Per finirla con il XXI secolo (2a parte)
di JEAN-CLAUDE MICHÉA
Quando il consumo è celebrato come una forma vera e propria di cultura – con il suo immaginario e convenzioni specifiche – niente più si oppone, in effetti, a che le due facce metafisicamente complementari del paradigma liberale – facce che per delle ragioni storiche avevano dovuto, fino ad allora, svilupparsi in modo indipendente ed antagonista- si riconcilino, perfino si fondano, nell’unità di una sensibilità tanto coerente che moderna. Naturalmente si capisce, allora, come una tale teoria abbia potuto indignare — tanto negli Stati Uniti che in Europa — le buone coscienze progressiste. Le costringeva a riconoscere che l’ingegnosa ipotesi capitalista — la «commercial society» immaginata da Adam Smith in risposta ai problemi politici del tempo — non attingeva i propri principi (individuo, Ragione, Libertà) alle antiche barbarie o ”all’oscurantismo medioevale” ma proprio all’assiomatica delle Lumières, ovvero, se si riflette bene, alla stessa matrice culturale da cui ha preso origine la Sinistra.
La sinistra tradizionale, in effetti, nonostante la sua semplicistica fede nel mito borghese del “Progresso”, aveva sempre conservato — notoriamente attraverso il controllo delle burocrazie sindacali e delle numerose municipalità operaie — un minimo di radicamento nelle fasce popolari e dunque di comprensione verso le loro culture e sensibilità. Ecco perché i suoi programmi politici, e talvolta perfino le sue lotte, mantenevano generalmente un certo numero d’aspetti anticapitalisti che erano residui tangibili dei compromessi storici un tempo realizzati tra Sinistra e socialismo operaio.
A partire dagli anni Sessanta, al contrario, la convergenza dei differenti processi ”modernizzatori”- che, al momento, potevano sembrare indipendenti gli uni dagli altri- si affrettò a eliminare il poco di spirito anti-capitalista che ancora animava le istanze dirigenti della vecchia Sinistra. Innanzitutto il declino accelerato delle capacità seduttive dell’Impero Sovietico, ovvero della triste imitazione di Stato del progresso capitalista; a seguire, e in modo infinitamente più decisivo, l’ingresso dell’Europa Occidentale nell’era del capitalismo di consumo, e dunque l’installazione inevitabile al centro stesso dello spettacolo della Cultura Giovani incaricata di legittimarne l’immaginario e assicurare la circolazione senza fine, in mille imballaggi differenti , della stessa piacevole pacotille.
Infine, e soprattutto, la distruzione della stessa classe operaia, ovvero non di certo la sparizione reale degli operai ( che è in parte un artificio statistico) ma quella della coscienza di classe che li univa, scomparsa ottenuta da una parte con la liquidazione metodica dei quartieri popolari e dall’altra con le nuove forme di organizzazione del lavoro in impresa modernizzata e le tecniche di management «anti-autoritarie» che hanno permesso di imporle.
Quella che in questi tempi di rifondazione è stata designata come la nuova Sinistra non è null’altro, in definitiva, che l’eco politica dei differenti processi. Bisogna allora vedere in questa corrente multicolore una delle tradizioni politiche privilegiate della crescita in potenza delle nuove classi medie – così ben descritte, all’epoca, da Georges Perec- che, essendo preposte all’inquadramento tecnico, manageriale o culturale delle forme più moderne del capitalismo, sono condannate a far stare seduta la povera immagine di loro stesse sulla sola attitudine a piegare la schiena davanti a qualunque innovazione , «flessibilità» umana patetica, che ne fa la preda sognata di psicoterapeuti e cacciagione elettorale di predilezione di ogni sinistra «citoyenne» e progressista. Soltanto con il favore di una tale configurazione culturale così particolare, si è finalmente potuta offrire l’occasione ai rappresentanti più ambiziosi della nuova sensibilità liberal-libertaria di confiscare a loro esclusivo uso gli ultimi strumenti di lotta o di influenza che le classi popolari avevano ancora a disposizione.
Se La cultura del narcisismo appare come un libro così profetico, lo è dunque, in verità, perché, descrivendo con magnifica precisione, sulla base dei dati empirici già disponibili all’epoca, le forme di individualizzazione richieste dal capitalismo di consumo (quest’uomo psicologo del nostro tempo che è l’ultimo avatar dell’individualismo borghese), Lasch delimitava allo stesso tempo, in anticipo, la cornice psicologica e intellettuale molto ristretta al cui interno si sarebbero dovuti dibattere i militanti ”plurali” di ogni Sinistra Fmoderna e, in modo più generale, i rappresentanti delle nuove classi medie la cui falsa coscienza è divenuta lo spirito del tempo.
Così si chiarisce il curioso destino – paradossale, sia chiaro, soltanto in apparenza – di una Sinistra occidentale che dappertutto, modernizzandosi, ”ha rinunciato all’emancipazione sociale e si accontenta di sistemare un’infermeria per accogliere i feriti della guerra economica”, quando, ancora, non prende su di sé il compito di dirigere questa guerra con l’entusiasmo dei neofiti e lo zelo dei parvenu.
Da parte loro, per essersi lasciati espropriare del poco di autonomia politica che gli rimaneva da questi tutori benevolenti dalla mentalità così aperta, i vinti del mondo moderno – ovvero, come sempre, i lavoratori e la gente comune – finiscono con il ritrovarsi, per delle ragioni simmetriche , nella stessa situazione d’impotenza degli operai del diciannovesimo secolo , quando non erano ancora dotati di organizzazioni politiche indipendenti.
