Sovranità nazionale ed europea? No: sovranità nazionale o sovranità europea
di Stefano D’Andrea
Alcuni invocano la “sovranità nazionale ed europea”, una sovranità che dovrebbe essere conquistata nei confronti degli Stati Uniti. Sovranità è termine impreciso ma la proposta politica è chiara. Si vogliono ricollocare geopoliticamente e militarmente l’Europa e gli Stati nazionali che la costituiscono, con tutte le conseguenze che ne derivano per i vecchi trattati internazionali, in primo luogo quelli relativi alla NATO. Si propone una indipendenza di giudizio che è prima di tutto culturale. Si pretende di prendere atto che l’unilateralismo statunitense, ossia la posizione di forza esercitata nell’ultimo ventennio quasi senza resistenze (in ambito europeo), è un dato del passato. Aggiungerei che gli Stati europei dovrebbero cessare di copiare e trasportare in Europa istituti giuridici alieni, estranei alla tradizione continentale e che da lungo tempo disordinano i nostri ordinamenti, fino a minarli nelle fondamenta. Tutti obiettivi sacrosanti, che tuttavia si raggiungono esercitando la sovranità che Europa e Stati nazionali hanno e non conquistando una sovranità che non hanno.
Un popolo può essere elemento di uno Stato che ha la sovranità e tuttavia avere un atteggiamento di ammirazione, magari stolta e smodata, per un altro popolo. Un popolo di uno Stato sovrano può essere assoggettato al (o comunque condizionato dal) potere economico espresso da un popolo straniero. Nonostante la sovranità, un popolo, a causa del fatto che non creda in se stesso, può continuare a vivere nel rispetto di trattati internazionali stipulati in altri tempi, trattati che lo pongono in condizione di svantaggio e sottomissione rispetto ad altri popoli. Un popolo, pur essendo elemento di uno Stato sovrano, può essere incapace di far sbocciare o sviluppare una cultura nazionale originale e profonda, perché il popolo e le classi dirigenti sono ammaliati dalla cultura, dalla ideologia e dalle dottrine del paese dominante.
Il dominio è in primo luogo egemonia culturale ed economica, poi, quando serve e nella misura in cui è necessario, è dominio politico-giuridico-militare. Quando il rapporto di dominio è costituito da una volontaria o servile o inconsapevole sottomissione – la chiamerei sudditanza -, se astrattamente lo Stato può emanare norme senza vincoli giuridici esterni e ordinare la vita del popolo a proprio piacimento, anche recedendo da trattati internazionali, lo Stato è sovrano. Le possibili ritorsioni politiche, economiche e militari di un altro Stato (lo Stato dominante) sono la prova della sovranità e non la ragione della pretesa mancanza di sovranità. L’Iraq di Saddam era sovrano; oggi l’Iraq non lo è. Il Venezuela è sovrano. La Cina è sovrana. La corea del Nord è sovrana. Anche l’Italia è uno Stato sovrano (salvo la limitazione della sovranità a favore dell’Europa di cui si dirà).
Gli Stati europei e l’Europa insieme, nelle materie di rispettiva competenza, sono assolutamente sovrani. Questo è un dato di fatto indiscutibile. Che poi esercitino (e soprattutto abbiano per lungo tempo esercitato) la sovranità in modi e forme servili, dipendenti, deboli, attuando le idee derivanti dall’egemonia statunitense, accettando sul proprio territorio basi militari statunitensi, in forza di vecchi trattati dai quali potrebbero recedere in base alla clausola rebus sic stantibus, ciò dipende esclusivamente dai popoli europei e dalle classi dirigenti che essi sanno esprimere.
Pensiamo soltanto alla guerra contro la Jugoslavia e in particolare alla guerra contro la Serbia. Essa non è stata soltanto un atto criminale e imperialistico, è stata soprattutto un atto di viltà senza precedenti storici. I più importanti Stati europei volevano muovere guerra contro un piccolo Stato, la Serbia, e che fanno? Decidono di far fare la guerra agli Stati Uniti. Non ricordo un solo guerrafondaio che abbia proclamato: “la guerra la dobbiamo fare ma la dobbiamo fare noi, non farla fare agli statunitensi. Siamo noi che dobbiamo bombardare; siamo noi che dobbiamo scendere sul territorio nemico e sconfiggere l’esercito serbo!”. Né rammento un solo pacifista che, dopo aver negato che si dovesse fare la guerra per uno o altro motivo, in subordine abbia esclamato: “se proprio si deve fare la guerra dobbiamo farla noi; dobbiamo spendere il nostro denaro e versare il nostro sangue!”.
