Ascesa dello sciamano tecnocratico
di EMILIO DI SOMMA (FSI Napoli)
Il presente scritto è un abbozzo di presentazione per un libro che il sottoscritto spera di poter completare entro la fine del 2017. Lo condivido con voi tutti in quanto ritengo che quello antropologico sia uno dei temi chiavi per comprendere il potere tecnocratico emanato dalle istituzioni europee.
Ernesto De Martino, eminente filosofo ed antropologo napoletano, ci offre oggi, a più di cinquant’anni dalla sua morte, una chiave interpretativa per comprendere qual è il nostro ruolo in quanto critici e membri della resistenza contemporanea contro la distruzione della sovranità politica, tanto degli individui che degli stati nazionali.
Nel suo lavoro Il Mondo Magico, Ernesto De Martino presenta l’epoca del magismo come l’era in cui la “sicurezza ontologica” dell’uomo non era ancora stata confermata come conquista storica, e la sua presenza, il suo esserci storicamente determinato, era perennemente “a rischio”, cioè incapace di elaborare autonomamente le proprie esperienza storiche, appropriarsene ed includerle all’interno del proprio vissuto storico. In un simile contesto, l’ontologia di riferimento dell’individuo cosiddetto “primitivo” era caratterizzata da una estrema labilità ed indifferenza tra il singolo, la sua comunità ed il mondo circostante.
Da qui, ci descrive De Martino, nasce la necessità storica ed antropologica del magismo e del ruolo del “mago” o dello “sciamano”. La magia dello sciamano aveva il ruolo di re-inserire esperienze storico-esistenziali, che l’individuo non riusciva ad elaborare autonomamente, all’interno di una esperienza storico/culturale definita da rituali e pratiche magiche.
A fronte di una ontologia estremamente labile e “debole”, lo sciamano, nel suo ruolo eroico di “Cristo magico” e psicoterapeuta dell’intera comunità, contrattava e conquistava la sicurezza ontologica della sua comunità stabilendo una serie di pratiche, limiti e confini rituali, che facevano sì che l’esperienza storica potesse acquisire senso ed essere rielaborata all’interno di un vissuto storico, culturale e psicologico. Il mondo, per un breve istante, smetteva di essere fonte infinita e spontanea di tragedie, crisi e pericoli e veniva “rinchiuso” all’interno di confini di sicurezza, all’interno di un linguaggio simbolico, gestuale e vocale che ne permettevano l’esplorazione e l’interazione in maniera “sicura”.
Tutto ciò, tuttavia, fa dello sciamano una figura di potere, all’interno della sua comunità, con cui è impossibile instaurare una relazione equilibrata e paritetica. Dello sciamano si può essere solo dipendenti, ed i suoi tabù e rituali, stabiliti caso per caso, divengono incriticabili, leggi contingenti dalla forza totalizzante e totalitaria.
Per De Martino, l’epoca greco-romana prima e la Cristianità poi, sono da configurarsi come quei momenti storici in cui le pratiche magiche cominciano ad essere messe in crisi, per poi essere rigettate del tutto con il trionfo della modernità e dell’unità dell’autocoscienza. Infatti, la tradizione classica prima, e quella cristiana poi, cominceranno quel lento lavoro di costruzione di confini e limiti persistenti attraverso cui il mondo circostante smette di essere fonte autonoma di pericoli e comincia ad essere strutturato attraverso leggi e paradigmi stabili e fissi.
In questo senso, Charles Taylor, nel suo libro A Secular Age, descrive l’epoca medioevale quel periodo in cui l’esserci dell’individuo è condizionato dalla sua struttura sociale, che è anche struttura ontologica del cosmos. Il rompere i patti e le convenzioni sociali era fonte di tragedie e maledizioni che mettevano in pericolo l’intera di comunità. Ciò che Taylor omette di notare, nell’assimilare l’epoca romana e quella Cristiana a quella magica, è che la necessità della violazione dello ius, o delle leggi divine, si configura già all’interno di un paradigma legislativo/metafisico definito.
Se vi è necessità della colpa perché eventi nefasti abbiano luogo, è evidente che ciò implica la relativa sicurezza dell’individuo e della comunità in condizioni di innocenza. Tale struttura esistenziale si configura quindi, come estremamente diversa dal magismo demartiniano; nell’epoca del magismo, il mondo è totalmente autonomo nel suo configurarsi come fonte di pericoli e tragedie. Il concetto di colpa/innocenza, tanto comunitaria che individuale, non ha campo di applicazione nel caso del magismo. La tragedia, il pericolo, possono manifestarsi anche se non provocati. La rottura del tabù non si configura come “colpa”, nell’epoca del magismo, bensì come rottura e sconfinamento di quei limiti di sicurezza imposti dallo sciamano a tutela della comunità; un tabù può essere infranto anche in assenza di “colpa” individuale e la tragedia può colpire in maniera del tutto indipendente.