“A questo stadio, – scriveva Marx ( che non immaginava che teorizzando in tal modo il passato avrebbe teorizzato anche il futuro) – gli operai formano una massa disseminata attraverso il paese e atomizzata dalla concorrenza. Se accade che gli operai si sostengano in un’azione di massa, non ci troviamo ancora di fronte al risultato della loro unione ma di quella della borghesia che, per raggiungere i propri fini politici, deve mettere in movimento l’intero proletariato, possedendo ancora, provvisoriamente, il potere di farlo. Durante questa fase, i proletari non combattono affatto i loro nemici, ma i nemici dei loro nemici, ovvero le vestigia della monarchia assoluta, proprietari terrieri, borghesi non industriali, piccolo-borghesi. Tutto il movimento storico è in tal sorta concentrato tra le mani della borghesia; ogni vittoria ottenuta in questo modo è una vittoria borghese“.
Questa è la ragione storica principale del fatto che da vent’anni ogni vittoria della Sinistra corrisponde obbligatoriamente a una disfatta del Socialismo. Giunto a questo punto, immagino che il tipo di rivoluzione intellettuale alla quale ci invita l’opera di Lasch non potrà essere che mal accolta dal pubblico “illuminato”, ovvero da quanti si ritengano, per diritto divino, nel campo del bene e della Verità. Un lettore che sia preoccupato di quanto le sue idee politiche siano corrette (indubbiamente perché, per lui, un’idea non è tanto un modo di comprendere il mondo quanto di sedare le proprie inquietudini) non potrà, in effetti, avere alcun dubbio su quello che dà un senso all’epoca attuale: la sfida titanica tra, le deboli forze che tentano di riunire a malapena i guerriglieri eroici della modernità da una parte e le orde dilaganti e potentemente organizzate della Reazione e del terribile passato dall’altra.
In questa visione della Storia, a colpo sicuro molto toccante, va da sé che coloro che si ostineranno a pretendere che esistono pur sempre delle classi dirigenti (in più mondializzate) e che queste hanno come prima loro preoccupazione quella di costruire una nuova umanità conforme ai loro interessi egoistici, devono essere considerati come le vittime di una evidente predisposizione alla paranoia. Quanto a volere combattere la dominazione di queste potenze appoggiandosi sulla dignità e la virtù delle classi popolari, ecco che testimonia al meglio di una nostalgia mal posta per un mondo scomparso , al peggio di un fascino colpevole per quel populismo il cui ventre, come i media hanno il buon gusto di ricordarci all’unanimità quotidianamente, è gravido di chissà quale bestia immonda.
Prendendo il rischio di ripubblicare La cultura del narcisismo non rientrava nelle nostre intenzioni – né di certo nelle nostre possibilità – di rovinare il sonno intellettuale di quella parte di pubblico. Non è impossibile, nonostante tutto, che perfino tra quei lettori se ne trovi qualcuno in grado di riconoscere al libro di Lasch la virtù di disturbare le loro abitudini intellettuali (il che per ogni modernista è normalmente una qualità) e dunque di richiamare, per il suo carattere provocatorio, la refutazione che merita. Bisognerà che tali lettori abbiano anche il coraggio di giungere alla seguente questione. Com’è possibile che un’opera così stimolante – e per questo discussa in tutto il mondo – sia stata pubblicata in Francia dal 1981, fino a trovarsi rapidamente esaurita grazie al passaparola – samizdat dei regimi liberali —? E tutto questo senza che la perspicace critica ufficiale abbia sentito il bisogno di dedicargli una sola analisi degna di questo nome, ovvero all’altezza dei reali propositi del libro, per tacere, evidentemente, della pur chiacchierona sociologia di stato?
Vero è che un tale modo di operare è, da tanto tempo, il marchio di fabbrica del paesaggio intellettuale francese e che ogni libro che rompa realmente l’ordine costituito e la sua buona coscienza «citoyenne», è condannato, ordinariamente, ad essere accolto sia con un silenzio di piombo sia sotto un diluvio di calunnie. Ma questa è, a giusto titolo, una ragione supplementare perché ciascuno si interroghi su questo strano stato di fatto e si sforzi almeno di poterne trarre le implicazioni principali.
Ciò significherebbe, per esempio, che a furia di modernizzarsi, gli intellettuali ufficiali e mediatici siano ritornati alle abitudini di un’epoca in cui — secondo le parole di Marx — “ormai non si tratta più di sapere se tale teorema è vero, ma se suona bene o male, se sia gradito alla polizia o meno” e in cui, proprio per questo, “la ricerca disinteressata lascia il posto al pugilato pagante, l’investigazione coscienziosa alla cattiva coscienza, ai miserabili sotterfugi dell’apologetica“? (Marx, Postfazione alla seconda edizione tedesca del Capitale).
Se tale fosse il caso, la situazione sarebbe, certamente, qualcosa di profondamente scoraggiante. A meno che, al contrario, non vi si legga, come già fece Hegel, il segno irrefutabile che “tutto continua” e che , di conseguenza, nessuno può ancora pretendere che la vecchia talpa scavi le sue gallerie invano. Scegliere la buona interpretazione non è forse, dopo tutto, che una questione di temperamento. Ma quel che è certo è che, qualsiasi cosa possa accadere, Christopher Lasch sarà stato sicuramente di quelli che hanno aiutato più di tutti questo simpatico mammifero ad assolvere l’ingrato compito. Di questi strani tempi non conosco modo migliore per raccomandare un libro.
(Prefazione all’edizione francese di The Culture of Narcissism di Christopher Lasch, Climats, 2000)
fonte: nazioneindiana.com
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