Sovranismo
1. Sovranismo e sovranista sono due neologismi. Invano si cercherebbero le due parole nelle enciclopedie giuridiche o sui vocabolari. In Italia, il termine sovranismo è diffuso fino ad ora esclusivamente sulla rete di internet, in due diverse accezioni: l’una regionale e segnatamente sarda; l’altra per designare una posizione politica nazionale.
2. La prima accezione non interessa. Dubito che essa possa designare qualcosa di diverso dai due concetti estremi dell’autonomismo e dell’indipendentismo. Si tratta probabilmente di innovazione meramente terminologica, introdotta da chi crede che l’una o l’altra delle parole classiche – autonomismo e indipendentismo – sia ormai logora o debole per esprimere il concetto. La Sardegna è una regione d’Italia a statuto speciale e non si vede come un movimento politico possa farsi portatore di qualcosa di diverso dall’applicazione completa dello statuto, ossia dell’autonomismo o al contrario dell’indipendentismo: soltanto dopo che fosse raggiunta l’“indipendenza” formale dall'Italia ma all’interno dell’Unione europea potrebbe sorgere l’istanza di sovranità (indipendenza ha ovviamente un significato sostanziale molto più rilevante, che qui non viene in considerazione).
3. La seconda accezione designa l’istanza di riconquista della sovranità dal parte del popolo e dello Stato italiano.
La parola sovranismo è stata definita “strampalata” da Alberto Bagnai (qui al minuto 30 e 10 secondi). I giuristi pratici nelle aule dei tribunali sogliono definire strampalata una interpretazione di disposizioni normative o una ricostruzione storica prive di ogni appiglio o stampella. Strampalato è ciò che è privo di stampelle: che non si regge in piedi.
In che senso un neologismo può astrattamente essere definito strampalato?
Un neologismo può essere inutile, quando già è attestato un termine che designa perfettamente il contenuto che con il neologismo si intende esprimere. Il neologismo può essere, in senso lato, strampalato quando il concetto che dovrebbe esprimere è evanescente o viscido come un pesce fuor d’acqua appena pescato. Non è questo il caso del nostro neolgismo che designa non una teoria, bensì un’istanza di riconquista della sovranità da parte di stati e popoli che ingenuamente, e sotto la pressione di potenti e meschine lobby di potere, l’hanno lentamente ceduta, generando una situazione potenzialmente catastrofica.
Gli Stati europei che da Maastricht in poi (e invero già dall’Atto unico) hanno dato vita all’Unione europea si trovano in una condizione del tutto speciale, che non ha riscontri nella storia: una condizione che davvero può essere definita unica. Essi hanno ceduto poteri sovrani non ad un mega-stato, bensì ad un'organizzazione che ha lo scopo esclusivamente di impedire la libertà di svolgere politiche doganali, commerciali, fiscali espansive, monetarie, di lotta alla rendita, di stabilità del sistema (non esposizione a bolle, afflussi e deflussi di capitali), di imposizione veramente progressiva e di controllo della bilancia dei pagamenti (salvo lo strumento della deflazione salariale), di politiche volte a creare monopoli o oligopoli pubblici, e di politiche di promozione dell'occupazione che non sia sotto-occupazione.
Inoltre, l’Unione europea è antidemocratica. Non soltanto ha sottratto agli stati la politica monetaria, fiscale, industriale, commerciale, doganale, dei redditi e finanche scolastica; essa ha trasferito questi poteri a organi non eletti, i quali possono esercitarli soltanto nell’ambito del fanatismo liberista e liberoscambista del quale sono intrisi i Trattati europei: l'Unione europea è l'esperimento più avanzato e quasi “religioso” di neoliberismo. Anche questo secondo elemento rende del tutto speciale la condizione dei popoli europei: dotati formalmente di costituzioni democratiche hanno trasferito poteri decisori a un’organizzazione internazionale antidemocratica.
La specialità o eccezionalità della condizione nella quale si trovano gli Stati e i popoli europei – privati di poteri e della democrazia – spiega l’esigenza e la nascita del neologismo. Una condizione nuova, sconosciuta nella storia, dà luogo a una istanza nuova: l’istanza di riconquista della sovranità. Questa istanza si designa con il termine nuovo di sovranismo.
