era diverso dai politici che criticava. A modo suo era "efficiente" così come era "efficiente" la democrazia ateniese (identica in tutto e per tutto alla società aristocratica-latifondista sotto questo punto di vista).
Il vero problema quindi non può essere la presunta "verità" e su chi la detiene. Esiste qualcos'altro. E cioè la necessità del cambiamento che va commisurata alla capacità di cambiare. Panta Rei, affermava Eraclito: tutto diviene. Socrate commise un errore madornale: credere di possedere la Verità. Se avesse adottato le tecniche dei sofisti la diatriba sarebbe probabilmente scemata in scaramucce procedurali. Per i sofisti, infatti, non esiste alcuna verità ed è credo impossibile, facendo leva sulla loro famosa dialettica e retorica, non convenirne. Viceversa la Verità mette a nudo nervi scoperti e ferite ancora non rimarginate, ovvero la non ancora digerita parte del Panta Rei. Non dimentichiamoci che Socrate fu maestro di Crizia, aristocratico quindi antidemocratico, che sosteneva gli dei fossero stati inventati per scopi di controllo (potere). Ci sono tanti elementi che vanno valutati e che portano molto lontano dalla vulgata popolare.
Questo per arrivare ad una conclusione: il cambiamento non può essere forzato da una qualsivoglia minoranza. Le Brigate Rosse sono un'esempio recente di quello che in realtà stava per succedere negli anni '60, ma che ormai negli anni '70 non aveva già più senso. Un partito politico, nello specifico,. ha successo quando cavalca l'onda del cambiamento necessario. Si spiega così il successo di Berlusconi e Bossi e la scomparsa della Dc e del PCI, partiti che non hanno saputo rinnovarsi. Un partito intelligente, poi, sa coniugare le necessità di cambiamento che sono nell'aria con una forte vocazione alle cause popolari (ma non populiste) ma senza la vocazione al martirio. E' tutto da discutere che Socrate sia stato più "utile" da morto che da vivo (se si esclude l'opinione di Santippe, ovviamente)