Ipse dixit. Indovina chi… (1a parte)
di DAVIDE PARASCANDOLO (ARS Abruzzo)
A dispetto del titolo apparentemente giocoso, la questione è terribilmente seria. Qualcuno infatti, e stiamo parlando di voci autorevoli della nostra storia repubblicana, già molti decenni orsono ci mise in guardia da quel che oggi si sta concretizzando sotto i nostri occhi. I passi che di seguito saranno riportati potrebbero disorientare alcune sensibilità legate ad una certa cultura politica, proprio in considerazione di coloro che li enunciarono. Ma la storia deve essere conosciuta, ed essa rivela un passato animato da statisti pienamente coscienti del valore della sovranità. Alla luce di quanto sta accadendo oggi, certamente impressiona la lucidissima consapevolezza storica di quegli uomini, a maggior ragione se paragonata a quella di coloro che dovrebbero esserne oggi considerati politicamente gli eredi.
Cominciamo da qui. Era il 30 novembre 1948, l’Italia sarebbe entrata di lì a poco nell’alleanza atlantica e il socialista Pietro Nenni presentava alla Camera una mozione contro la partecipazione italiana ai patti militari in formazione. Durante il dibattito che seguì, egli si scagliò con queste parole contro i progetti di federazione europea e di Patto atlantico:
…che ognuno si assuma le sue responsabilità senza voti platonici, senza evasioni sul giardino d’infanzia delle illusioni federaliste… Apriamo una carta geografica. Onorevoli colleghi, cosa è l’Unione europea di cui parlano Churchill, De Gasperi e purtroppo anche Léon Blum? È la Germania alla testa dell’Europa… Onorevole Sforza, noi saremo isolati, e nel modo più completo, il giorno in cui saremo o nel Patto di Bruxelles, o nel Patto atlantico, o in quello mediterraneo, o nell’Unione europea; allora saremo isolati, e non oggi, che conserviamo una certa possibilità di manovra. Quando avrete concluso l’alleanza, forse qualcuno ripeterà col Di Robilant del 1887: «Adesso l’Italia è in una botte di ferro». E non saremo, onorevoli colleghi, in una botte di ferro, saremo il vaso di creta che viaggia con i vasi di ferro: e non v’è bisogno di molta sapienza per sapere qual è il destino del vaso di coccio in compagnia dei vasi di ferro.
E ancora, concludendo il suo intervento, continuò ad attaccare con decisione
le illusioni federalistiche, che dovrebbero servire per portare la discussione nella stratosfera delle utopie. Il federalismo non è purtroppo una soluzione ma una evasione. È una fuga nell’astratto… Dobbiamo perciò avere il coraggio di prendere le nostre decisioni senza evadere dal reale nell’irreale. La decisione che noi proponiamo è di organizzare il Paese in libera democrazia autonoma…; creare le premesse di una possibile neutralità non assumendo impegni internazionali di carattere politico e soprattutto militare; mantenere relazioni amichevoli con tutti i Paesi dell’Europa e del mondo; intensificare gli scambi e i traffici con l’Ovest e con l’Est, col Nord e col Sud. Ciò non sarebbe l’isolamento dell’Italia ma il suo contrario1.
I socialisti, come si evince da queste parole, guardavano dunque con sospetto non soltanto l’adesione al Patto atlantico, ma anche ogni ipotesi di sviluppo federativo europeo. In altri termini, per loro l’Unione europea che veniva allora prefigurata non era altro che un velo dietro al quale si celava l’inesorabile colonizzazione dell’Italia. La politica da essi propugnata era pertanto fermamente ancorata al principio della difesa dell’interesse nazionale, ossia una politica libera da impegni internazionali di carattere politico e militare. Un elemento sul quale riflettere attentamente è quindi il seguente: nella visione fatta propria dal partito, la preservazione dell’interesse nazionale non appariva in alcun modo in contrasto con i principi internazionalisti del socialismo, in quanto
l’internazionalismo proletario – affermava Lelio Basso – non rinnega il sentimento nazionale, non rinnega la storia, ma vuol creare le condizioni che permettano alle nazioni di vivere pacificamente insieme2.