4. Lasciando da parte le critiche al termine sovranismo – probabilmente mosse dall'adesione, per convinzione o, più probabilmente, per (creduto) realismo, ad una posizione politica più moderata – conviene soffermarsi su una posizione autorevole, che ha di recente sottolineato l’alto valore politico del sovranismo, riconoscendo l’importanza decisiva del sovranismo in questo momento storico.
Alludo al recente articolo di J. Sapir, il quale nel criticare alcune affermazioni di Fréderic Lordon, ha scritto: “Fréderic Lordon distingue poi ciò che chiama un “sovranismo di destra” da un “sovranismo di sinistra”, contrapponendo “Nazione” e “Popolo”: “potrebbe essere utile iniziare mostrando in che cosa un sovranismo di sinistra si differenzia chiaramente da un sovranismo di destra: quest'ultimo si concepisce generalmente come sovranità “della nazione”, mentre il primo rivendica di attribuire la sovranità “al popolo”.
Mi pare che qui ci sia una confusione.La differenza fra destra e sinistra non deriva dalla sovranità, ma dalla maniera di concepire la Nazione. Da questo punto di vista, rifiuto l'idea che possa esserci un sovranismo di "destra" o "di sinistra". C'è il sovranismo, condizione necessaria dell'esistenza di un pensiero democratico, e ci sono le ideologie che rifiutano la sovranità e quindi, alla fine, la democrazia".
5. Anche la posizione di Sapir, certamente molto più rigorosa di quella di Lordon, si presta a due osservazioni, che la precisano e rafforzano.
Intanto nel brano citato, sovranismo non designa l'istanza di riconquista della sovranità ma quasi la sovranità stessa: se c'è sovranità c'è o può esserci democrazia; se non c'è sovranità – ossia poteri del popolo-stato – allora la democrazia non può esserci.
E' preferibile definire con il termine sovranismo l'istanza di riconquista della sovranità, ché, altrimenti, non vi sarebbe bisogno del neologismo (in Francia souvranitarisme è termine attestato).
Il movimento politico sovranista italiano, che sta emettendo i primi vagiti, è il movimento che si fa portatore dell'istanza di piena riconquista della sovranità. L'obiettivo finale è distruggere il mercato unico e tornare al "mercato comune" (CEE), con meno Stati nazionali di quelli che oggi compongono l'Unione europea e con meno vincoli di quelli vigenti nella CEE verso la metà degli anni ottanta (questa, invero, è la posizione dell'Associazione Riconquistare la Sovranità). Soprattutto con l'obiettivo di creare, attraverso trattati, alcuni limitati vincoli destinati a creare una condizione stabile e non una situazione in continuo movimento che debba di nuovo "evolvere" (in realtà involvere) verso un mercato unico.
6. In secondo luogo, gli Stati europei, che hanno ceduto la sovranità, non sono gusci vuoti. Sono stati costituzionali con costituzioni che promuovono l'intervento dello Stato nell'economia, tutelano il lavoro e l'investimento rischioso nella produzione di beni e servizi, prevedono che l'economia sia programmata (ferma la legittimità dell'esercizio della libera impresa), ignorano formalmente la rendita finanziaria ma certamente la combattono, se le disposizioni costituzionali sono lette, come devono, in modo sistematico. Qualunque paese riconquisti la sovranità avrà mezzi enormi per attuare politiche fiscali, monetarie, industriali, doganali, commerciali, redistributive, di imposizione progressiva. Il paradosso (solo apparente) che abbiamo davanti è che se osserviamo le politiche democristiane prima e del centrosinistra dopo (fino alla metà degli anni ottanta), quindi posizioni che al tempo potevano essere definite conservatrici o moderatamente socialiste, dobbiamo prendere atto che esse sono bolsceviche rispetto alle “politiche” attuabili dentro i vincoli di Maastricht (dopo Maastricht un governo con dentro i comunisti ha abrogato l'equo canone ed approvato il pacchetto Treu, non dimentichiamolo!). Perciò è ingenuo temere che il dopo Unione europea sarà gestito da forze moderate e conservatrici. Si aprirà una battaglia, ci sarà chi sarà a favore di una (ri)attuazione progressiva della Costituzione e chi sosterrà un'attuazione moderata o lenta della disciplina costituzionale dei rapporti economici. Ma il dibattito politico avrà ad oggetto le modalità di esercizio di poteri che oggi non abbiamo. Il dibattito politico risorgerà. Si aprirà una nuova era. Meglio poveri ma con la possibilità di riprendere un cammino di democrazia e giustizia che poveri senza alcuna possibilità, ossia schiavi. Uscire dalla gabbia dell'Unione europea, ossia del mercato unico, è dunque la parola d'ordine.
