Il privilegio dell’Italia
di GIUSEPPE PALOMBA (economista; 1908-1986)
L’Italia, fra tante sciagure e sciagurati che l’affliggono, ha un privilegio che nessun altro paese occidentale può vantare: quello di possedere una fiaccola millenaria periodicamente ravvivata da uomini d’eccezione. Partendo da Pitagora che, proveniente dal prossimo oriente, per primo la fece brillare in Crotone, essa passa, attraverso Virgilio, successivamente, per S. Benedetto da Norcia e Dante Alighieri.
Ritmicamente, alla costante distanza di circa 600 anni, il suo splendore, pure cambiando di colore o di aspetto, non ha mai mancato, ogni volta, di rappresentare un faro luminoso per l’umanità sofferente; e se, nelle apparenze, le dottrine di questi “quattro Grandi” sembrano, talvolta, quasi incommensurabli fra loro, permane il fatto che ciascuna di esse è l’espressione massima della più profonda sapienza del tempo in cui venne elaborata.
Ma se una è la verità, non può non concludersi che ognuna di quelle dottrine la esprime con identica efficacia, sia pure in forma diversa, sia pure in forme che, in alcuni casi, esteriormente sembrano combattersi ed escludersi a vicenda. Da orientale e forse egizia in Pitagora, diventa, variando di poco, più propriamente orfica in Virgilio: lì all’inizio della Roma regia, qui all’inizio della Roma imperiale: è il ciclo orfico-pitagorico della tradizione mediterranea.
Decaduta l’antica religione restano i residui pagani di essa, i detriti degenerati in superstitio: S. Benedetto li combatterà colla sua opera e colla sua predicazione e fonderà il nuovo Ordine che, inquadrato nella forma cristica, ristabilisce la tradizione perduta e segna l’inizio del ciclo cattolico, aprendo la via a S. Bernardo di Chiaravalle. In Dante, il primo millennio della cristianità raggiunge l’apogeo: la dottrina si arricchisce di tutta l’esperienza del medioevo ecumenico. La Commedia, poi, si apre con Virgilio e si chiude con S. Bernardo, a testimoniare, se ancora fosse necessario, la continuità ideale del doppio ciclo tradizionale e l’unità trascendente delle corrispondenti forme religiose.
Orbene, uno ed univoco è l’atteggiamento che noi sappiamo trarre da questo svolgimento multisecolare: non esserci, cioè, mai diverse verità in conflitto fra di loro ma soltanto differenti “dimensioni” ed innumerevoli “detriti” di un’unica verità: le differenti dimensioni non sono incompatibili fra di loro ma di natura tale da permettere che ciascuna venga a rientrare in quella che immediatamente la supera, per un processo di emboitement; sono gli innumerevoli detriti, invece, che entrano in conflitto fra di loro, ma, dopo alterne vicende, non può mancare l’opera di sintesi che li organizzi e li vivifichi nuovamente in unità vivente, costi quello che costi, sia pure un sovvertimento cosmico, sia pure la fine della presente umanità, perché a nessuno è permesso di disgregare definitivamente e completamente l’Unità del Tutto e perché sempre la Verità dev’essere accessibile a chi si disponga, con umiltà d’intenti, a meditarla.
[dalla Prefazione a Cicli storici e cicli economici, Giannini, Napoli, 1952]
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