A proposito di un articolo di Moreno Pasquinelli
Stefano D'Andrea
Mi fa piacere che Moreno Pasquinelli, nell’articolo Perché questo mortorio sociale, sostenga oggi ciò che sostenevo, scontrandomi con il suo dissenso, quando ci "separammo", amichevolmente (lui decise di fondare MPL io l’ARS). D’altra parte anche sull'Unione Europea l'ho anticipato. Al convegno di Chianciano, che volle intitolare “Fuori dall'euro fuori dal debito”, tenni una relazione intitolata "O la Costituzione della Repubblica Italiana o l'Unione Europea". Non sono soltanto le masse a muoversi, anche le avanguardie.
A parte la stoccata ironica, ovviamente Pasquinelli ha ragione. Quali le conseguenze?
1. Bisogna elaborare un progetto politico paziente e non dire "non c'è tempo", "l'Italia sta per andare in default, vedrai ad aprile”, come mi ripeteva, quando invocavo pazienza. Un'associazione che promuova un movimento era la mia idea; costituire subito un movimento era la sua.
2. Abbandonare la tesi che i lavoratori subordinati siano, anche di un pizzico, rivoluzionari, o comunque attori del cambiamento, più di altri ceti e categorie. E' un'idea che è smentita dai fatti e dalla logica. Può corrispondere ai desideri e alle credenze di qualcuno ma è falsa. Quindi escludere e negare come infondata qualsiasi "trazione proletaria" del futuro movimento politico. E' un altro punto sul quale ci dividemmo.
3. Parlare tanto di salari, quanto di parcelle dei professionisti e tanto di protezione del lavoro subordinato quanto di protezione dei piccoli commercianti; tanto di precari nella pubblica amministrazione, quanto di necessità di reintrodurre rigorose carriere dirigenziali. Infatti, il partito che dovrà sorgere e che ci auguriamo sorgerà, sarà composto dai migliori e più consapevoli lavoratori subordinati, dai migliori e più consapevoli professionisti, dai migliori e più consapevoli commercianti, dai migliori e più consapevoli dipendenti e dirigenti pubblici; dai migliori e più consapevoli artigiani. L'appello perciò va rivolto al popolo e non al popolo lavoratore. Anche su questo punto ci dividemmo.
4. Abbandonare ogni declamazione anticapitalistica o socialistica e proporre istituti e soluzioni improntate a un'economia sociale e popolare. Limitarsi, insomma, all'analisi e alla proposta di fase, che durerà almeno un decennio. Negare che sia in crisi il capitalismo e asserire che è in crisi il capitalismo della triade e in particolare quello di alcuni paesi europei. Anche su questo punto ci dividemmo. Soprattutto negare che tutto ciò che non è socialismo è capitalismo e osservare che la soluzione potrebbe stare nella nostra storia quando raggiungemmo un giusto equilibrio tra capitale e lavoro e stroncammo la rendita finanziaria (fino al 1980). Di qui la necessità del riferimento alla nostra Costituzione. Pasquinelli, invece, anche in ragione del seguito che aveva, trovava difficoltà a fare riferimento alla Costituzione e doveva pensare a un superamento tramite una “Assemblea costituente popolare”.
5. Considerare come impossibili alleati tutti coloro che ricorrono a declamazioni anticapitalistiche e socialistiche in senso stretto, prive di riferimenti concreti e idonee soltanto a far fuggire gli ascoltatori; viceversa considerare potenziali alleati tutti coloro che desiderano un'economia sociale e popolare e giustizia sociale, economia la quale assuma, eventualmente, tratti socialistici. In particolare, avevamo un diverso giudizio sulla necessità di avere rapporti stretti con il gruppo del I ottobre. Io dicevo: "vedrai che ci seguiranno. Non serve che li coltiviamo, anche perché non ci considerano e non sono per niente lungimiranti. Arriveranno sempre dopo". Oggi Cremaschi è quasi sulle nostre posizioni di un anno fa ma non viene certo a cercarci.
6. Trovare in alcune centinaia di città italiane alcune centinaia di capitani, che poi formeranno la sezione. Le "masse", in realtà il numero di militanti necessario, vengono dopo, servendo inizialmente, assieme ai capitani, un numero analogo di quadri. Anche su questo ci dividemmo, visto che Pasquinelli mi prendeva in giro perché io pensavo a una classe dirigente senza seguito (ma non era e non è questa la mia posizione). Ovviamente il capitano può ben essere un operaio che studi, si impegni e capisca.
7. Dichiarare nettamente che la prospettiva è quella di formazione di un movimento sovranista che partecipi alle elezioni, riesca ad andare in Parlamento e possa parlare a tutto il popolo Italiano. Pasquinelli, invece, anche in ragione del seguito che aveva, trovava difficoltà a fare riferimento alla prospettiva elettoralistica e invocava il mito della sollevazione. Una sollevazione in assenza di un soggetto che si candidi a dirigere il paese avviene senza essere promossa, bensì in caso di crollo del sistema, e può dar luogo a dittature militari o consegnare il paese in mano alle forze reazionarie.