Perciò, non soltanto è vero, come scrive Sapir, che il sovranismo, è “condizione necessaria all'esistenza di un pensiero democratico” ma è anche vero che il sovranismo condurrà inevitabilmente, eventualmente nel giro di alcuni anni, ad un generale miglioramento delle tutele dei ceti bassi, medio bassi e medi (oltre che a una maggiore indipendenza nazionale sotto il profilo politico-culturale), perché lo Stato tornerà in possesso dei poteri che consentono a quelle classi di avere tutele. E i poteri, quando esistono, poco o tanto (la misura dipende dall'esito della lotta politica) vengono esercitati.
Ha poco senso, pertanto, interrogarsi sulle conseguenze immediate, sotto il profilo strettamente economico, della distruzione dell'Unione europea: se vantaggiose o svantaggiose e per chi. La vera grande conseguenza della riconquista della sovranità sarà la libertà, perché la sovranità è la libertà dei popoli. E non dubiterei che la libertà sarà esercitata comunque per risalire la china. Nessun governo avrebbe volontariamente e deliberatamente attuato le folli politiche liberiste degli ultimi venti anni, o almeno nessun governo le avrebbe attuate nella misura in cui sono state applicate, se ciò non fosse avvenuto in ragione del fatto che “ce lo chiedeva l'Europa”. E comunque, fuori dall'Unione europea, quasi tutti gli Stati che le hanno applicate negli anni ottanta e novanta sono tornati indietro, chi più e chi meno: soltanto noi continuiamo imperterriti. In Europa, infatti, le politiche liberiste non sono state scelte (ossia vere politiche) ma adempimenti.
SD'A
Condivido in toto il contenuto dell'articolo. Se posso esprimere una valutazione critica, debbo dire che esso appare fin troppo tecnico e poco, per così dire, spontaneo. E' riservato ad un pubblico competente e totalmente coinvolto (e questo può essere un limite, oltre che un pregio).Ho avuto modo di apprezzare le indubbie qualità oratorie di D'Andrea, ed anche la personalità carismatica che emana dalla sua persona . Non lo vedrei male a condurre un movimento di coordinamento di tutte le formazioni che, sparse in un pulviscolo di sigle, svolgono opera meritoria in campo monetario in tutta Italia. Ma per essere capo, bisogna dialogare e convincere tutti gli altri. Ed è questo che sollecito fare all' Amico Stefano. Con simpatia, Claudio Zanasi.
"[…] un’istanza di riconquista della sovranità da parte di stati e popoli che ingenuamente, e sotto la pressione di potenti e meschine lobby di potere, l’hanno lentamente ceduta, generando una situazione potenzialmente catastrofica."
"Anche questo secondo elemento rende del tutto speciale la condizione dei popoli europei: dotati formalmente di costituzioni democratiche hanno trasferito poteri decisori a un’organizzazione internazionale antidemocratica."
Se è vero che i popoli di Stati democratici, sotto la pressione di lobby di potere, hanno ingenuamente e lentamente ceduto la sovranità ad organizzazioni antidemocratiche sovranazionali, queste popolazioni – prima di cedere la sovranità – appartenevano a Stati che potessero davvero definirsi democratici? Se hanno ceduto la sovranità consapevolmente, allora l'hanno fatto nell'esercizio della propria sovranità democratica. Se invece la cessione è avvenuta inconsapevolmente, allora gli Stati cui questi popoli appartenevano erano pienamente e autenticamente democratici? La sovranità apparteneva loro anche prima che venisse ceduta? E apparterrà loro quando verrà formalmente riconquistata?
