Comunità e territorio: il quadro storico-normativo (Allegato del documento sulla programmazione urbanistica)
di Rosa Spadafora
Nel periodo successivo all’unificazione nazionale, lo stato emana leggi atte ad unire culturalmente e amministrativamente il paese: si vuole in questo modo affermare la presenza dell’apparato pubblico nel territorio. Vengono realizzate così tutta una serie di strutture e servizi pubblici, come caserme, sedi dell’amministrazione pubblica, acquedotti e ferrovie. Di seguito sintetizziamo le normative, emesse o solo proposte, e i momenti più significativi dall’unificazione nazionale.
- Legge 20 marzo 1865, n. 2248, primo atto legislativo avente riferimenti urbanistico-edilizi per l’unificazione amministrativa del Regno che nell’allegato A) prevedeva la facoltà per i Consigli Comunali di deliberare sui “regolamenti di igiene, edilità e polizia locale”. Il successivo Regolamento di attuazione di tale legge, il D. 8 giugno 1865, n. 2321 individuava “i piani regolatori dell’ingrandimento e di livellazione, o di nuovi allineamenti delle vie, piazze o passeggiate”.
- Legge 25 giugno 1865, n. 2359 sulle espropriazioni per causa di pubblica utilità, contiene norme che disciplinavano l’esproprio per causa di pubblica utilità. (1)
- dal 1865 al 1942, i Regolamenti Edilizi Comunali svolsero un ruolo sostitutivo dei piani di natura urbanistica. Infatti, spesso integravano le norme più propriamente edilizie con prescrizioni di zonizzazione del territorio comunale. (2)
- “legge Luzzatti” del 1903 sull’edilizia popolare, che prevede crediti agevolati, in particolare alle cooperative, per la costruzione di case popolari.
Vale la pena riportare qua l’esempio virtuoso del sindaco di Roma, Ernesto Nathan, il quale riqualificò il quartiere Testaccio, riprendendo gli studi di Domenico Orano, proto-sociologo fondatore del Comitato per il Miglioramento Economico e Morale di Testaccio. Orano riteneva “dannosa la pianificazione di quartieri socialmente disomogenei, perché favorivano l’innalzamento e il consolidamento di barriere classiste, rallentando il processo di integrazione urbana dei ceti subalterni”. Secondo Orano, “il contatto fra le varie classi sociali vale non solo ad abbattere certe barriere morali, ma può avere un’influenza benefica sulle condizioni economiche e intellettuali in genere del popolo”. (3) Non è dunque un caso se, a cento anni di distanza, ci troviamo a parlare di edifici che, pur essendo nati come popolari, oggi risultano tra i più richiesti dal mercato immobiliare, che li considera alla stessa stregua del centro storico.
- Legge n. 1150 del 17 agosto 1942, senza dubbio la principale legge urbanistica a livello nazionale, tassello fondamentale nella storia urbanistica del nostro paese e all’avanguardia per i tempi in cui è nata, e figlia dei diversi congressi internazionali di architettura moderna dell’epoca (CIAM), in particolare quello di Atene del 1933, nel quale i principi enunciati erano abitare, lavorare, divertirsi e spostarsi, ovvero le quattro funzioni umane da armonizzarsi al fine di migliorare le condizioni di esistenza nella città moderna. (4)
- Legge 1402 del 1951, che prevedeva, per molti Comuni colpiti dalla guerra, l’obbligo di adottare entro tre mesi un “piano di ricostruzione”; (5)
Nel 1951 viene anche fondata Italia Nostra, con l’obiettivo della conservazione e della tutela dei centri storici e degli ambienti naturali.
Negli anni ‘60 lo sviluppo industriale del paese si consolida, e l’Istituto Nazionale di Urbanistica, I.N.U., fondato nel 1930 per promuovere gli studi urbanistici e edilizi e diffondere i principi della pianificazione e di cui anche Olivetti nel 1950 ne fu presidente, presenta una proposta di riforma, il cosiddetto “codice dell’urbanistica”. Si auspica l’istituzione delle Regioni e si tenta di integrare la pianificazione urbanistica con la programmazione economica, di cui già si comincia a parlare. Furono bocciate e/o ignorate tre valide proposte (soprattutto la prima) di riforma in senso sociale:
- Disegno di Legge Sullo, n.167, proposta per favorire l’acquisizione di aree fabbricabili per l’edilizia economica popolare dove il PRG doveva essere attuato per mezzo di Piani Particolareggiati. (6)
- Proposta Pieraccini (primo governo Moro), ove si conserva il principio dell’esproprio generalizzato, ma l’indennizzo invece di essere pari al prezzo agricolo viene rapportato al valore di mercato del 1958. (7)
- Progetto di Legge del ministro Mancini (in seguito agli accordi per la formazione del secondo governo Moro): l’indennità di espropriazione viene valutata in base alla Legge del 1865. Anche questa proposta non arriverà mai in Parlamento.
