Il dramma geopolitico
di LUCIANO DEL VECCHIO (FSI Bologna)
Per non farsi travolgere da una storia che, al contrario di quanto teorizzava il politologo americano Francis Fukuyama, non s’è mai fermata e che, in questi anni, ha accelerato drammaticamente il suo corso, dovremmo provare a ragionare di politica non solo con ideologie o categorie sociologiche, ma anche in termini di fattori geografico-storici e fisico-ambientali, che la geopolitica studia e interpreta come elementi che condizionano la storia.
L’Italia, dopo la morte della Patria, sembra avere pressoché dimenticato storia e geografia, e con esse la grande politica, che è innanzitutto politica estera, rinunciando ad esercitare un ruolo qualsiasi sulla scena internazionale. Su questo spazio gIi Italiani sembrano essersi rifugiati in una sorta di disturbo dissociativo che li incapacita di percepirsi popolo sulla loro terra, di riconoscersi nella loro storia e identità, che la narrazione storiografica anglosassone ha distorto e alterato da circa 70 anni. Regrediti collettivamente a un bisogno infantile di tutela coloniale, giulivi di retrocedere a provincia straniera, come nei periodi politicamente più infelici della nostra storia, abbiamo rinunciato al diritto-dovere di farci guida di libertà e democrazia per i paesi fratelli.
Nella fluida incertezza del presente, l’Italia, per ritrovare la capacità di riconoscersi allo specchio e di aver piena coscienza dei suoi destini, necessita di riscoprire l’interesse nazionale, che è legato storicamente all’area geografica che occupa, al suo sviluppo economico e progresso sociale, alla libertà sua e a quella dei popoli mediterranei, che è anche la sua. La riconquista della sovranità popolare e nazionale non può prescindere dalla consapevolezza della sua missione geopolitica, imposta da un territorio che si proietta nel “suo” mare per migliaia di chilometri di coste tra e verso terre abitate da popoli, la cui pace e sicurezza sono vitali per l’Italia.
Nazione a sovranità apparente, paese ridotto ad arsenale straniero, popolo storicamente maledetto a scannarsi in continue dispute civili a pro dello straniero di turno, che una o più fazioni invocano spesso a invaderci territorialmente o a condizionarci politicamente, fin dal secolo scorso ci siamo consegnati all’egemonia di fumose culture antinazionali. Internazionalismo proletario, ecumenismo clericale, cosmopolitismo illuminista, tutti declinati ora come mondialismo, minacciano da sempre la coesione e la concordia nazionali e, nel presente, allungano le loro ingannevoli ombre sotto forma di compiaciuta autodenigrazione di massa e di umanitarismo ipocrita e politicamente garbato verso sopravvenienti afflussi.
Ora sprofondiamo nel baratro della dissoluzione europeista delle multinazionali e dei finanzieri apolidi, ignorando che la nostra sorte non può essere disgiunta da quella del Mediterraneo, come compresero bene coloro i quali, durante la Prima Repubblica, osarono prendere decisioni autonome in politica estera. A cominciare da Enrico Mattei, il creatore della grande politica energetica nazionale, a cui seguì la coerente azione di Aldo Moro, ucciso non per le “convergenze parallele” ma perché filoarabo; per finire a Bettino Craxi, costretto all’esilio dall’ambigua operazione Mani Pulite, non per corruzione ma per Sigonella, assurta a vicenda-simbolo di una sia pur effimera manifestazione di riscoperta indipendenza. La loro sorte conferma che qualunque politico o imprenditore che osi opporsi al ruolo marginale imposto al Paese, viene eliminato politicamente o fisicamente.
Tuttavia, amarezze e disillusioni accumulate nel recente passato non debbono paralizzare l’azione e dissuaderci dai doveri che il presente ci impone sul decisivo scenario nordafricano, dove sono evidenti i contraccolpi della tragedia libica sulle correnti immigratorie e sulla politica energetica. L’Italia, forte della vicinanza storica e geografica con quella sponda, deve realisticamente prendere atto che l’Unione Europea, il cui nucleo è la diarchia franco-tedesca, non può ricomporre né vorrà mai armonizzare gli interessi contrapposti di Francia e Italia in questa area. Le due nazioni, che “figurano” alleate dentro UE e NATO, sono platealmente avversarie in uno spazio geopolitico dove gli americani hanno lasciato alla Francia mano libera di imporre le sue mire neocoloniali, anche con le armi. L’Italia è stata sacrificata agli interessi strategici degli uni e a quelli economici e finanziari degli altri, Germania e Francia, delegate entrambe al controllo geopolitico dell’area europea e nordafricana. Pertanto, il vincolo esterno non è solo un problema di adesione ai trattati, ma anche il frutto di politiche ostili che potenze europee attuano contro l’Italia, complice un ceto sub-dominante interno ormai screditato.
Infatti, in questo quadro di supremazie stratificate e di sottomissioni programmate, solo il ceto politico italiano ha ritagliato per il suo Paese il miserabile ruolo di prima colonia in terra, di portaerei ammiraglia in mare, e di prima esaltata tifosa dell’Unione Europea, contro i suoi concreti interessi nazionali. Fin dal secondo dopoguerra, la narrazione ufficiale ha esaltato questi umilianti ruoli dell’Italia e, per converso, occultato la lotta sorda che Francia e Germania conducono contro lo sviluppo italiano: una durevole ostilità camuffata dalle istituzioni oligarchiche europee, controllata dal predominio dell’economia finanziaria sulla politica, sorvegliata dall’immensa capacità di manipolazione di massa delle nuove tecnologie di comunicazione; un conflitto condotto ora con l’arma geopolitica dell’immigrazione massiva convogliata, epifenomeno del capitalismo.
La riconquista e l’esercizio della sovranità nazionale, dunque, esigono l’adozione di provvedimenti interni che non solo sanciscano di fatto e unilateralmente lo strappo dei trattati sottoscritti, ma anche che esprimano una politica estera non rinunciataria dell’interesse nazionale: la difesa intransigente dei confini geofisici, il controllo rigoroso di quelli finanziari, commerciali, doganali; la riscoperta del concetto e del valore della cittadinanza; una politica energetica autonoma e libera nella ricerca a tutto globo dei paesi fornitori; la nazionalizzazione delle produzioni e dei servizi strategici vitali per l’esistenza dello Stato e, all’interno di questi settori, il controllo pubblico delle reti di comunicazione. Il progetto e il programma sovranisti sono realizzabili se guidati da un unico postulato: la riapplicazione totale della Costituzione, quella del 1 Gennaio del 1948, quando in un clima di riscoperta coscienza della dignità nazionale ci si proponeva di riconquistarla con tenace impegno politico e diplomatico, e ci si illudeva di non doverla mai più perdere.
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