Ma mi
Negli anni ’50 Ornella Vanoni inizia a cantare in teatro (nelle pause tra gli atti teatrali) le canzoni della Rivoluzione Francese. Testi che parlano quindi di Libertè, Egalitè, Fraternitè. In quegli anni Dario Fo, Giorgio Strehler, Fiorenzo Carpi, Gino Negri e Fausto Amodei scrivono, basandosi su vecchie canzoni popolari, le Canzoni della Mala che traggono ispirazione da Brecht-Weill e dal cabaret francese.
La Ligera (nome dialettale della mala milanese) indicava la malavita “romantica” nata nella Milano del dopoguerra, e formata da gruppi di giovani proletari che non volevano accettare la logica del lavoro in fabbrica. Malavita bonaria che rubava per fame, non sparava, aveva delle ferree regole di comportamento e popolava osterie e bettole dei Navigli di quel periodo. E’ la voce di Ornella Vanoni a cantare le vicende di ragazzi morti in miniera, di malavitosi e balordi milanesi, dei carcerati calabresi. E dei partigiani.
Strehler visse parte degli anni della seconda guerra mondiale come rifugiato in Svizzera. Furono le tragiche esperienze belliche a suggerirgli il testo di “Ma mi”, che, sebbene abbia poco a che vedere con la Ligera, rimane una tra le più conosciute Canzoni della Mala.
Sembra piuttosto un’appendice al canzoniere della Resistenza. Un valzer contro la guerra con versi in dialetto milanese che parlano del valore di mai arrendersi di fronte alla violenza ed al sopruso, di non tradire i propri compagni per uscire di galera; questo sì in linea con le regole della Ligera. Fu cantata per la prima volta da Ornella Vanoni nel 1959.
Il ritornello dice “quaranta giorni e quaranta notti a prendere le botte, ma io non parlo”. Meglio le botte che rinnegare i propri ideali, meglio sputare sangue che tradire.
Dopo gli anni ’50 dell’Italia da rifare perchè uscita a pezzi dalla guerra, arrivano gli anni della Milano da bere: la Mala così come la politica hanno perso lo smalto e lo spirito iniziale, ed arriva il craxismo, astuto connubio tra i due. Bottino Craxi, così lo chiamava Grillo.
La Vanoni, nonostante si dichiari politicamente lontana dal PSI, salta sul suo carro e, a distanza di anni afferma “ridateci il ciccione, Craxi, che ci ha fatto vivere gli Anni Ottanta come se fossimo ricchi e felici”[1]
Si dice poi d’accordo con la proposta lanciata dal sindaco di Milano, Letizia Moratti, di intitolargli una via: “una via a Craxi, ma si’… gliela darei”. [2]
Passano gli anni, e le chirurgie estetiche vanno di pari passo con le mutazioni politiche: il passaggio dal craxismo al berlusconismo è quasi obbligato. Eccola quindi impegnata a sostenere la candidatura della Moratti. Sì , quella il cui figlio è finito nel registro degli indagati, accusato di violazione edilizia per cinque capannoni industriali a Villapizzone trasformati in una villa di lusso con tanto di piscina di acqua salata, bagno turco, rifiniture di pelle di squalo e addirittura ponte levatoio che porterebbe direttamente dal salotto a un vano sotterraneo («la Batcaverna», come è già stato ribattezzato) con un ring di pugilato e un poligono di tiro insonorizzato.[3]
Osservando la vita di questa cantante possiamo osservare la metamorfosi politica, sociale e personale che ha interessato l’Italia dal dopoguerra ad oggi. La solidarietà verso gli indifesi e la denuncia dei soprusi cantata in “Ma mi” si trasforma in sostegno all’arroganza dei potenti; la volontà di provare con costi altissimi il senso della propria appartenenza ed il valore della propria parola data cede il passo alla voglia di svendersi pur di entrare nel club esclusivo. La progressione temporale di tali avvenimenti sociali lascia sgomenti.
In pochi decenni siamo passati dall’Egalitè alla difesa dei privilegi delle elites, e dalla Fraternitè alla protervia individualista. Il popolo, la gente comune è sparita dal vocabolario attuale mentre è prepotentemente entrato l’individuo che non difende più gli interessi dei propri simili, ma solo i propri, in un crescendo narcisista.
Pare non esista ormai più nessuno in grado di fare come la persona comune descritta in “Ma mi”: prendersi botte per difendere i propri compagni. Nessun Strehler ne narra le gesta, quindi tali gesta non esistono in questa società dello spettacolo alla Debord. Viene quasi da domandarsi se siano mai veramente esistite: fino all’orizzonte ottico tutto intorno a me non riesco a scorgere nulla del genere.
Testo di Ma mi (traduzione) [4]
Eravamo in quattro col “Padula”
il Rodolfo, il “Gaina” e poi io
quattro amici, quattro scapestrati
cresciuti in compagnia dei gatti.