Quando si è servili, non ci si concepisce come popoli e si è soltanto un agglomerato di micro e macro interessi economici, si giunge a compiere azioni miserabili, come la guerra contro la Serbia. Se, come persone, compissimo azioni simili nella vita quotidiana, per esempio se ci rivolgessimo a qualcuno perché picchi l’amante di nostra moglie, ci sentiremmo viscidi e spregevoli; e comunque così saremmo considerati da chi ci sta attorno.
Europa e Stati europei, dunque, hanno la sovranità ma la esercitano in modo miserabile e servile. Perciò il proposito politico che si suole esprimere rivendicando “sovranità nazionale ed europea” dovrebbe essere espresso diversamente: gli Stati europei e l’Europa devono esercitare la sovranità a tutela dei propri interessi e per lo sviluppo delle loro tradizione, staccandosi dai legami politici, militari e in primo luogo ideologici e culturali che da lungo tempo intrattengono, sempre in posizione di comprimari, con gli Stati Uniti.
Ho scritto “dovrebbe essere espresso” (il proposito politico) e non “deve essere espresso”, perché invero, chiarito il significato della imprecisa – ma sacrosanta – invocazione della sovranità degli Stati europei e dell’Europa, sorge il problema vero della sovranità. Quale è oggi l’entità sovrana? Gli Stati europei o l’Europa? Bisogna mantenere l’attuale ripartizione di competenze? Variarla ora in favore degli Stati ora in favore dell’Europa? Variarla solo in favore degli Stati? Variarla solo in favore dell’Europa? Sono problemi che i sostenitori della “sovranità nazionale ed europea” tendono ad obliterare, perché potrebbero generare divisioni all’interno del già ampiamente minoritario schieramento radicale, il quale (per ora) si esprime per lo più sulla rete di internet. Eppure senza sollevare e risolvere quegli interrogativi, nessuna rigorosa dottrina potrà sorgere. E senza dottrina non potrà esservi azione, salvo rivolte e ribellioni che possono distruggere senza costruire.
Il vero problema della sovranità, dunque, è tutto interno alla dialettica Unione europea – Stati nazionali ed è problema, ovviamente, che merita un’autonoma trattazione. Aver individuato il vero problema e aver mostrato come sia falso il problema della "sovranità nazionale ed europea" appare già risultato di non poco rilievo: orgoglio, coraggio, desiderio di autonomia, libertà e spirito di sacrificio sono ciò che serve per esercitare nel migliore dei modi la sovranità e liberarci dalla sudditanza (non vincolo ma sudditanza, in primo luogo culturale) nei confronti degli Stati Uniti; qual è l'unità politica che oggi è sovrana, anche se debole e permeata di una sudditanza che ormai ha perso tutte le giustificazioni storiche, un tempo fondate sulle cause che l'hanno generata? qual è l'unità politica che deve essere sovrana?
Il quesito che tu poni è molto importante. Spero che su questo si sollevi un ampio dibattito perché certamente non ci si può sottrarre con poche battute.
Personalmente sono convinta che l'Europa dovrebbe riuscire sempre più a liberarsi della sudditanza agli Stati Uniti, non solo sganciandosi da vecchi accordi internazionali che hanno fatto il loro tempo, ma rafforzarsi come Stato federale che abbia come punti di riferimento le proprie istanze ideali, la propria gente, i propri interessi. In un mondo che mi sembra profilarsi multipolare, gli Stati nazionali europei mi appaiono come gli staterelli italiani precedenti l'Unificazione d'Italia, di cui si fanno quest'anno le celebrazioni. Troppo piccoli e non autosufficienti economicamente, solo per dirne una. Il territorio europeo è dotato di ampie risorse, umane e non, di una cultura comune nel sottofondo, pur volendo mantenere vive le diversità locali, quelle continentali, quelle dei popoli latini, e così via. Vedo gli Stati nazionali come Regioni che devono mantenere un' ampia autonomia, nel quadro di una federazione comune, che abbia un solo esercito, un solo fisco, una politica estera condivisa, istituzioni unitarie. La libera circolazione delle persone e delle merci ha già costruito un intreccio che per me non crea un'omologazione dannosa alle identità culturali diverse.