Nel 1960, in forma di prevenzione, e in difesa del paesaggio e dei centri storici, viene presentata anche la Carta di Gubbio, dichiarazione dei principi sulla salvaguardia ed il risanamento dei centri storici. (8) Il testo non potrebbe essere più attuale, visto il risultato ottenuto dall’opera di de-pianificazione e svendita del territorio dovuta ad anni di de-regolamentazione.
Nello stesso periodo si iniziava anche a criticare il carattere univocamente prescrittivo, conformativo e poco “programmatico” del PRG, che comporta una rigidità intrinseca dello strumento urbanistico. La crisi e l’inefficacia del modello di piano derivato dalla l. 1150/42 è riconducibile, secondo gli urbanisti del tempo, sia all’inadeguatezza e alla rigidità del piano regolatore rispetto alla complessità delle trasformazioni della città e sia all’impraticabilità del modello di attuazione del piano basato sull’esproprio (è doveroso citare anche le due sentenze della Corte Costituzionale: 1) la n. 22 del 1965, la quale dichiara illegittimo il sistema di indennizzo delle aree da espropriare in quanto l’indennità doveva costituire un “serio ristoro”; 2) la n. 55 del 29.5.1968, la quale invalida gli artt. 7 e 40 della Legge 1550/42 in quanto non stabilivano una data certa per quei vincoli aventi un contenuto espropriativo rimandandola a tempo indeterminato).
I comuni nel frattempo non sono riusciti ad espropriare o ad acquisire che una minima parte delle aree necessarie per i servizi, mantenendo in tal modo aperta la disparità di trattamento tra i proprietari e lasciando crescere le città senza servizi.
Dalla fine degli anni Sessanta alla fine degli anni Ottanta si susseguono una serie di leggi e/o modifiche, varianti e integrazioni che rimarranno nella storia:
- Legge “Ponte” n. 765/67 – nata in seguito della pubblica indignazione per le speculazioni edilizie (culminate con la frana di Agrigento del 1966), che avrebbe dovuto costituire un tramite tra la vecchia Legge del 1942 e la futura riforma urbanistica. (9). Durante il dibattito parlamentare, per evitare di scoraggiare l’attività edilizia, passa un emendamento che rinvia di un anno le limitazioni, il cosiddetto “anno di moratoria della Legge Ponte”. La conseguenza è che dall’1/9/67 al 31/9/68 l’Italia è ulteriormente inondata di licenze, vengono approvati 8.500.000 di vani residenziali, quasi il triplo della media annuale di vani autorizzati nel decennio precedente.
- legge 13 novembre 1968, n. 1187 – la cosiddetta “legge tappo“, con la quale si stabilisce che le previsioni di PRG aventi contenuto espropriativo cessano di aver vigore qualora entro 5 anni dall’approvazione del PRG medesimo non siano approvati i relativi piani particolareggiati o autorizzati i piani di lottizzazione convenzionata.
- legge n.865 del 1971 – detta “legge sulla casa”, con modifiche ed integrazioni alla 167 sull’espropriazione per pubblica utilità. (10)
- DPR 8 del 15 gennaio 1972 – con l’Istituzione delle Regioni, quest’ultime ereditano dallo stato centrale quasi tutti i poteri urbanistici.
- Legge n.10 (Bucalossi) del 28 gennaio 1977, sul nuovo regime dei suoli – esce dopo una gestione lunga e contrastata. viene realizzato, attraverso l’istituto della concessione edilizia onerosa, lo scorporo del diritto di proprietà dal diritto di edificare (per porre fine al problema aperto dalla sentenza n.55 della Corte Costituzionale del 1968) per effetto della quale spetta all’autorità pubblica il potere di concedere al proprietario l’uso del suolo. Si passa quindi dalla licenza alla concessione.
- Legge n.392/78, “Disciplina delle locazioni degli immobili urbani” – il cosiddetto equo canone.
- Legge n. 457 del 5 agosto 1978, “Norme per l’edilizia residenziale” – che prevede un titolo apposito sul recupero, con l’istituzione delle Zone e dei Piani di Recupero, di iniziativa privata ed anche pubblica, nonché procedure per accelerare il rilascio delle concessioni.
- legge n. 1 del 1978, relativa alle Opere Pubbliche – che rende più snella la loro realizzazione qualora vadano in variante ai PRG ma siano collocate su aree già destinate a servizi dal Piano.
Negli anni Ottanta il predominio delle politiche liberiste nel contesto globale, aiutate in patria anche dall’insoddisfazione di alcuni urbanisti verso i PRG, favorisce la politica della deregulation. Da un’indagine del Ministero dei LL. PP., condotta nell’84, si constata che solo in quell’anno si è verificata una produzione di circa 200.000 alloggi abusivi, la stessa quantità prodotta nell’intero decennio precedente; si comincia a sentir parlare di “Urbanistica contrattata“, “meno Stato e più mercato“, “più progetti e meno piani“.
