«Gente, Popolo, Nazione»: il lessico politico pre- e postunitario di Niccolò Tommaseo
di ANNA RINALDIN [Università di Venezia – “Ca’ Foscari”]
“I sensi indeterminatamente promiscui che soglionsi dare a Gente, Popolo, Nazione, sono documento storico da meditarsi, e da farne un’analisi chimica per distinguerne al possibile gli elementi”. Con queste parole Tommaseo integra la voce nazione nel Dizionario della lingua italiana, già dopo l’avvenuta unità italiana con l’evidente auspicio di una consapevolezza storico-semantica ancora di là da venire, ma sulla quale lui stesso si era profondamente impegnato.
Il primo significato di nazione (lat. natio, der. da nascor), indica ‘nascita, generazione’, soprattutto in relazione alla cultura agreste; in questo senso è usato fino a Brunetto Latini (1294) ed esce dall’uso nel sec. XV. Il significato più propriamente politico, quello ampio di ‘individui nati nello stesso tempo o luogo, legati da una stessa lingua, storia, civiltà, interessi, spec. in quanto coscienti di questo patrimonio comune’, è prossimo al significato di gente al quale è spesso congiunto e compare a partire da Boccaccio: da questo momento il termine avrà una fortuna le cui sfaccettature, spesso minimali, arrivano fino all’epoca moderna.
Un’altra svolta fondamentale è registrata nel momento in cui il significato moderno che individua la nazione come organizzazione politica strutturata entra in italiano alla fine del Settecento attraverso la mediazione francese della rivoluzione, assieme alle parole che, per influsso francese, subirono un processo di rinnovamento semantico e di tecnicizzazione, come cittadino, patriota, democrazia, uguaglianza.
Questa nuova accezione tarda a venir riconosciuta nei vocabolari dell’Ottocento. Nella prima edizione del Vocabolario della Crusca (1612), nazione è definita come “generazione d’huomini nati in una medesima provincia”; la medesima linea che ignora l’aspetto dell’organizzazione statale continua nel Dizionario universale di Francesco D’Alberti di Villanuova (1797-1805), nella Crusca veronese dell’abate Cesari (1806-1811) e nel Vocabolario della lingua italiana del Mannuzzi (1° ed. 1833-42), i quali riprendono senza interventi la voce della Crusca. L’omissione valica la data dell’unità nazionale, spingendosi fino al Vocabolario italiano della lingua parlata di Rigutini-Fanfani (1875).
Lungo tutto l’arco della propria produzione, Tommaseo connette strettamente il concetto di nazione a quello di popolo, pur tuttavia modificandoli e approfondendoli nel corso del tempo. Nel Dell’Italia, opera politica uscita in forma anonima e in due volumi a Parigi nel 1835, quando l’autore si trovava nella capitale francese in esilio volontario, i due termini sono quasi sempre presenti contemporaneamente entro breve giro di parole, in un vago rapporto di sovrapposizione quasi totale [o messi] in relazione alla questione della lingua, alla costituzione di una nazione indipendente (“nazione, non colonia”) e alla lingua parlata dal popolo:
“A nazione che voglia conservare e purificare la propria natura, non con imitazioni falsarla, è debito politico conservare e ristorare la dignità del linguaggio […]. Imporre al popolo, rigorosamente tenace degli antichi modi, vocaboli e modi estranii, è tirannide: e sempre dalle corti e dai palazzi ci venne la corruzion della lingua, e d’ogni nobile cosa. E finché rimarremo schiavi delle formule francesi ed inglesi, non avrem mai libertà propria nostra; e le parole daranno il varco alle idee, le idee all’armi, e le armi alle catene e allo scettro. Saremo, non nazione, colonia. A codesto pensino i letterati nostri; scelgano delle parole italiane, quelle che più consuonino al linguaggio de’ meglio parlanti, e agli usi de’ governi nuovi, e che più memorie destino de’ be’ tempi passati”.
Non esiste nazione senza lingua comune: Tommaseo sceglie il toscano, aggiungendo una critica alla questione dei prestiti linguistici veicolati in modo particolare dal linguaggio della politica e della giustizia. Il popolo è detto conservatore in fatto di lingua e costretto ad una omologazione dall’alto, ad una sudditanza nei confronti delle altre lingue europee: finché ci sarà dipendenza non ci potrà essere nazione. Il popolo dunque, in questo caso, soggiace alla nazione, ne è elemento costitutivo e fondamentale.
Nelle Scintille, volume prosimetro e plurilingue (scritto in italiano, francese, greco e slavo), pubblicato a Venezia nel 1841, Tommaseo supera l’idea della vecchia erudizione separata dal popolo, e prospetta una visione dei rapporti collettivi sulla base di popoli-nazioni che è cosa tutta diversa dagli assetti statali costruiti dalle diplomazie europee come rimedio agli sconvolgimenti degli anni napoleonici.
Si incontra subito, all’inizio del testo, il concetto di «indole propria», inteso come “la nota distintiva di una civiltà specifica che partecipa al coro delle altre ma non vi confonde né annulla la propria voce individua”, a cui si lega il concetto di fratellanza delle nazioni. Riconoscere l’indole consente di adoperarsi per il progresso della comunità, fatto di commerci e di economia non meno che di quel tessuto di idee e comportamenti senza il quale una comunità non sussiste.