Certo l'Europa finanziaria di oggi non piace, ma salverei gli elementi strutturali che sono stati creati, che potrebbero essere piegati a diversi fini.
caro Stefano
il tuo discorso è giusto, giustissimo, ma poi la sovranità di chi è dello stato o del popolo ?
perchè vedi, fino a che "lo stato" sarà inteso come la sua classe di potere, e la classe di potere avrà deleghe in bianco,la sovranità potrà essere o dello stato o dell'europa, o di pinco pallino, ma sicuramente non del popolo a cui dovrebbe invece appartenere.
hai fatto bene l'esempio delle guerre…. che percentuale di Italiani voleva la guerra alla Serbia ? e all'afghanistan ? e all'Irak ? e gli inglesi, democrazia europea più antica, quanti di loro la volevano ? i sondaggi li davano minoritari e non per pochi punti, ma le guerre sono state fatte lo stesso…
ah… già, con l'ipocrisia di chiamarle "missioni di pace"…. quella pace che si respira nei cimiteri !
la sovrànità, hai detto bene, è prima di tutto un modo di pensare, di agire, di essere, ma che non ha senso nemmeno menzionarla in questi regimi ipocritamente democratici.
Rispondo prima ad Andrea, per la brevità della risposta.
Giuridicamente la sovranità è un carattere dell'ordinamento giuridico che non ne riconosce di superiori e dunque è un concetto davvero formale. In questo senso la sovranità è sovranità dello Stato ordinamento, non dello Stato apparato. E' la libertà più assoluta di emanare norme che valgano all'interno del territorio e, entro certi limiti tecnici sui quali non mi soffermo, anche fuori, relativamente ai cittadini.
Nel progetto di costituzione era stato previsto che la sovranità "emana (o promana, non ricordo) dal popolo". Una formula che voleva affermare un valore e tener conto che la sovranità è un carattere dello Stato ordinamento. Fu la sinistra e se non sbaglio proprio il grande Togliatti (era davvero il Migliore, qualsiasi cosa ne pensino gli intellettualini moderni) a voler affermare non un valore ma un nuvo principio: la sovranità appartiene al popolo (che tuttavia la esercita nelle forme previste dalla Costituzione e cioè attraverso il Parlamento).
Quel nuovo principio a mio avviso ha un senso, che è questo: quando gli organi dello stato apparato, ivi compreso il potere legislativo violano sistematicamente o frequentemente la costituzione, magari anche deliberatamente (per le sporadiche violazioni c'è la Corte Costituzionale) il popolo ha il dovere di intervenire. Così, almeno, mi piace intendere quella formula, che altrimenti rischia di essere una vuota frase retorica.
Cara Daniela, quello che tu esprimi è stato a lungo il mio pensiero, che sono andato modificando da non poco tempo.
Dovrò tornare sull'argomento, perché ogni profilo meriterebbe almeno un articolo. Perciò proseguo limitandomi ad esprimere un dubbio e a sollevare il problema della lingua e quello della mancanza di effettiva circolazione delle persone.
1) Siamo certi che la costruzione di un "grande spazio", che aspira ad estendersi piuttosto indefinitivamente quando, a ragione o torto, lo reputa conveniente non sia logicamente inscindibile da una volontà di potenza imperiale? Siamo sicuri che la difesa di una sfera di autonomia, della possibilità di costruire una civiltà originale e bella non implichi spazi più limitati? Si può essere indifferenti (come me) o addirittura contrari al fine della crescita infinita e perorare la volontà di potenza dei popoli europei (imperiale o meno)?