In questi anni si moltiplicano anche i decreti e le leggi su varie tematiche inerenti l’ambiente, come ad esempio i vari Piani Paesistici, e in un paese sempre più congestionato di macchine emerge, soprattutto nelle aree metropolitane, la questione del traffico e dei parcheggi.
Nel 1980 la Corte Costituzionale dichiara” illegittimo il sistema di indennizzo previsto dall’art. 16 della Legge n.865, modificato dall’art. 14 della Legge 10 Bucalossi.”. La sentenza giudica il sistema del valore agricolo un indennizzo irrisorio, in contrasto all’Art. 42 della Costituzione.
- Legge n. 47 del 1984 – Primo condono edilizio nato per sanare il disavanzo del pubblico erario sfruttando l’abusivismo ma che ottenne l’effetto opposto.
- Legge n. 431 del 1985 (legge Galasso) – che “impone alle Regioni di sottoporre a specifica normativa d’uso e valorizzazione ambientale il proprio territorio attraverso la redazione di Piani Paesistici da approvarsi entro il 31 dicembre 1986. (11)
- Legge n. 349 del 1986 – con la quale viene istituito il Ministero dell’Ambiente e poco dopo, nell’88, esce un Decreto della Presidenza del Consiglio dei Ministri che impone la preventiva Valutazione di Impatto Ambientale per le grandi opere (dighe, autostrade ecc.).
- Decreto legislativo n. 490 del ’99 – con il quale viene approvato il Testo Unico delle disposizioni legislative in materia di beni culturali e ambientali che assorbe le vecchie leggi del ’39 n. 1497 e 1089.
Il piano, in quanto tale, viene sempre più criticato e aggredito quale strumento burocratico rigido, incapace di misurarsi con la realtà fisica e di dare ordine alla trasformazione della città e del territorio, e vengono così artificiosamente contrapposti interventi tampone attraverso le varianti di piano, che perseguono interessi particolari e personalistici, portando ad operazioni urbanistiche che stimoleranno ulteriormente l’espulsione industriale e favorendo il recupero degli interstizi urbani con interventi “tesi a valorizzare la rendita fondiaria di alcune aree particolari su cui giocano interessi speculativi”, anche tramite la localizzazione di attività terziarie. Le varianti, nate con la scusa di risolvere il problema della rigidità del piano, hanno finito in realtà per stravolgerlo attraverso l’esclusivo utilizzo del progetto che sotto la veste accattivante della morfologia, cela invece interessi prettamente economici. La polemica finirà per porre l’architettura contro l’urbanistica, creando una ingiustificata rivalità tra le due discipline.
In questo filone edilizio derogatorio vengono accelerate le procedure di approvazione dei Piani Attuativi e con un decreto legislativo (DPR 80 del 98) si arriva a prevedere che sia direttamente il giudice amministrativo e non più quello civile a definire il danno (del privato) in materia urbanistica. Negli anni ‘90 si parla anche con più insistenza di riforme in senso federale.
– Legge n. 142 del 1990 – che “prevede la formazione delle aree metropolitane e procedure di Accordo di Programma tra Enti anche in variante ai PRG”.
– Legge n. 241 del 1990 – denominata “della trasparenza amministrativa” che “norma il diritto di accesso ai documenti amministrati e le forme di partecipazione ai procedimenti, anche se ne esclude la possibilità (art.13) per quegli atti aventi natura urbanistica”.
– Legge Bassanini n. 127/97 – che prevede, tra l’altro, “incentivi per la progettazione urbanistica interna agli enti, allineandola a quella prevista per le opere pubbliche con la legge n.109 del 94 (Merloni)”.
Gli anni Ottanta sono anche caratterizzati dall’”urbanistica contrattata”, figlia delle politiche neoliberiste e a tutela solo del più forte, e il cui termine viene per la prima volta utilizzato dall’urbanista Vezio De Lucia (1988, bollettino n. 255, contro la lottizzazione della Piana di Castello a Firenze)
Si tratta della pratica affermatasi dagli anni 1980 e che vede sostituire gli atti autoritativi della pianificazione tradizionale dagli atti negoziali con attori privati; distorsione totale del concetto di pianificazione pubblica e inizio di svendita della città e dei suoi territori. La realtà è quella di amministrazioni pubbliche deboli e interessate solo agli interessi speculativi permeati dal pretesto del modernismo più becero. Amministrazioni che per andare incontro a tali interessi arrivano a cancellare norme di salvaguardia dei centri storici invece di tutelarlo.
