Scontri veri o finti?
di LUCIANO DEL VECCHIO (FSI Bologna)
Lo scontro dentro l’Unione europea, spesso sordo e di rado urlato, sembra salire di intensità e diventare sempre più politico. La dimensione di esso s’è manifestata il 12 settembre, quando l’inutile parlamento, in scadenza e sfiduciato nella coscienza dei popoli, autorizza il Consiglio europeo a porre in stato d’accusa l’Ungheria e a privarla di vari diritti, fra cui quello di voto all’interno del Consiglio, a norma dell’articolo 7 del Trattato UE.
Le accuse – per la verità non contenute nella risoluzione ma espresse in interviste rilasciate alla stampa – sono dirette anche alla Costituzione ungherese considerata nell’insieme come illiberale, perché non garantirebbe l’indipendenza della magistratura, e sarebbe anche un po’ “razzista” perché fa riferimento esplicito all’identità nazionale e alla fede religiosa del popolo magiaro. Per un verso o per un altro, le Costituzioni dei popoli e degli stati non piacciono mai alle elites mondialiste, le quali le cancellerebbero tutte per il fatto stesso che esistono: quella italiana, per esempio, sappiamo che per i banchieri americani è illiberale, anzi socialista perché eccede troppo in tutele sociali.
I media dominanti parlano della votazione su Orban come di una sfida all’estremismo nazionalista e, forse prematuramente, di “sconfitta dei populisti”. In realtà, essa segna l’inizio della campagna elettorale per le Europee prossime, in cui dominerà il tema dell’immigrazione. La questione clandestini che, nel caso dell’Italia, rappresenta una delle più importanti forme di ricatto geopolitico, nel caso dell’Ungheria, pur rimanendo centrale, appare come parte di una contrapposizione molto più ampia e rivela timori ammessi quasi sottovoce. “Se continuiamo a parlare di immigrazione portiamo l’Europa alla soglia della rottura”. afferma Paolo Savona, ministro per gli Affari Europei. Perciò, il voto espresso sembra essere un messaggio chiaro inviato ai movimenti politici per scoraggiare tentazioni di dissenso e di opinioni sull’immigrazione divergenti da quelle degli eurocrati; ma lascia anche scorgere, ad inizio di una lunga vigilia elettorale, un tentativo di arginare le temute reazioni popolari contro politiche non di solo saccheggio economico ma anche di snaturamento culturale troppo a lungo subite.
Dunque, l’oggetto del conflitto riguarda non soltanto i rapporti tra politica ed economia e quelli tra economia e finanza, ma l’idea di Europa, le basi della convivenza civile, il diritto dei popoli a mantenere una propria identità all’interno dell’Unione. Il voto ha mostrato l’esistenza di due diverse concezioni di Europa, di democrazia e di libertà. Pierre Moscovici, il commissario Ue agli affari economici, evoca lo spettro di un “minaccia essenziale, esistenziale” per l’Europa, cioè “l’attacco dei populisti alla democrazia liberale, e quando dico liberale – puntualizza – parlo della combinazione tra democrazia e libertà”. Dunque una parte del Parlamento europeo farebbe propria totalmente la linea autocratica di ostilità ideologica contro le identità spirituali e culturali dei popoli, la famiglia, la prevalenza della politica sull’economia e dell’economia sulla finanza, mentre l’altra sosterrebbe questi valori.
Viktor Orban, alludendo alle prossime elezioni, dichiara: «L’anno prossimo cambieremo completamente l’Europa escludendo i socialisti dal governo dell’Europa, mettendo al centro il diritto alla vita, al lavoro, alla famiglia, alla sicurezza». Lo scontro svela dunque che l’Unione Europea non è soltanto un organismo sovranazionale e irriformabile che tutela gli interessi di banche e multinazionali di finanza e mercati, ma anche un progetto ideologico di mutamento culturale e antropologico dei popoli europei, che si attuerà solo in parte con una sostituzione di gruppi umani, con conseguente aggiunta o sovrapposizione di culture. L’esito potrebbe essere una società multiculturale non integrata e, come quella nordamericana, attraversata da conflitti etnici non facilmente risolvibili.
Il progetto traspare ambiguamente nei Trattati dalle solenni quanto pletoriche – a noi basta la nostra Costituzione – dichiarazioni sui valori e i diritti umani, compresi quelli degli “appartenenti alle minoranze”, dentro i quali si può far entrare qualsiasi fenomeno sociale, spontaneo o provocato, funzionale al mantenimento e sviluppo del capitalismo globale. Lo scontro può diventare più aspro di una lotta di classe tra ceti sociali prostrati dal sistema economico liberista ed estraniati dal multiculturalismo. Su questi problemi, all’interno di ogni singolo paese i popoli solleciteranno i partiti politici ad uscire dalle loro ambiguità. Su questi inaspettati quanto non considerati crinali può scivolare l’Unione Europea.
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