2) La mancanza di una lingua comune è o non è un ostacolo insuperabile ad un grande stato federale nel quale i membri dell'ipotetico popolo europeo abbiano possibilità di controllare gli atti politici e amministrativi? Il carattere burocratico dell'europa attuale è casuale o è un necessario corollario (anche) della differenza linguistica. Mi risulta, dalla visione di un film d'autore (un anziano regista portoghese del quale mi sfugge il nome), che negli stati uniti si votò per la scelta della lingua e alla fine l'inglese vinse per un voto sul greco (scelto da tutti coloro che non volevano l'inglese), così almeno racconta nel film Irene Papas, lamentandosi che se avesse vinto lo schieramento perdente il mondo avrebbe parlato la lingua greca. C'è in Europa la volontà di prendere una decisione del genere? Se la risposta è no, allora non c'è la volontà di creare uno Stato federale.
Negli stati uniti, oltre a giornali e televisioni locali, magari diffusi nei singoli stati, ci sono giornali e canali televisivi diffusi in tutta la federazione di stati. C'è in europa una volontà di creare una situazione simile, la quale implicherebbe una lingua unica? Non mi sembra.
3)Negli stati uniti, alcuni stati a un certo punto entrano in crisi economica e la gente va via: perdono, per esempio, due milioni di abitanti in pochi anni: gli abitanti di uno stato si trasferiscono in altro stato. Tutto ciò non è un problema. Se c'è il lavoro in california e non più a Detroit che problema c'è? Basta andare in california. Proprio questa estrema mobilità del lavoro (una mobilità effettiva e non l'astratto diritto alla mobilità) fa del dollaro un'area valutaria ottimale (a parte i problemi di oggi, dipesi dalla politica posta in essere). Se la gente non accetta di muoversi durante la vita anche due o tre volte o addirittura cinque da uno stato all'altro dell'europa federale, l'europa federale non può avere un'unica moneta e non può avere un'unica politica economica. La gente vuole un sistema di vita mobile come quello degli stati uniti? Noi consideriamo emigrazione persino il recarsi a lavorare trecento chilometri più a nord dello stato italiano! Essere per la decrescita e per l'abbandono delle metropoli è compatibile con l'europa unita?
Si tratta soltanto di alcuni nodi, in parte tecnici e in parte politici, che forse stanno a spiegare perché un'idea tanto nobile, dopo sessanta anni stia naufragando dietro a un progetto osceno, economicista, molle, burocratico, monetarista, liberista e codardo (la guerra conbtro la serbia).
In ogni caso conto di tornare su questo tema. Che è davvero il tema principale.
caro Stefano
ti ringrazio della precisazione, che dal punto di vista teorico è perfetta, ed è enunciata :
"la sovranità appartiene al popolo (che tuttavia la esercita nelle forme previste dalla Costituzione e cioè attraverso il Parlamento)."
ma dal punto di vista pratico com'è che il popolo la eserciterebbe?
potremmo avere anche 30 partiti, ognuno che offrisse una combinazione diversa di soluzioni ai principali problemi, ma poi chi controllerebbe, e con quali eventuali sanzioni, che tali programmi venissero seguiti ? forse il parlamento o il senato, in cui ogni membro, una volta eletto risponde solo alla propria coscienza ( se ce l'ha) e non ai propri elettori ? e un parlamento così composto dovrebbe controllare il governo ?
e con un eventuale controllo ( reso peraltro impossibile se non a livello macro di partito, dall'ultima legge elettorale ) da effetuarsi una volta ogni 5 anni , premiando eventualmente una opposizione e mandando comunque a casa una maggioranza con lauta pensione ?
ma durante quei 5 anni, quante porcate , quante azioni proprio contro quel popolo che li ha eletti, possono esser fatte senza colpo ferire e senza tema di ritorsioni o conti da pagare ?
è il principio di democrazia che NON è applicato, pertanto tutto quanto viene costruito sopra diventa solo un dominio, più o meno lontano dal popolo stesso, un asservimento del popolo che invece dovrebbe essere sovrano.
quanto sostengo è che prima di pensare alla sovranità più o meno vicina, occorrerebbe fare in modo da appropriarsi di tale sovranità, per poter poi decidere a che livello concederla.
non avendola, diventa un bel discorso teorico, ma praticamente sterile.
Caro Andrea,
il diritto del popolo, che sarebbe anche un dovere, altrimenti non vedo la ragione per attribuire il diritto, di assaltare i palazzi del potere e imporre la revoca del mandato può dar luogo a una "rivoluzione permanente". Non mi sembra la situazione ottimale; e quindi la regola generale.