8. Introdurre, con quasi pari importanza nel discorso politico, elementi infrastrutturali, come la scuola pubblica, la riduzione della pubblicità e la limitazione del credito al consumo, in modo da richiamare l'attenzione degli italiani più sensibili, che pensano anche all'ambiente in cui si formerà lo spirito dei loro figli. Pasquinelli, invece, era favorevole ad un manifesto imperniato soltanto sulla struttura materiale della società.
Dopo aver letto il suo articolo, mi domando se Moreno sia intenzionato a fondare in Umbria un paio di sezioni dell'Associazione Riconquistare la Sovranità.
Tutto molto interessante e condivisibile (immaginiamo che siano le posizioni elencate più o meno dettagliatamente quelle dove Moreno si è differenziato). Ma non crede, D'Andrea che la linea di frattura non sia quella fra sovranisti e non sovranisti (o fra anti e pro euro) ma un'altra? Non crede che una posizione autoriferita alle singole posizioni sovraniste infici poi il carattere chiamiamolo internazionale di un movimento popolare quale Lei intende?
Invece tutte le determinazioni organizzative qui esposte debbono fare il paio con quelle posizioni veramente liberali (e pro-euro) che in questo Paese ci sono, e segnare con essi una discontinuità, anzichè assumere una sterile (forse) posizione sovranista che nello scenario macroregionale (riferito al globo) non significano nulla? Non è possibile uscire dalle retoriche sovraniste per lavorare ad un'Europa che riprenda i fondamentali originari della sua costituzione, e che nel Parlamento Europeo ed ad esso vengano riferite le politiche europee (anzichè com'è ora riferite ad un esecutivo (politico e finanziario) completamente alienato dalla sovranità popolare?
Gentili sig.ri di N.O.I., chiedo scusa se non riesco a rispondervi con immediatezza. Ho alcuni giorni di grande lavoro e di impegni extralavorativi. Appena posso, mi dedicherò a rispondervi, nel tentativo di negare che si sia in presenza di una retorica antieuropea e che invece siamo immersi nella retorica europeista.
Ci vuole coraggio a parlare di retorica sovranista quando non c'è pennivendolo che non imbratti il suo fogliaccio colla retorica europeista e neoliberale messagli in bocca dal regime. Con tanto di semantica spaventagregge incorporata: chi mette in discussione le rapine dell'alta finanza è un populista e fa antipolitica.
Forse la miglior risposta è chiedere al N.O.I. quale sia il loro piano, chiaro, concreto e praticabile per rovesciare l'architettura istituzionale e l'impianto economico neoliberista dell'UE come un calzino, sgominare il potere delle lobbies che governano Bruxelles, e convincere gli stati europei ad entrare in rotta frontale di collisione col loro padrone statunitense, fonte del turbocapitalismo.
Parlare di socialismo senza riferimenti concreti a uno spazio geografico e un tempo storico, è peggio di una vana declamazione, significa divulgare un assioma religioso o filosofico. Solo questi, pretendono possedere una valenza universale che si proietterebbe talmudicamente verso l'infinito.
Allo stesso modo, è una priorità assoluta dar corpo a una forza concreta che si frapponga, rallenti, inceppi, delimiti, per poi sconfiggere il progetto oscurantista dell'elite. In Sudamerica sono stati movimenti reali e le ondate crescenti con cui si manifestarono, fino a cristallizzarsi in alleanze politico-sociali. Finora, c'è stato un semisciopero in 12 mesi, (più qualche manifestazione)! Troppo poco.
La questione dell'euro sarà decisa dal rapporto di forze accumulate: bisogna pensare non in termini di conquista del potere, ma di un processo in cui si riducono gli spazi di manovra all'oligarchia finanziaria e -per conseguenza- cresca la nuova egemonia egemonia sociale.
Ricordo due cose:
1) In Venezuela, nel 1998, Chávez si presentò e vinse le elezioni con due punti: indire una Assemblea Costituente e opporsi al Consenso di Washington (oggi sarebbe come il No a BCE ed UE) per l'equità sociale.
2) In Ecuador, come primo atto, il presidente Correa espulse la delegazione della Banca Mondiale, e tutte le misure che hanno portato ad una revisione -e riduzione- del debito estero, sono state deliberate nonostante la moneta nazionale Ecuadoriana sia il…dollaro! I neoliberisti, lì riuscirono ad abolire la moneta nazionale.
In entrambi i casi, sono arrivati al potere politico senza disporre di partiti -che scomparvero tutti dalla scena- o organizzazioni equivalenti proprie, e puntarono sulla Costituente, perchè il neoliberismo aveva praticamente liquidato lo Stato, e le istituzioni superstiti si paralizzavano in una guerra di bande contrapposte.
Concordo con la concretezza di S. D'Andrea