Dopo lo slancio positivo del decennio riformista che aveva visto il tentativo della legge Sullo sulla “regolamentazione della rendita fondiaria urbana” (1962), la legge Ponte (1967) e la legge sugli standard urbanistici (1968), il paese comincerà a essere interessato dal più disastroso impatto urbanistico e ambientale di tutti i tempi. Dal 1985 a peggiorare la situazione i tre condoni edilizi (1985, 1997,2003) che lasceranno sul territorio, soprattutto nel centro-sud, migliaia di sfregi edilizi, corruzione e connivenza mafiosa. Di questi uno dei casi più gravi è quello di Roma dove le amministrazioni Veltroni e Rutelli, per coprire operazioni di Perequazione e Compensazione urbanistica (12), legittimano i cosiddetti Diritti Edificatori (13).
Negli anni Novanta l’urbanistica contrattata e i suoi sviluppi, hanno avuto, ed hanno tutt’ora, conseguenze a dir poco fallimentari sulla qualità urbana e sull’economia sociale delle nostre città, ma altre iniziative legislative degli ultimi anni si sono mosse nella stessa direzione, ad esempio il noto “Piano Casa”: la DE-REGOLAZIONE in ambito urbanistico e edilizio è diventato l’obiettivo centrale degli ultimi governi i quali hanno usato l’alibi della “crisi economica” per il rilancio, spesso in forme incostituzionali, di un’economia del mattone primitiva e distruttiva del territorio. Il paese si trova a vivere una situazione paradossale che vede l’assoggettamento del pubblico alle richieste del privato, mascherato dall’opacità di pratiche di pianificazione e destinato ad annullare qualsiasi visione complessiva e coerente di disegno urbano. Possiamo definire l’insieme di tali pratiche con il termine di urbanistica incostituzionale.
Riflettere oggi su una possibile ed eventuale riforma urbanistica porta assolutamente alla necessità di misurarsi con le conseguenze che la riforma del Titolo V della Costituzione ha determinato nel nostro ordinamento giuridico. Con la riforma del Titolo V, la materia “urbanistica” è stata compresa nella più ampia materia del Governo del Territorio, materia alla cui definizione Stato, Regioni ed Enti locali, Comuni, Province e Città metropolitane, in posizione equi ordinata, concorrono, acclarando l’interesse generale sotto slogan quali: “responsabilità”, “autonomia”, “sussidiarietà”.
Negli anni Novanta e a scala comunale si impongono anche i piani per contenere le forme di inquinamento in ambito urbano (che rimarranno per lo più teoria su carta): Piani di risanamento acustico (L. 447/95), energetici comunali (L. n. 10/gennaio 1991) e per il traffico (D. Lgs. n. 285 del 30 aprile 1992). E nel 1992, dopo la Conferenza ONU su Ambiente e Sviluppo tenutasi a Rio de Janeiro, 178 governi di tutto il mondo, tra cui l’Italia, hanno adottato l’Agenda 21, un documento di intenti per la promozione di uno sviluppo sostenibile che tenendo conto degli aspetti sociali, ambientali ed economici può cogliere anticipatamente eventuali elementi di incompatibilità esistenti tra le attività socio-economiche e le politiche di protezione e salvaguardia dell’ambiente.
Sempre più insistentemente, si parla anche della necessità della riforma costituzionale e accanto ad essa riemerge nuovamente il problema della riforma urbanistica, anticipata dall’INU (XXI congresso di Bologna del 1995) con la proposta di “formare Piani Strutturali e Piani Operativi basati su sistemi di perequazione e di compensazione, piuttosto che sull’esproprio generalizzato”. (14)
Il processo si conclude con la pubblicazione del Testo Unico sull’ordinamento degli Enti Locali e cioè col DPR n. 267 del 7 dicembre 2000.
Di recente, tra i vari tentativi di mettere ordine nel caos della legislazione urbanistica, vi sono stati:
– Proposta di Legge Realacci del 2013, “Norme per il contenimento dell’uso di suolo e la rigenerazione urbana” – la quale si rifà alle proposte per i punti fondamentali dell’Agenda urbana italiana (nate dall’incontro dell’Intergruppo Parlamentare con l’allora Presidente del Consiglio dei ministri Mario Monti e il Ministro per la coesione territoriale Fabrizio Barca, il quale fu anche delegato a presiedere il Comitato Interministeriale per le Politiche Urbane (CIPU) istituito con l’articolo 12-bis del decreto-legge 22 giugno 2012, n. 83), il primo dei quali è proprio il contenimento del consumo del suolo e la riqualificazione urbana. (15)
– Disegni di Legge Puppato del 2014 – in continuità con la precedente proposta di Realacci e “orientati alla riconversione ecologica delle città e limitazione del consumo di suolo”.
I tentativi rimangono tali, e l’attualità vede protagonisti termini quali: ECO – SOSTENIBILITA’ AMBIENTE – RIGENERAZIONE E RIQUALIFICAZIONE URBANA, sui quali si spendono fiumi di ricerche, tesi, convegni, e manifesti, quasi a svuotarli di ogni reale significato.