La nostra Costituzione che disciplina il modo di esercizio dellsa sovranità popolare, prevede i partiti. E' organizzandosi in partiti che il popolo esercita la sovranità. Nel modello costituzionale non c'è un rapporto diretto cittadino stato. Il rapporto è mediato dai partiti. Morti i partiti sono rimasti centri di potere economico, locale, nazionale e parte di gruppi globali. E' a questi gruppi e centri di potere che siamo chiamati a togliere ogni potere.
Questo, però, è uno dei problemi. Se ci arrestiamo al profilo economico siamo finiti. L'uomo è il soggetto dell'ordinamento. L'autore dell'ordinamento. Perciò deve imporre a sé stesso norme che lo spingano a diventare "come deve diventare". La politica è pedagogia.
Il popolo deve guardare anche a queste cose. La minoranza che si interessa a queste cose è anch'essa il popolo e guarda con simpatia e interesse a chi considera soltanto al profilo economico. E' popolo anche la minoranza di quella minoranza, se in una data condizione decide di agire. Capirai che se accogli questa concezione di popolo, il rischio della "rivolta permanente" tende a moltiplicarsi
Fresco di diritto dell'ue, questo intervento mi ispira molte considerazioni. Saranno oggetto del mio prossimo articolo.
Per ora vorrei solo accennare ad un aspetto decisivo: i termini "impero" (meglio con la maiuscola) e "imperialismo" si sovvrappongono per analogia lessicale, creando confusione semantica, ma in realtà, andrebbero distinti. L'imperialismo è un carattere degli stati-nazione, dei quali il più potente è senz'altro al giorno d'oggi la federazione nordamericana; un Impero è invece una organizzazione sovranazionale, con istituzioni e formanti diversi e più antichi rispetto a quelli propri della Stato moderno. In questi termini io sostengo che la UE cosituisca a tutti gli effetti un moderno Impero, sottoposto (con mille prebende) all'imperialismo degli USA. Dante e Kipling si incontrano, e si danno fraternamente il cinque. Questa interpretazione è funzionale ad un ipotesi, secondo la quale, dopo il crollo del comunismo storico novecentesco, noi ci troviamo in una fase ricorsiva neo-feudale. Ne leggerete delle belle.
@ stefano
parli, veramente come un libro stampato. sei correttissimo.
quando io intendo recuperare la sovranità, però non la intendo in modo rivoluzionario, ma ad esempio con la "revoca immediata" dopo ch egli eletti siano legati, non solo alla loro coscienza , ma al loro collegio elettorale.
tu nomini giustamente i partiti, modo previsto dalla nostra costituzione per risolvere questo deficit di rappresentanza. Ma i partiti c'erano, oggi sono solo più degli scheletri se si fa eccezione per la Lega, ancora molto legata al territorio.
non so se tu hai provato a cercare di influire, non dico a livello statale, ma comunale, in un comune di 10.000 anime…. prova poi dimmi cosa riesci ad ottenere, anch edopo aver organizzato un centinaio di persone. niente. zero.
allora, che speranza c'è di recuperare un minimo di quella sovranità di cui parli ?
@ Stefano
I motivi delle tue perplessità a considerare l'Europa come prima sede della sovranità, cui dovrebbe seguire, secondo me, la grande autonomia di regioni che in alcuni casi potrebbero coincidere con le nazioni attuali, forse in qualche caso invece ad aree non del tutto coincidenti con esse, sono legate alla mancanza di una lingua comune, alla scarsa propensione delle genti alla mobilità e al fatto che una prospettiva di decrescita non sarebbe compatibile con l'Europa unita.
Sul primo punto non trovo ci siano difficoltà insormontabili. Le giovani generazioni più colte comunicano molto bene in inglese. In alcuni paesi come la Svezia l'inglese è conosciuto da tutti e utilizzato da televisione e istituzioni. Un impulso maggiore al suo uso ridurrebbe il problema, e a poco vale dire che l'inglese è brutto e non rappresentativo. Le lingue nazionali possono coesistere ed essere salvaguardate.