L'art. 2 comma secondo della Costituzione recita: "La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione." Se abbiamo ceduto la nostra sovranità inconsapevolmente, se siamo stati vittime di un raggiro, mi chiedo allora cosa fosse la sovranità (e cosa sia), in cosa consistesse, se ci appartenesse veramente, se fosse sufficiente a determinare uno Stato di Diritto democratico? La sovranità è mera titolarità di un potere decisionale? Avevamo un potere decisionale, e non l'abbiamo potuto esercitare? Oppure avevamo un potere, e non l'abbiamo saputo esercitare? Oppure non avevamo alcuna reale sovranità? Quando uno Stato ed un popolo possono dirsi veramente e realmente democratici? La Democrazia è solo una idea regolativa?
Massimiliano, ho da giorni in mente di scrivere un articolo, che risponderebbe alle tue domande.
Comunque, per punti, magari non esaustivi, traccio una scaletta,che poi riprenderò nell'articlo.
La sovranità è la titolarità di poteri. La teoria, la ideologia e le norme costituzionali relative alla sovranità popolare non possono negare il fatto che nei rapporti esterni (diritto internazionale, rapporti con altri stati), la sovranità si estrinseca in atti dello stato e appare come sovranità dello stato.
Lo stato italiano ha perso poteri nei confronti di altri stati: non può introdurre sul proprio territorio infinite discipline (tra l'altro, tutte un tempo vigenti). Se le introduce, esse non valgono e il giudice le deve disapplicare e/o compie un illecito nei confronti della UE che gli stati partecipanti possono far accertare e sanzionare (sto semplificando).
Ma come si formano gli atti politici dello stato, le leggi in particolare ma non soltanto esse? La Costituzione contiene una serie di norme volte a ricondurre quegli atti al popolo, per consentire che il popolo possa, direttamente o indirettamente, determinare il contenuto di quegli atti e decidere se compierli.
Si tratta di parecchie norme, molte delle quali disciplinano profili non secondari ma molto specifici. Due norme sono invece decisive: il suffragio universale, necessario presidio formale,e la possibilità di partecipare alla vita politica creando partiti e iscrivendosi ai medesimi.
Da sempre l'elemento formale può essere debole (sistema maggioritario, sempre preferito dalle elite) o forte (proporzionale). Noi nei primi anni novanta abbiamo voluto la forma debole (abbiamo scelto il sistema che indebolisce la miglior parte del popolo e rafforza le elite).
L'elemento sostanziale, invece, dipende tutto dal popolo, o meglio dalla elite del popolo, intesa non in senso ristrettissimo, bensì nel senso di persone che vogliono adempiere il DOVERE di concorrere alla vita sociale e politica del paese, che vogliono capire, che studiano, che vogliono migliorare, che vogliono sottrarre alle elite economiche o di ceto il potere monopolistico di determinare le scelte politiche nazionali, che si considerano e sono COMBATTENTI PER LA LIBERTA' E LA GIUSTIZIA (il significato di queste due parole può variare; ma la elite del popolo è la parte combattente, sempre).
Se non ci sono sufficienti persone che avvertono questo dovere e militano o creano partiti e cercano i capi che caspiscano e chiariscano un po' di più, un popolo cade nella schiavitu'.
La sovranità popolare non è un fatto, né una condizione stabile. E' una possibilità che si realizza se il popolo sa esprimere una tendenza, una analisi, una potenza, una disciplina, una organizzazione, la diffusione del senso di dovere della militanza, una selezione della classe dirigente, slogan, una potente macchina che raccoglie consenso, un esercito di cittadini combattenti che costringe all'accordo o addirittura travolge e sconfigge le elite.