Questo legame tra Patto atlantico, progetto federativo europeo e perdita dell’indipendenza nazionale venne ulteriormente ribadito e sottolineato nel corso del dibattito che si svolse alla Camera dall’11 al 18 marzo del 1949. Polemizzando sulla definizione dell’Italia come Paese “atlantico”, Nenni stigmatizzava ironicamente il concetto con queste parole:
Si è scoperto che l’Italia è un Paese atlantico perché confina con la Francia, la quale ha una larga finestra aperta sull’Atlantico. Alla stessa guisa si potrà sostenere domani che l’Austria è un Paese atlantico perché confina con l’Italia, che a sua volta confina con la Francia. E in tale guisa si potrà fare il giro del mondo e battezzare atlantico tutto il mondo, mandando al diavolo le più elementari nozioni della geografia e della storia3.
Egli avrebbe poi ribadito con veemenza il pericolo che si profilava dietro le scelte che il governo stava allora avallando, ossia l’irrimediabile perdita di porzioni vitali della nostra indipendenza nazionale. In un intervento di elevatissima statura morale, Lelio Basso volle pertanto prendere posizione contro la necessità in quel frangente ritenuta imprescindibile di un’unione dei Paesi occidentali, rinsaldata attorno alla guida egemonica degli Stati Uniti in nome di una supposta quanto ipocrita formula della difesa della civiltà occidentale. Dure ma inequivocabili le sue parole:
Desidero anzi elevare da qui con tutta la massima energia la mia indignata protesta contro l’uso e l’abuso che si fa di questa parola «civiltà», adoperata da una classe che ha veramente rivelato il suo volto barbarico e incivile, una classe che non riesce a vivere se non gettando periodicamente il mondo nella guerra, una classe che non riesce a vivere se non provocando la miseria e la morte di decine di milioni di uomini, una classe che non riesce più a reggere civilmente le sorti del mondo4… .
Crediamo sia superfluo aggiungere commenti a margine. Stiamo parlando di uomini che hanno illuminato la nostra storia repubblicana ai suoi albori e che oggi sono colpevolmente ignorati.
Note
1 Dal dibattito sulla mozione presentata alla Camera dei Deputati da Pietro Nenni (Psi) in data 30 novembre 1948, tratto dai resoconti stenografici consultabili sul sito ufficiale della Camera all’indirizzo:
http://legislature.camera.it/_dati/leg01/lavori/stenografici/sed0143/sed0143.pdf.
2 Da un intervento di Basso nel corso del dibattito sulla ratifica dello Statuto del Consiglio d’Europa e dell’Accordo relativo alla creazione della Commissione preparatoria del Consiglio d’Europa (firmati a Londra il 5 luglio 1949). In D. Ardia, Il Partito socialista e il Patto atlantico, Franco Angeli, Milano, 1976, p. 204.
3 I momenti salienti del dibattito sono riportati nel volume di L. Cortesi – A. Liberti, 1949: il trauma della NATO, Edizioni Cultura della Pace, San Domenico di Fiesole, 1989. Il passo è citato a p. 57.
4 Ibidem, pp. 138-139.
Indubbiamente fa effetto leggere questi commenti, col senno di poi. Però… si riferiscono ad una fase storica decisamente diversa, e cioè alla contrapposizione USA/URSS ed alla nascita dei due blocchi contrapposti e alla costituzione della NATO (alla quale i partiti di sx italiani, all’epoca, erano ovviamente contrari). Non credo che Nenni avesse previsto che la NATO sarebbe diventata, dopo la dissoluzione dell’URSS, un’organizzazione che nulla aveva a che fare con gli scopi iniziali e atta ad invadere altri paesi molto lontani dall’Europa.