Sul secondo punto ugualmente non vedo ostacoli insormontabili. La mobilità è legata alle occasioni di lavoro. Se l'economia diventa più sedentaria e locale le persone si radicano, viceversa se la specializzazione comporta che un certo tipo di figura professionale si concentri in una determinata zona, le persone si spostano. Attualmente la tendenza dei giovani è quella di scorazzare con una certa disinvoltura all'interno dei confini europei, favoriti anche dall'uso in molti suoi Stati, circa la metà, da una moneta comune.
Sul terzo punto il discorso è più difficile ed articolato. L'immaginazione può aiutare a prefigurare scenari, ma non si sa certamente come la realtà evolverà.
Personalmente sono portata a credere che decrescita e unità europea non siano affatto incompatibili. Per ora la decrescita è quasi solamente uno slogàn, come dice Latouche. Se si sceglie di decrescere un po' perché piace una vita più sobria, perché piace agire nell'ambito di familiari, vicini e amici, non lo si può fare ovunque. Se lo impone la crisi, può cambiare i comportamenti ovunque ma richiede comunque un radicamento. Del resto le attività principali dovrebbero essere agricoltura svolta con l'uso di molte braccia e l'artigianato.
Si dice che le attività primarie assumerebbero un'importanza maggiore, ma in Italia non ci sono terre a sufficienza per sfamare la popolazione nè materie prime per sostenere l'artigianato, l'industria utile, avanzata dovrebbe permettere di non tornare troppo indietro nel tempo, necessita di capitale e di tecnologia, che deve potersi trasferire da uno Stato nazionale all'altro. Sarei per la limitazione con leggi di attività speculative spregiudicate e provenienti da centri internazionali poco trasparenti. Un "impero", come Stato sovranazionale, serve per omogeneizzare fisco, politica economica, leggi sul lavoro, politica estera,, grandi materie.
L'Europa dei popoli non può essere certamente l'Europa finanziaria ed economicista di oggi, quindi il mio non può rientrare in un discorso riformistico.
Sono molto curiosa di conoscere le idee di Claudio Martini.
Io dubito che le possibilità siano pochissime e richiedano molto tempo, molte energie, molta capacità organizzativa, una condizione di crisi che duri e un crollo. L'alternativa è una rottura dell'ordine costituito, che oggi non è l'ordine costituzionale. Non considero verosimile nel brevissimo tempo l'episodio di rottura, perché non vedo il soggetto, sia pure minoritario, che potrebbe attuarla. E tuttavia, credo che ormai ci sia una cancrena e che la storia d'Italia passerà per un momento di rottura.
Insomma di speranze di "recuperare un minimo di sovranità" non ne ho. Credo che le cose potrebbero migliorare (o peggiorare!) parecchio se si verificasse un momento di rottura. Per ora descrivo uno sgretolamento, che sarà accentuato dal rivolgimento geopolitico che sta accadendo e dalla impossibilità di perseguire politiche economiche globalliste. Più tardi si decide di cambiare strada, più si avvicina il momento di rottura.
Purtroppo è possibile anche che il logoramento si arresti soltanto con la putrefazione.
Cara Daniela,
non trovo ci siano difficoltà insormontabili. Le giovani generazioni più colte comunicano molto bene in inglese. In alcuni paesi come la Svezia l'inglese è conosciuto da tutti e utilizzato da televisione e istituzioni. Un impulso maggiore al suo uso ridurrebbe il problema, e a poco vale dire che l'inglese è brutto e non rappresentativo. Le lingue nazionali possono coesistere ed essere salvaguardate.
Mi limito al punto della lingua, allargando il un poco il discorso a profili connessi con la lingua.
Le leggi in quale lingua verrebbero scritte? Le sentenze in che lingua verrebbero emanate? Gli atti amministrativi in che lingua verrebbero scritti? Che fine fanno le vecchie leggi scritte in polacco, italiano, portoghese?
Immagini l'esistenza di una magistratura unitaria o comunque un vertice unico? In che lingua dovrebbero essere scritti i compiti nei concorsi per accedere a quella magistratura?
Mi sembra che sia necessario un progetto di una lingua comune, che dovrebbe essere parlata in modo sistematico nella scuola (la letteratura italiana si studierebbe in italiano; la storia dell'arte e altre materie in quella lingua). Io credo che la maggior parte delle popolazioni e delle classi dirigenti siano assolutamente contrarie. E allora non si può avere una pluralità di Stati (negli stati uniti si chiamano stati, non regioni) Uniti d'america. Uniti, ossia una unità. Non una unione, come è adesso, di Stati indipendenti. Gli stati uniti, la germania, un tempo l'unione sovietica avevano un'unica ambasciata nei paesi esteri. E i paesi esteri avevano un'unica ambasciata sul territorio degli stati federali.