Tale dinamica di debolezza, esposizione al pericolo, e lenta costruzione di confini e limiti di sicurezza, raggiunge il pieno sviluppo con l’epoca moderna, il riconoscimento dell’unità dell’autocoscienza e la comprensione dell’individuo e del mondo come “dati”. Per De Martino, la modernità occidentale si è costituita attraverso il pieno raggiungimento della “sicurezza ontologica” degli individui ed in radicale polemica con i poteri magici ed il sapere iniziatico. E’ a questo punto, dunque, che si desidera innanzitutto delucidare i caratteri della sicurezza ontologica proposta da De Martino e sul perché questo scritto vuole adoperare il magismo come una metafora per la comprensione della tecnica.
La sicurezza ontologica che, secondo De Martino, si configura come una conquista del mondo moderno ed occidentale, va intesa come lo stabilirsi definitivo di una ontologia strutturata e solida, tanto del mondo che dell’individuo che lo abita. Tale ontologia è sviluppata attraverso un linguaggio che, fondamentalmente, resta accessibile e portatore di senso a qualunque membro del consesso sociale occidentale.
La lotta dei naturalisti contro i poteri magici va, in ultima analisi, intesa come la lotta contro ogni forma di sapere “iniziatico”, di linguaggio misterico accessibile solo a pochi eletti, che si fanno portatori di senso e sicurezza per la moltitudine della comunità che rimane in balia della precarietà e della debolezza ontologica. E’ in questo contesto che il presente testo vuole presentare lo “sciamano tecnocratico” come riproposizione contemporanea e post-moderna di forme storiche e culturali affini al magismo demartiniano.
Espressione peculiare della post-modernità, infatti, è stata la demolizione di ogni metafisica ed ontologia stabile, accompagnata all’esponenziale moltiplicarsi dei linguaggi portatori di senso. Non si compia, tuttavia, l’errore di interpretare tali linguaggi in un’ottica multiculturale. Il termine “linguaggio” va qui inteso come strumento di accesso alla techne, alla procedura. Ciò che sembrava prerogativa della sola burocrazia, è oggi divenuto il segno distintivo di una forma di società, quella della tecnica postmoderna, che potremmo definire come una “repubblica delle procedure”.
Tutto è procedura, sistema, apparato tecnico, linee guida, normativa minuziosa, complessa, per padroneggiare la quale è sorto un nuovo potente clero secolare di “esperti”. La procedura di interazione sociale, culturale ed esistenziale viene considerata giusta e proclamata legale in base ad una norma transitoria e contingente, frutto dello “spirito del tempo” e scritta da coloro che comprendono i misteriosi funzionamenti della “tecnica” di riferimento. A questa norma viene attribuito un valore salvifico in base all’unica considerazione che è vigente in un certo momento storico.
L’ambito della tecnica viene, così, ad estendersi ogni giorno, rendendo più numerose ed aggressive i gruppi di iniziati delle più varie specializzazioni, un esercito di esperti che usano un linguaggio esoterico ed autoreferenziale. La loro distanza da una ontologia e metafisica comune trasforma la loro relazione con i “non esperti” in una relazione dal sapore quasi-religioso e salvifico, dove il non-esperto di turno acquista, pagando il debito prezzo, la sua piccola redenzione contingente.
Tuttavia, tale processo diviene comprensibile solo se, accanto all’ascesa dello sciamano tecnocratico, si valuta, inoltre, il ritorno, nella cultura contemporanea a forme di “precarietà ontologica” che ricorda, in maniera sinistra, la debolezza storico-esistenziale dell’uomo all’epoca del magismo. Immerso in una confusione tecnica dove la capacità di conservare nella coscienza le memorie e le esperienze diviene sempre più ridotta ed ostacolata dal marasma dei linguaggi tecnici e specialistici, gli individui percepiscono il fallimento della loro capacità di rispondere in modo adeguato alla loro situazione storica. Divengono incapaci di interagire con sempre maggiori aspetti della loro società, schiacciati tra povertà, sradicamento culturale e distruzione di ogni tipo di confine (geografico, legale, nazionale, sociale, etc…).
Ciò inibisce la loro capacità di partecipare attivamente alla loro comunità attraverso l’iniziativa personale e andarvi oltre attraverso l’azione. In questo contesto, l’esperto, il tecnico, colui che conosce le “procedure” ed i misteriosi funzionamenti della sua branca di specializzazione, torna ad assumere, in maniera preoccupante, le caratteristiche del “Cristo magico” demartiniano.
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