Dentro il popolo, per il popolo: la vita piena di una militanza
di Rossano Ferrazzano (FSI Lombardia)
Abbiamo consegnato i nostri volantini e scambiato opinioni appassionate con commercialisti spocchiosi che si dichiaravano di sinistra, antidemocratici, castristi ed oligarchici e spiegavano a noi che avevamo le idee confuse; vivacissime signore ottuagenarie memori della profonda dignità civile dei decenni del dopoguerra ed oggi convinte dalla tv che la colpa della decadenza italiana sia del ping pong fra camera e senato, ma ancora capaci di salutarci con un salatissimo “però mi ha inquietato lei!”; bancari colleghi di parenti che dopo averci conosciuto hanno preso i nostri volantini a mazzi e li hanno portati ai colleghi dentro gli uffici oltre le linee nemiche; gente disperata che rifiutava l’offerta del volantino quasi con le lacrime agli occhi senza poter sapere che proprio lì c’era la medicina che cercano da chissà quanto; attempate mitomani che ci hanno sequestrato per minuti e minuti raccontandoci dei loro rapporti platonici con famosi politici mentre ricchissime signore pazze di gelosia le seguivano per giornate intere con la scorta pagata dai contribuenti dal loro parrucchiere ed estetista di periferia; compagnie di ragazzi in parte mezzi ‘mbriachi e in parte del tutto ‘mbriachi che fortunatamente erano tutti per il NO con cui ci si è abbracciati calorosamente nel giro di venti secondi; ragazzi italiani appena ventenni dai tratti e accenti esotici che parlavano con passione di politica ripetendo i mantra della tv governativa, ascoltavano, ragionavano, mutavano gradualmente la loro posizione dal sì secco al “forse avete ragione voi” passando attraverso i tasti sensibili della sanità e dei diritti del lavoro; coppie borghesi di sessantenni esemplari per coscienza civile lui ormai disilluso e lei ancora capace di tensione e luce negli occhi con cui abbiamo reciprocato il rito di rinfocolare la speranza che sorge dal ritrovarsi in terra straniera con gente che torna a parlare la tua stessa lingua; corpulenti incravattati di dubbia eleganza che accoglievano con calore partenopeo il NO perché loro “sono con Abberluscone dal 1994 eh!”; coppie di ragazze ventenni che dicono che prendono un solo volantino tanto sono insieme e che dicono che no non sono sorelle, stanno proprio insieme facendo andare la punta dell’indice da un petto all’altro, con una solarità che solo dieci anni fa sarebbe stata impossibile anche nei film ambientati in Norvegia; osti che ci servono una pinta di imperial stout per fare rifornimento, ci parlano dei loro guai attuali, di quanto si lavorasse bene nei decenni scorsi e si prendono i volantini da esporre alla cassa perché domenica è un giorno importante; ragazzi venticinquenni freschi di laurea in economia che si succhiano la nicotina dai vaporizzatori al gelo della notte che si fermano a parlare per un’ora secca partendo da posizioni dubbiose e implicito europeismo finendo con il chiedere i contatti facebook perché voteranno NO e vogliono sapere di più del partito; giovani ben vestiti che vedono il NO, rifiutano sdegnosi e rispondono all’invito sorridente di informarsi di più con un nevrotico “si informi lei” mentre già hanno cominciato a fuggire; vecchi compagni di liceo con cui si diceva a sedici anni “qua fondiamo un partito e li sistemiamo tutti ‘sti cazzoni del governo” che oggi lavorano in banche di investimento svizzere che mandano foto di pranzi executive a Milano e dicono che votano sì convinti perché non si può mica stare a perdere tempo a sentire tutti i cazzoni che stanno al mondo; gruppetti di settantenni con la faccia da amici miei che ci mettono in mezzo pensando di avere trovato un modo insperato di farsi due risate e se ne vanno via seri seri e gentili come non gli capitava da chissà quanto; tanta gente normale che ci risponde sì grazie e no grazie con una smorfia o con un sorriso.
Abbiamo passato una giornata e una nottata intera a toccare il corpo dolente, irriflessivo, dignitoso, delirante, delicato, tronfio, umiliato, allegro, assetato, intossicato, infine vivo di questo nostro paese, di un popolo che non è affatto quella massa informe, insulsa, immota ed amorale che ci viene continuamente proiettata davanti per convincerci ad identificarci con essa, di un popolo che è insieme peggiore e migliore di quello che si immagina fino a che non si allunga una mano per toccarlo, e che per questo ha ancora una capacità di reazione forte, forse anche dissennata, ma che non è finito, come non è finita la storia e l’ultimo uomo è ancora di là da essere concepito.
È la prima volta che passo per un’esperienza non solo politica, ma ancora prima umana e psicologica come questa, e percepisco nettamente che qualcosa sia cambiato. Se hai in mente o anche solo sulla lingua di essere parte di un partito popolare, hai voglia a leggere Marx e Gramsci: fino a che non tocchi con la tua mano il tuo stesso popolo non potrai mai capire il senso reale di quello che dici. Ed è anche un banco di prova indispensabile: se non ami il tuo popolo non potrai mai fare politica popolare perché essa richiede sacrifici anche gravi, e solo dopo averlo toccato nella sua parte migliore come in quella peggiore, soprattutto solo dopo avere accettato che di esso fa parte anche quella peggiore, sarai in grado di fare qualcosa di concretamente utile per esso.
Morale di oggi: Francis Fukuyama era un cazzaro, e la militanza politica restituisce la vita piena che non si immagina più di poter vivere, in mezzo alla gente, in mezzo al proprio popolo.
Il contatto con la realtà è sempre un’esperienza positiva, come positivo è il confronto con chi non la pensa come te o la collaborazione con chi pur avendo idee un po’ diverse concorda su obiettivi importanti.Lo studio è utile per capire meglio la realtà , ma se non verifichi quanto studi resterà sempre un’esperienza parziale col grosso rischio di commettere gravi errori di valutazione.Approssimato e non corretto il giudizio su Fukuyama, non era un cazzaro era uno che consapevolmente aveva scelto un’altro mestiere, quello di raccontare cose utili a chi gli portava fama e carriera.