Abbiamo fatto la guerra in Albania
poi su in montagna a prendere i topi:
neri tedeschi della Wermacht,
mi fan morire al solo pensarci!
Poi mi hanno preso in una imboscata:
pugni, pedate e una fucilata..
Ma io, ma io, ma io,
quaranta giorni, quaranta notti,
a San Vittore a prendere botte,
dormire da cani, pieno di malanni!..
Ma io, ma io, ma io,
quaranta giorni, quaranta notti,
sbattuto di su, sbattuto di giù:
io sono di quelli che non parlano!
Il commissario una mattina
mi manda a chiamare li per li
“noi siamo qui, non ascoltare gli altri-
mi diceva questo brutto terrone!
mi diceva -i tuoi compagni
noi li prendiamo senza di te…
ma se parli io firmo qui
il tuo condono, la libertà!
Il fesso sei tu se resti contento
di stare da solo chiuso qui dentro…”
Ma io, ma io, ma io,
quaranta giorni, quaranta notti,
a San Vittore a prendere botte,
dormire da cani, pieno di malanni!..
Ma io, ma io, ma io,
quaranta giorni, quaranta notti,
sbattuto di su, sbattuto di giù:
io sono di quelli che non parlano!
Sono chiuso dentro in questa topaia
piena di nebbia, di freddo e di scuro,
sotto a questi muri passano i tram,
fracasso e vita della mia Milano..
Il cuore si stringe, scende la sera,
mi sento male, non sto in piedi,
accucciato sul lettino in un angolo
mi pare di non essere proprio nessuno!
E’ peggio che in guerra star sulla terra:
la libertà vale una spiata!
Ma io, ma io, ma io,
quaranta giorni, quaranta notti,
a San Vittore a prendere botte,
dormire da cani, pieno di malanni!..
Ma io, ma io, ma io,
quaranta giorni, quaranta notti,
sbattuto di su, sbattuto di giù:
io sono di quelli che non parlano!
[1]http://www.lastampa.it/_web/cmstp/tmplrubriche/musica/grubrica.asp?ID_blog=37&ID_articolo=636&ID_sezione=62&sezione=
[2]http://www.adnkronos.com/IGN/News/Politica/SOCIALISTI-ORNELLA-VANONI-UNA-VIA-A-CRAXI-VUOL-DIRE-CHE-E-STATO-PERDONATO_4150671403.html
[3]http://www.ilsecoloxix.it/p/italia/2011/03/06/AO71Q2C-gabriele_batcaverna_moratti.shtml
[4]http://www.geocaching.com/seek/cache_details.aspx?guid=6da2f0d0-6e4f-4fcd-8346-1e1b066c1173
sai tonguessy, il tuo punto di vista ricavato dall'evoluzione di una cantante, mostra lo stesso aspetto dell'animo umano che ho sottolineato più volte…. la solidarietà è una pianta che nasce nei terreni poveri.
come l'individuo comincia ad avere qualcosa da difendere diventa individualista, si isola, ha qualcosa da perdere, ed allora la solidarietà è un lusso che non può più permettersi preso com'è a difendere il suo orticello.
è lo stesso spirito della scimmietta….. per catturarle prendono una noce di cocco, praticano un buco e la fissano con una corda.
poi vanno sotto la pianta su cui stanno le scimmie e riempiono la noce di riso, di cui le scimmie sono ghiotte.
si allontanano, le scimmie scendono infilano la mano nel foro e stringendo il riso non riescono più a farla uscire, e si fanno catturare piuttosto che mollare il riso.
questa è un'ulteriore prova che discendiamo dalle scimmie.
Caro Andrea, esiste anche un'altra storia interessante sugli animali esotici. E' il metodo usato per addomesticare un elefante. Per avere successo bisogna che l'esemplare da addomesticare sia molto giovane. Gli si mettono delle grosse catene alle zampe. Il piccolino tenta disperatamente di fuggire da quel posto di prigionia, ma le catene sono troppo robuste per le sue giovani forze. Passano i mesi e alla fine, esausto si rende conto che non riuscirà mai a spezzarle. La realtà è che un elefante adulto quelle catene le potrebbe spezzare in qualsiasi momento, ma le sua consapevolezza di non esserci riuscito una volta lo porta a pensare di non poterci riuscire mai.
Ecco, noi siamo come quell'elefante: possiamo spezzare le nostre catene in qualsiasi momento, ma crediamo di non poterlo fare. Pertanto neanche ci proviamo. Forse discendiamo anche dagli elefanti? ;)
PS: la storia della scimmietta la conoscevo, ma invece del cocco sapevo che i cacciatori facevano un buco in un albero sufficentemente grande da fare passare la mano del quadrumane, ma sufficientemente piccolo da impedire che il suo pugno potesse uscirne