Se guardiamo la storia della germania dell'unione sovietica e degli stati uniti, constatiamo che la costituzione dell'unità federale aveva alle spalle non una volontà di unirsi per essere più forti, bensì guerre, rivoluzioni, il carattere "originario" degli stati (poi uniti) d'america (erano tutti all'inizio della loro storia), il principio di nazionalità ottocentesco (la germania) e invenzioni di Sigrido e di miti celtici (che portarono grandi uomini a combattere e eventualmente a morire) e che, per quanto possa sembrare strano erano fantasioni quanto quelli della lega nord. Non basterebbe nemmeno la volontà della maggioranza (alcuni non l'avebbero e comincerebbero guerre civili o secessionistiche). Servirebbe una volontà della quasi totalità delle popolazioni.
Altro sono le idee che si realizzano perché costruite sul mito, sul sangue, sulla identità di lingua, su esiti di guerre su conquiste. Altro quelle che hanno a fondamento un desiderio che in sé non è nemmeno volontà ma velleità. C'è un esito comicamente illuminista. La convinzione che con il principio di razionalità si possono risolvere tutti i problemi e raggiungere tutti gli obiettivi. C'è molto scientismo nel progetto europeo.
Io non credo che le popolazioni europee troveranno mai la volontà. E credo che si opporrebbero a elites che volessero imporre l'Unità degli Stati d'Europa.
Le elites ci stanno provando. Ma i principi economici liberisti (libera circolazione dei fattori e dogana unica), la moneta unica (con titoli di stato emessi dai singoli stati!), l'imposta sul valore aggiunto e accordi in una o altra materia (immigrati, per esempio) del tutto simili a quelli che stipulano stati non uniti da un vincolo particolare come quello imposto dai trattati europei, non sono nemmeno il primo gradino. Perché non colpiscono la memoria storica, la lingua, le tradizioni giuridiche, i modi di vivere.
Complessivamente credo che il solo elemento della lingua (tralascio tutti gli altri che generalmente si riuniscono nel concetto di nazione, e che in gran parte – ma non del tutto – sono stati travolti dalla modernità) sia un ostacolo enorme. Le polemiche dei singoli stati sul punto (vogliono la traduzione ufficiale o essere inseriti tra le lingue ufficiali), quando si tratta di prendere decisioni di impatto minimo rispetto a quello finale della scelta che ho ipotizzato dimostrano che l'ostacolo c'è e come.
Francamente non me la sento di impegnarmi in un progetto che mi appare velleitario e fglio del peggior illuminismo. Noi siamo quel che siamo perché abbiamo avuto l'illuminismo e perché abbiamo avuto il romanticismo, che trovò la forza nella storia, ossia nel passato. La tecnoeconomia, la religione della scienza e la passione diffusa per il futuro (la fantascienza, le guerre stellari, le passeggiate presso altri pianeti, le previsioni scientifiche sui mutamenti climatici, sull'esaurimento delle risorse), con tutta la loro potenza, non possono supplire alla mancanza di condizioni storiche particolari, alla necessità di utilizzare la forza (Napoleone e Hitler, infondo, avevano il progetto europeo) alla mancanza di miti fondanti, di una lingua comune, sia pure morta e da resuscitare.
Insomma, sono pronto a scommettere che l'Unità europa non sorgerà mai per patto federativo tra i vari stati. Può sorgere un anomalo soggetto di politica internazionale, che comunque è un mostro, perché non ha a fondamento né unità di nazione, né unità di amministrazione, né unità di giurisdizione, né unità legislativa, che teoricamente potrebbe pure decidere di diventare una potenza militare. Per ora abbiamo una struttura burocratica che cerca lentamente di omogeneizzare i contenuti minimi di tutela in certe materie e di fissare principi comuni in altre materie e che è sottratta ad ogni controllo: chi legge quotidianamente articoli sulle vicende che si verificano all'interno degli organi europei? Soltanto coloro che sono legati a quella burocrazia.