Per concludere questo sintetico percorso storico, nella “moderna” Urbanistica la potestà normativa prevalente diventa REGIONALE, e viene abbandonato il concetto di esproprio generalizzato a vantaggio della perequazione e compensazione urbana i cui strumenti giuridici di supporto sono i diritti edificatori e che di fatto rendono più semplice la speculazione edilizia e l’urbanistica contrattata. Si moltiplicano le sigle dei piani in palese sostituzione del Prg: Ps, Psc, Puc, Pat, Pgt, Po, PocC, PolT, Pi, Pau, Prcp, Puo, PA, Pud, Pac, Ptcp, Ptp, Pup, Ppsct, quasi a formare una nuova lingua. Se l’urbanistica è “la concretizzazione e rappresentazione materiale e morfologica nel territorio della politica, ossia render visibile la propria idea di convivenza civile che si esprime attraverso il diritto cittadino, la situazione oltre che tragica è anche seria!” (CIT.)
URBANISTICA, PAESAGGIO E PATRIMONIO STORICO E ARTISTICO NELLA COSTITUZIONE, NELLA RIFORMA COSTITUZIONALE 3/2001 E NELLA NORMATIVA COMUNITARIA
Il principio su cui si basa l’impianto generale della legge urbanistica 1150 del 1942 è quello per cui “non può darsi condizionamento di interessi privati all’impulso della pianificazione territoriale”, principio che verrà ripreso e sottolineato dai due urbanisti che parteciparono, in qualità di membri effettivi, agli immensi lavori della Costituente, il dott. ing. Arch. Mario Pucci e dott. ing. arch. Florestano Di Fausto.
A loro si deve l’intuito dell’introduzione della materia urbanistica nell’art. 117 della Costituzione, parte del più ampio Titolo V con la quale invece la recente riforma del 2001 legittima, nell’indifferenza generale, la modalità di un’urbanistica contrattata e la cui ulteriore conferma si trova nell’esclusione dell’art. 13 della legge 241 per gli atti di pianificazione, normativi e generali.
Vediamo nello specifico come vengono intesi la pianificazione urbanistica e le tematiche ad essa collegate nella Costituzione e nelle modifiche della Riforma Costituzionale del 2001.
Dalla Costituzione della Repubblica Italiana del 1948:
- 9 – La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione;
- 41 – L’iniziativa economica privata è libera. Non può svolgersi in contrasto con l’utilità sociale o in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà, alla dignità umana. La legge determina i programmi e i controlli opportuni perché l’attività economica pubblica e privata possa essere indirizzata e coordinata a fini sociali;
- 42. “La proprietà è pubblica o privata. I beni economici appartengono allo Stato, ad enti o a privati.
La proprietà privata è riconosciuta e garantita dalla legge, che ne determina i modi di acquisto, di godimento e i limiti allo scopo di assicurarne la funzione sociale e di renderla accessibile a tutti.
La proprietà privata può essere, nei casi preveduti dalla legge, e salvo indennizzo, espropriata per motivi di interesse generale…” (16); - 44 – Al fine di conseguire il razionale sfruttamento del suolo e di stabilire equi rapporti sociali, la legge impone obblighi e vincoli alla proprietà terriera privata fissa limiti alla sua estensione secondo le regioni e le zone agrarie promuove ed impone la bonifica delle terre la trasformazione del latifondo e la ricostituzione delle unità produttive; aiuta la piccola e la media proprietà.
La legge dispone provvedimenti a favore delle zone montane; - 117 – “La Regione emana per le seguenti materie norme legislative nei limiti dei principi fondamentali stabiliti dalle leggi dello Stato, sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre regioni:”. Tra le materie di nostro interesse troviamo:
- Urbanistica;
- Viabilità, acquedotti e lavori pubblici di interesse regionale.
(Le leggi della Repubblica possono demandare alle Regioni il potere di emanare norme per la loro attuazione)
Dalla Riforma Costituzionale del 2001:
- Per quanto riguarda l’espropriazione, è oggi disciplinata dal P.R. 8 giugno 2001, n. 327 (Testo Unico sulle espropriazioni per pubblica utilità). Tuttavia, l’intera materia ha subito un iter travagliato, in particolare in relazione allo stesso concetto di espropriazione ed all’indennizzo da corrispondere. (17).
- 117 modificato l. Cost. 3/2001 – “La potestà legislativa è esercitata dallo Stato e dalle Regioni nel rispetto della Costituzione, nonché dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario e dagli obblighi internazionali.”
Lo Stato ha legislazione esclusiva nelle seguenti materie:” Quelle che riguardano il territorio sono:
- s) tutela dell’ambiente, dell’ecosistema e dei beni culturali.
