di SIMONE GARILLI (FSI Lombardia)
Come dovrebbe essere evidente a chiunque (ma è chiaro che da qualche decennio non è più così) il referendum è insieme la più immediata forma di democrazia popolare e la più effimera.
La vittoria del 4 dicembre è stata netta, ed è tutta del popolo, o almeno di quelle fasce popolari che hanno capito o intuito da dove derivano i loro problemi: disoccupati, precari, giovani, piccoli imprenditori, liberi professionisti, dipendenti pubblici e privati.
Ma è da spettatori della politica, quelli che da quattro decenni siamo diventati, illuderci che il NO al referendum basti a spostare gli equilibri politici nazionali e internazionali e con essi le politiche sociali ed economiche. È stata una vittoria di retroguardia, puramente difensiva. Abbiamo parato il tentativo di stupro lessicale del nostro massimo riferimento simbolico nazionale, la Costituzione del 1948, e l’ulteriore approfondimento normativo della nostra sudditanza all’Unione Europea.
Ora, come previsto da chi non tratta la politica come fosse reality show, arriva la Troika.
Il Ministro dell’Economia Padoan, uno dei nomi più caldi per la prossima Presidenza del Consiglio, avrebbe chiesto ufficialmente l’intervento del Meccanismo Europeo di Stabilità (MES), organismo di fatto, anche se non di diritto, gestito dall’Unione Europea e quindi dalla Commissione, dalla Bce e dai Governi tedesco, francese e, indirettamente, americano. I cosiddetti “aiuti europei”, però, arrivano solo e sempre a patto che il Paese ricevente rispetti delle condizionalità. Tradotto: altra austerità e un’ancora maggiore erosione di sovranità economica e politica.
La richiesta di aiuti è stata poi smentita, ma il gioco di annunci indiretti e smentite è il metodo preferito per testare la fattibilità di misure impopolari. Ciò che è certo è che ci aspetta altra austerità, con un controllo ancor più diretto della Troika, in una forma o nell’altra.
Il problema, nel caso italiano, sono le banche, messe in crisi non da una propensione al rischio più alta che in altri Paesi avanzati (anzi) ma da un’austerità applicata in Italia con particolare vigore, la quale ha tagliato le gambe ai debitori (famiglie e imprese) mettendo in crisi i bilanci dei creditori (le banche). Le sofferenze bancarie sono il prodotto dell’austerità, non dei “prestiti agli amici degli amici”, che sempre sono avvenuti per la semplice ragione che così funziona il capitalismo, come in modo analiticamente raffinato spiega Augusto Graziani nella sua teoria del circuito monetario.
I cittadini italiani devono mettersi in testa che non sono singoli consumatori, risparmiatori, debitori, spettatori, elettori, ma sono il Popolo. Dal disoccupato strutturale al piccolo e medio imprenditore, passando per i dipendenti, sia pubblici che privati, e per i pensionati, il modello neoliberale, globalista e americano-centrico è IL problema, rispetto al quale la distanza fra l’interesse di profitto del piccolo imprenditore e l’interesse di alto salario del dipendente è irrilevante e anzi può essere accorciata in un contesto di piena occupazione, alta domanda interna e alti investimenti.
Mentre il popolo torna ad essere popolo, militando ed organizzandosi in partiti popolari di massa, la crisi durerà, durerà l’Unione Europea o perlomeno il libero movimento dei capitali che ne informa la razionalità (con o senza euro), durerà la globalizzazione selvaggia e l’immigrazione senza controllo. Il vittorioso referendum non sia la scusa per tornare sul divano a “guardare” la politica.
Ma allora non era meglio votare SI’?
Vedo che hai letto con molta attenzione :)