Caratteristica distintiva della nazione (che non è un «corpo determinato») è ancora una volta la lingua, a cui si affianca il concetto di gente, che in origine identifica il clan e, per estensione, la famiglia o gruppi di famiglie del medesimo ceppo (sec. XIV, Bibbia Volg.), la discendenza, la razza, oltre che la nazione, il popolo (cfr. gr. ghénos, sec. XIV, Livio Volg. e Dante), e che in epoca imperiale designava le nazioni straniere in opposizione al populus Romanus, in questo contesto viene usato come sinonimo di popolo, anche nel rapporto lingua-dialetto. I due significati principali di gente sono ‘moltitudine di persone in genere’ o nel senso etimologico di ‘ceppo di origine comune’ e quindi di ‘popolo’ (non necessariamente ‘nazione’ ma anche solo parte di essa).
Venendo ai dizionari, le edizioni dei Sinonimi in cui compaiono i termini gente, popolo e nazione (assommate nella medesima voce) si incardinano in questa prospettiva, ma allargano il campo semantico e manifestano la stessa ambiguità presente nella situazione vocabolaristica di cui si è dato conto. Alla spiegazione di gente («principio di nazione») e di popolo (Tommaseo cita il caso a lui noto della Corsica, la cui annessione alla Francia dimostra come esistano popoli che non fanno parte della nazione a cui tradizionalmente appartengono: così dicendo il concetto di popolo assume valore “naturale”, quello di nazione “istituzionale, umano”), segue una stoccata ai principi dell’ormai vecchia rivoluzione francese, con l’esclusione del popolo dalla nazione (inteso come plebe, usato come peggiorativo di popolo).
Tommaseo attacca i governi, siano essi monarchici o repubblicani, come distruttivi della nazione, e si chiede se l’Italia sia o meno una nazione: nelle parole di nostalgia in ricordo del 1846 si sente tutta la partecipazione di chi condivideva le spinte patriottiche mazziniane per la costituzione di uno Stato unitario e repubblicano, da inserire in una più ampia prospettiva federale europea. Si può dire la stessa cosa, del resto, anche del termine connazionale presente solo nei dizionari, in un momento in cui la struttura nazionale italiana non ha ancora preso forma; di contro, concittadino presenta molte più occorrenze a indicare coloro che fanno parte della cittadinanza (civitas) – che non equivale alla città – e che possiedono gli stessi diritti civili (questa la caratteristica principale che distingue connazionale da compatriota).
Tommaseo definisce connazionale chi fa parte “della medesima nazione. Se gli uomini della stessa nazione vivono in comune patria, meglio chiamarli compatrioti. Concittadini, se hanno comuni i diritti civili. Ma possono uomini della nazione medesima essere divisi e di governo e di paese; e allora non si può non denotare il loro vincolo con questo nome, da non usarsi però senza necessità, giacché non è bello”.
La definizione vocabolaristica di popolo mette in luce ancora una volta la stretta corrispondenza fra i tre termini gente, popolo, nazione: “Nazione, Moltitudine di uomini nati in un medesimo paese, o viventi sotto le medesime leggi. Gli usi varii e indeterminati di questo vocabolo dimostrano quel che ha d’incerto e di confuso, e quel che ha di provvidamente promiscuo, la storia delle umane famiglie. […] Molta storia arcana rinchiudesi nella denominazione, per istinto e quasi per fatto usit., di Popoli italiani. Non fu detto Genti, perché razze diverse. Fino a’ dì nostri non fu detto Nazione, né in senso genealog. (come dicevasi la nazione fiorentina, la senese), nè in senso polit., perché i popoli d’Italia non formavano nazione italiana”.
Tommaseo sembra non allontanarsi dagli “usi indeterminati” che questi termini conservano dal passato e che il presente eredita. Quello che si può statisticamente provare è che Tommaseo usa molto di più termini come gente o popolo invece che termini generici e astratti come democrazia, sottolineando ancora una volta la vicinanza ai concetti concreti piuttosto che alle idee, agli individui piuttosto che alle categorie: l’indipendenza dello scrittore dal potere e la sua ricerca della verità (due aspetti evidentemente connessi tra loro), un’idea di letteratura alimentata dal popolo non meno che dai grandi scrittori, un programma di educazione e diffusione popolare della cultura, sono fattori intrecciati in una dimensione generale, che investe i popoli non meno che gli individui.
Tommaseo si riallaccia in termini moderni a quel filo della tradizione classica e cristiana consistente nel concepire la politica come prolungamento della morale, e anzi sua prosecuzione. Convinto che il progresso civile e culturale richieda tempi lunghi, e che anche l’indipendenza dallo straniero, in Italia e altrove, esiga una maturazione paziente, contribuisce concretamente a superare l’idea della vecchia erudizione separata dal popolo, e prospetta una visione dei rapporti collettivi sulla base di popoli-nazioni che è cosa tutta diversa dagli assetti statali costruiti dalle diplomazie europee come rimedio agli sconvolgimenti degli anni napoleonici.
Fermamente convinto che libertà politica e cattolicesimo convergono, ostile al materialismo di ascendenza illuministica e d’altra parte lontanissimo da nostalgie per l’antico regime, con il quale ha rotto senza compromessi, guarda avanti, alla nozione di popolo come depositario di virtù e valori che si sottraggono ai vizi dell’Europa metropolitana e di un’attualità priva di tensione morale: una nozione, quella di popolo, – e un mito – fecondi, un concetto unitario cui si connette l’ideale, al plurale, di nazioni libere e concordi.
[Coesistenze linguistiche nell’Italia pre- e postunitaria, Atti del XLV Congresso della SLI, a cura di T. Telmon, G. Raimondi e L. Revelli, Roma, Bulzoni, 2012, II vol., pp. 695-708]
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