Sono materie di legislazione concorrente, tra Stato e Regioni, quelle relative a:
- governo del territorio;
- valorizzazione dei beni culturali e ambientali e promozione e organizzazione di attività culturali.
La costituzione del 1948 stabiliva le materie per le quali le regioni avevano potestà legislativa, “sempreché le norme stesse non siano in contrasto con l’interesse nazionale e con quello di altre Regioni”. Col federalismo il rapporto si inverte e le Regioni possono legiferare in tutte le materie, eccezion fatta per quelle attribuite alla competenza esclusiva dello Stato centrale, elencate nell’articolo 117 modificato, ed in cui sparisce il paragrafo prima citato del vecchio articolo. Molte competenze tuttavia rientrano tra le materie di legislazione concorrente, che “spetta alle regioni, salvo che per la determinazione dei principi fondamentali, riservata alla legislazione dello Stato.
Nella normativa comunitaria non si parla di pianificazione urbanistica ma di “pianificazione sostenibile del territorio” e di “pianificazione ambientale”. Di fatto viene messo l’accento soprattutto sulle caratteristiche ambientali, convogliando discipline che fino ad ora erano rimaste su piani di ricerca specifici seppur dialogando tra di loro e, più che di normative, nei documenti dell’Unione Europea si parla di manifesti e programmi di “eco-sostenibilità-ambientale” come ad esempio i cosiddetti manifesti della “Green economy”
L’Unione Europea, in pratica, non gode di una competenza esclusiva né tantomeno concorrente in materia urbanistica, tuttavia ciò non significa che i suoi principi non siano intervenuti sulla legislazione nazionale e sull’operato delle pubbliche amministrazioni.
Lo spazio occupato dal diritto comunitario è aumentato in modo considerabile dal 1992. Nel caso del diritto urbanistico, la forza espansiva si è avuta con le politiche europee sui trasporti, sulla coesione economica e sociale e, in maniera più consistente, con la politica ambientale e la coesione territoriale. Così afferma l’amministrativista Bruno Barel: “si è venuto così a formare un contesto normativo sovrannazionale che ha progressivamente ristretto e condizionato l’area tradizionalmente propria della legislazione italiana, statale e regionale, dedicata all’urbanistica e, nella sua declinazione più recente, al governo dell’uso del territorio.” (18)
A nostro avviso, l’allontanamento della pianificazione urbana dal modello costituzionale italiano arriva soprattutto dall’applicazione di alcuni principi del diritto europeo. Nell’urbanistica rileva in maniera preponderante il rapporto fra la proprietà e gli atti amministrativi di pianificazione del territorio ed è proprio su questo terreno che si stagliano due diverse concezioni di proprietà: l’una espressa nell’articolo 42 della Costituzione, l’altra nei trattati europei. Nel testo costituzionale si sottolinea la “funzione sociale”, si tutela l’espropriazione per pubblica utilità e si prescrive che si intervenga per rendere la proprietà “accessibile a tutti”. Nei trattati europei il riferimento alla proprietà si incontra nell’art. 17 della Carta di Nizza. Fin dalla rubrica, si esprime in maniera decisa la qualificazione della proprietà come diritto. Inoltre, l’espropriazione viene descritta a contrario, finendo per tutelare maggiormente il diritto all’indennità (“Nessuna persona può essere privata della proprietà se non per causa di pubblico interesse, nei casi e nei modi previsti dalla legge e contro il pagamento in tempo utile di una giusta indennità per la perdita della stessa.”). Non è una considerazione scevra di conseguenze perché si sceglie di favorire la rendita urbana. In più, alla luce di una consolidata giurisprudenza della Corte di Giustizia UE, la dimensione economica è fondamentale per la definizione del diritto di proprietà, arrivando a includerci il diritto all’iniziativa economica. Così l’utilità sociale perde d’importanza, tant’è che il pubblico interesse citato dall’articolo 17 si appiattisce sugli “obiettivi d’interesse generale perseguiti dalla Comunità” che corrispondono, in maniera preponderante, alla costruzione di un’”economia sociale di mercato fortemente competitiva” (19).
La diversa idea si concretizza in un più limitato intervento amministrativo limitativo del diritto di proprietà. Lo afferma la Corte di Giustizia, laddove invoca il principio di proporzionalità relativamente alla proprietà: “Ne consegue che possono essere apportate restrizioni all’esercizio del diritto di proprietà, purché tali restrizioni rispondano effettivamente ad obiettivi di interesse generale perseguiti dalla Comunità e non costituiscano, rispetto allo scopo perseguito, un intervento sproporzionato e inaccettabile che leda la sostanza stessa dei diritti così garantiti.” (20)
I vincoli che legano l’operato del pubblico e, di fatto, relegano i Comuni e la PA a un attore marginale della pianificazione urbanistica arrivano non solo da una cultura politica liberale diffusa, dai vincoli economici derivanti da Maastricht ma anche da un diritto europeo limitativo dei poteri nazionali.