La libertà è fondata sul diffuso (non generale e nemmeno tendenziale) adempimento del dovere di militanza, di partecipazione, di miglioramento, di studio.
Tutti i diritti traggono sostegno dall'adempimento di questi doveri da parte della elite (in senso largo) che il popolo riesce ad esprimere.
Mazzini, che vado scoprendo (non riscoprendo ma proprio scoprendo) è fondamentale. La teoria della priorità dei doveri è la teoria più realista e rivoluzionaria che esista.
Claudio Zanasi,
spero di incontrari a Roma in occasione dell'incontro promosso da Reimpresa. Se verrai, presentati.
La ringrazio per l’articolata risposta. In effetti la nostra Costituzione dispone appunto anche le forme, oltre che i limiti, in cui esercitare la sovranità di cui all’art.2. E non a caso il complesso delle disposizioni della parte I della Costituzione è intitolato proprio “Diritti e Doveri dei Cittadini”. Il problema è se tali disposizioni attualmente trovino adeguata e sufficiente applicazione. La perdita della sovranità in favore dell’UE compromette ulteriormente e gravemente questa possibilità.
Tuttavia mi sembra logicamente evidente che nella catena delle cause la perdita della sovranità sia la conseguenza ultima e non la causa prima, dato che c’è stato un tempo in cui ne eravamo ancora titolari. Quali le cause che hanno consentito che, quando se ne era ancora titolari, questa venisse ceduta nei modi che lei ha evidenziato (ossia ingenuamente e lentamente sotto la pressione di gruppi di potere a favore di organizzazioni sovranazionali di fatto antidemocratiche)? Il mancato adempimento dei nostri doveri di cittadini? E come sovvertire l’attuale situazione di irrilevanza in un rapporto di forza totalmente sbilanciato in favore di partiti politici fondamentalmente oligarchici e di organismi sovranazionali antidemocratici? Lei sostiene che “l'elemento sostanziale, invece, dipende tutto dal popolo, o meglio dalla elite del popolo, intesa non in senso ristrettissimo, bensì nel senso di persone che vogliono adempiere il DOVERE di concorrere alla vita sociale e politica del paese, che vogliono capire, che studiano, che vogliono migliorare, che vogliono sottrarre alle elite economiche o di ceto il potere monopolistico di determinare le scelte politiche nazionali, che si considerano e sono COMBATTENTI PER LA LIBERTA' E LA GIUSTIZIA”.
E qui credo stia uno dei problemi fondamentali. Quali i margini reali per concorrere alla vita politica? E nell’ambito di quali rapporti di forza con queste stesse elite? Ad esempio, l’unico movimento neonato che alle ultime elezioni è riuscito ad ottenere un consistente numero di seggi in Parlamento è il M5S. Non mi sembra però sia nato dal basso, è stato creato da due persone non comuni, una personalità pubblica carismatica, l’altra decisamente meno nota ma non meno influente, entrambi dotati di risorse anche economiche non comuni, mediante una sapiente strategia di comunicazione e di marketing politico, e soprattutto non ha provveduto a dotarsi di strutture interne propriamente democratiche.
Le modalità di produzione del consenso, l’accesso alle informazioni e ai media, la disponibilità di risorse adeguate, l’esistenza di organi elettivi, la possibilità di sostituire la classe dirigente, la coerenza tra mezzi e fini, sono alcuni aspetti fondamentali per una reale partecipazione democratica alla vita politica. Credo che la perdita della sovranità sia il sintomo finale, e che il vero problema siano le cause che lo hanno generato. Riconquistare la sovranità è un presupposto necessario, ma perché si abbia democrazia è necessario molto altro. Altrimenti sarà solo il presupposto per perderla nuovamente.
Massimiliano, riconquistare la sovranità è il fine con riguardo alla fase, che durerà almeno 15 anni; esercitare la sovranitàriconquistata con indipendenza, ossia liberi dalla tirannide straniera, giustizia, e creatività (costruzione di una civiltà originale, che raccolga e sviluppi il meglio della propria storia), è il fine ultimo, il risveglio del popolo è il fine immediato, senza il quale nulla è possibile.