Lo scetticismo di Stefano sull'Europa federale è anche il mio, ma alcune sue obiezioni possono essere superate. Nel medioevo si usavano i volgari, i dialetti locali alcuni dei quali divennero le lingue nazionali, però gli atti giuridici, i documenti ufficiali, i testi universitari, venivano redatti in latino. Per gli studenti europei (ma si parlava di Cristianità più che di Europa) non era un problema trasferirsi in Inghilterra o in Spagna o in Italia, o in Francia per seguire i corsi, dato che le lezioni si svolgevano in latino ovunque. Qualcosa di analogo si va profilando nell'Europa odierna, con l'inglese al posto del latino. Del resto è così anche nel mondo arabo. Ogni nazione parla un suo dialetto, ma la lingua letteraria comune è l'arabo classico, che si usa dal Marocco alla Siria. Invece è molto consistente l'obiezione di Stefano che manca una passione, un forte sentimento, chiamiamolo un mito fondante, senza il quale la costruzione europea resterà inerte e senza anima, quindi fragilissima. Temo anch'io che l'esito della fin troppo lunga crisi delle nostre società sia non un crollo foriero di ricostruzioni salutari, ma la putrefazione.
La storia d'Europa è soggetta a due tendenze: la suddivisione in stati nazionali sovrani, generalmente contrapposti in alleanze trasversali, e l'Impero. Non si scappa. Va sottolineato l'intervento di Claudio che giustamente distingue tra impero e imperialismo: il secondo, infatti, è un fenomeno tipico degli stati-nazione ottocenteschi che, in competizione tra loro, si accaparravano ampi territori negli altri continenti, abitati dalle cosiddette "nazioni non civilizzate" (così chiamavano i nostri antenati i cinesi, gli indiani e i popoli dell'Africa nera). Cosa ben diversa è l'Impero, apparato burocratico e politico multiforme non necessariamente in guerra con il mondo intero: di solito quando un Impero trova il suo punto d'equilibrio smette anche di allargarsi.
L'attuale UE è la versione tecnoeconomicista del Sacro Romano Impero: l'elemento aggregante degli stati imperiali era, ai loro bei tempi, l'Imperatore, il Romanorum Caesar semper electus, soggetto politico supremo a cui si rivolgevano i principi in difficoltà e che aveva facoltà di intervenire nelle politiche interne degli stati membri in caso di urgenza. Parlo chiaramente di Medioevo e prima età moderna, quando Napoleone lo fece ufficialmente cessare d'esistere il S.R.I. era già da tempo un cadavere politico in mano agli interessi austriaci. Il Caesar (Kaiser in tedesco) presiedeva, tra le altre cose, l'Hofgericht, la corte suprema dell'Impero, che si pronunciava su controversie e ricorsi presentatele da principi e sudditi degli stati membri e aveva quindi poteri vincolanti sui tribunali (e sulle legislazioni) locali. Una corte di giustizia europea ante litteram…
Arriviamo al dunque. Io non credo che un modello federale "puro" stile USA tout court sia realmente possibile, ma una maggiore integrazione tra gli stati europei, crisi o non crisi, è imminente e auspicabile, sebbene non in senso "NWO" e/o "controllo della finanza sulla politica"- che è quanto purtroppo sta accadendo ora.
Spero, dal canto mio, che quando il baraccone tecnofinanziario crollerà, si arrivi a un sistema che riprenda il buono dell'Impero medievale, senza disconoscere o rifiutare le singole nazionalità e le loro sovranità, stringendosi attorno a un elemento aggregante politico forte e condiviso (il nuovo "imperatore", tra virgolette a scanso di equivoci), almeno per la gestione delle questioni più importanti che giocoforza dovremo trattare INSIEME nel futuro prossimo – la scarsità delle fonti energetiche, la desertificazione che avanza ANCHE in Europa, la gestione delle comunità di immigrati… – che andranno discusse e regolamentate necessariamente a più voci.
Torneremo all'Impero? Sì, ma a quello vero, medievale (nel concetto, non nella forma, che sarà per forza di cose multinazionale e democratica), non a quello contemporaneo di derivazione ottocentesca, distorto nei suoi contenuti primigeni.