NOTE:
- venivano definiti i beni oggetto di esproprio “indispensabili all’esecuzione dell’opera pubblica” (art.22), l’indennità di esproprio da corrispondere al proprietario, che “consisterà nel giusto prezzo che a giudizio dei periti avrebbe avuto l’immobile in una libera contrattazione di compravendita” (art.39). Venivano disciplinati i Piani regolatori edilizi, facoltativi per i comuni aventi una popolazione inferiore ai 10.000 abitanti, e i Piani di ampliamento, i quali, a differenza dei precedenti, si riferivano ad un territorio non ancora edificato e sul quale si prevedeva una futura attività edilizia. L’approvazione di tali piani “equivale ad una dichiarazione di pubblica utilità, e potrà dar luogo alle espropriazioni delle proprietà nel medesimo comprese” (art.92). L’attuazione di entrambi i piani doveva avvenire entro 25 anni.
- In generale la maggioranza delle amministrazioni locali preferì ricorrere allo strumento del Regolamento Edilizio piuttosto che al Piano Regolatore, fondamentalmente per due motivi: 1) impreparazione tecnica delle amministrazioni, incapaci di affrontare progetti urbanistici di sistemazione ed ampliamento degli aggregati urbani; 2) particolare gravosità dell’onere finanziario al quale le amministrazioni comunali sarebbero state esposte nell’espropriare gli immobili da demolire, ricadenti nel piano.
- All’epoca della costruzione del quartiere Testaccio, si fondò il principio di rafforzare le cooperative edili romane, di cui una buona parte era formata proprio tra gli stessi lavoratori del quartiere, piuttosto che affidarsi a grandi imprese private che avevano dalla loro disposizione di cospicue somme di denaro. Si decise di affidare a quelle cooperative la costruzione dei luoghi dove avrebbero dovuto vivere. La scelta dell’amministrazione socialista di affidarsi alle cooperative, intendeva dimostrare la possibilità concreta di creare, anche a Roma, un tessuto produttivo alternativo alle imprese private. Politicamente questo era anche un messaggio in risposta ai disastrosi effetti economici e sociali dovuti alla massiccia speculazione edilizia che aveva caratterizzato le precedenti amministrazioni clericali (uno dei primi argomenti di battaglia del Comitato per il Miglioramento Economico e Morale di Testaccio era stato il rifiuto categorico dell’assistenzialismo della Chiesa, poiché questo sistema obbligava il popolo ad una vita parassitaria di perenne dipendenza da essa). Questo criterio si dimostrò talmente valido che, dopo il Testaccio, venne adottato per tutti i quartieri realizzati dall’ICP. Il criterio equo e virtuoso sviluppato, consentiva una gestione del cantiere che ne velocizzava la costruzione, grazie alla frammentazione dei lotti ed alla concessione in appalto a differenti cooperative artigianali, gestite e controllate dall’ICP tramite l’Unione Edilizia Nazionale e il Comitato Centrale Edilizio, la costruzione di un lotto, o di un intero quartiere, poteva procedere contestualmente da direzioni opposte. Questo modo di procedere dell’ICP aiutava inoltre a ridurre il problema della disoccupazione, generando vasta manodopera. Tra l’altro, il fatto che i costruttori risultassero anche i consumatori del prodotto finito, alzava notevolmente il livello qualitativo finale. L’ICP fu smantellato 1926, dalla legge fascista “sui governariati”.
- Elemento cardine della disciplina urbanistica definita dalla 1150/1942 è il Piano Regolatore Generale (PRG) che considera la totalità del territorio comunale ed indica essenzialmente la rete delle principali vie di comunicazione stradali, ferroviarie e navigabili e dei relativi impianti, nonché la divisione in zone del territorio comunale con la precisazione delle aree destinate all’espansione dell’aggregato urbano e la determinazione dei parametri e dei caratteri da osservare in ciascuna zona (zonizzazione). Il piano deve inoltre localizzare le aree destinate a formare spazi di uso pubblico o sottoposte a speciale servitù (localizzazione) e individuare i vincoli da osservare nelle zone a carattere storico, ambientale e paesistico. Il piano deve inoltre contenere le norme per l’attuazione dello stesso. Le previsioni del PRG vengono attuate mediante piani particolareggiati e, in concreto, mediante i permessi di costruire (licenze), rilasciati generalmente in conformità a piani attuativi (piani di lottizzazione, piani di recupero, ecc.) di natura privata.
- attraverso successive proroghe, molti Comuni hanno potuto beneficiare di quel regime particolare fino agli inizi degli anni Ottanta.
- con prescrizioni a tempo indeterminato e nel cui ambito il Comune promuoveva l’esproprio di tutte le aree inedificate e delle aree già utilizzate per costruzioni, se l’uso in atto è sensibilmente difforme a quello del Piano Particolareggiato, per ricederle poi agli utilizzatori privati e pubblici a prezzi non speculativi. La proposta causerà moltissime polemiche che porteranno all’abbandono del progetto Sullo.
- Il diritto di superficie è abolito e sono esonerati dall’esproprio i progetti presentati prima del 12 dicembre 1963. Questa proposta di Legge cadde insieme al governo, e in tutta Italia verranno rilasciate in quel periodo valanghe di licenze edilizie.
- Nel testo si approva la necessità di una ricognizione e classificazione preliminare dei centri storici con l’individuazione delle zone da risanare e la necessità di considerare ciò come premessa allo stesso sviluppo della città moderna e che facciano parte dei Piani Regolatori Generali, o a seconda di come si chiamano, comunali, e come fase essenziale nella loro programmazione e attuazione.
- Cerca di portare un minimo di ordine nell’attività edilizia ed urbanistica, estendendo la formazione dei PRG e limitando fortemente l’attività edilizia nei Comuni sprovvisti. L’innovazione fondamentale riguarda i cosiddetti “standard urbanistici”, cioè la quantità minima di spazio che ogni Piano Regolatore deve inderogabilmente riservare all’uso pubblico e la distanza minima da osservarsi nell’edificazione ai lati delle strade, e la tutela dei centri storici.
- Il campo di applicazione dell’esproprio è molto vasto: riguarda l’acquisizione delle aree e degli immobili occorrenti alla realizzazione di edilizia sovvenzionata, delle aree comprese nei piani di 167, di quelle necessarie per la realizzazione di opere di urbanizzazione primaria e secondaria, nonché per il risanamento, anche conservativo, degli agglomerati urbani. L’indennità espropriativa non è più determinata in base al valore venale, ma secondo che le aree si trovino all’interno o all’esterno dei centri edificati, e viene commisurata al valore agricolo medio dei terreni, moltiplicata per coefficienti diversificati.
- In seguito alla direttiva CEE per cui il 26 novembre 1984 la Gazzetta Ufficiale pubblica il Decreto del Ministro dei Beni Culturali e Ambientali, inerente la “Dichiarazione di notevole interesse pubblico dei terreni costieri, dei laghi, dei fiumi, dei torrenti, dei corsi d’acqua, delle montagne, dei ghiacciai, dei circhi glaciali, parchi, riserve, boschi, foreste”
- La Perequazione Urbanistica E’ il sistema che determinerebbe l’uniforme distribuzione dei valori e degli oneri della trasformazione urbanistica del territorio tra tutti i titolari dei fondi interessati. L’intento iniziale era quello di ovviare a quelle che si presentavano come delle “criticità” della pianificazione tradizionale, in particolare per quanto riguarda la “zonizzazione”. La critica era quella che il costo di espropriazione di alcune aree e la valorizzazione di altre, da un lato deprezzare e dall’altro esaltare il valore di una proprietà, apparisse illogico e ingiusto, quando non addirittura arbitrario e contrastante con i principi di parità di trattamento. La zonizzazione, si diceva, non può non condurre a intollerabili disparità quindi la perequazione si propone, mediante attribuzione di un indice edificatorio omogeneo per ogni area, di superare questa situazione. Il sistema per superare questa situazione viene identificato nei Diritti Edificatori. Tutto ciò non può non originare significativi e preoccupanti interventi speculativi. Si pensi infatti al caso di un diritto edificatorio originato da una localizzazione periferica e che dunque avrebbe un prezzo non elevato, che venga successivamente “speso” in una localizzazione centrale o comunque di maggior pregio, è evidente che chi acquista con questo scopo è disposto a pagare il diritto edificatorio “periferico” ben al di sopra del suo valore, confidando di poterlo poi utilizzare a proprio vantaggio in un’area centrale. In questo modo, non solo si realizzerebbe un plusvalore ingiustificato, una sorta di “rendita differenziale” in grado di dare vita a un meccanismo speculativo a vantaggio di pochi, ma sono evidenti le possibili “pressioni” nei confronti dell’Amministrazione, affinché acconsenta ad “atterraggi” di diritti in volo da troppo tempo.
- I Diritti Edificatori sono gli strumenti per il cui tramite, una volta riconosciuti ai privati proprietari delle aree un pari diritto in astratto è possibile che gli stessi vengano a concretarsi in un ambito spaziale anche differente rispetto a quello legato alla proprietà del suolo. Una volta svincolato il diritto edificatorio dell’area, risulta possibile la cessione all’ente territoriale delle superfici funzionali a consentire la formazione dei servizi e delle zone di interesse pubblico senza che si vengano a creare espropriazioni. L’attività edificatoria potrà così essere espletata dai singoli proprietari sulle superfici indicate dal Comune in sede di pianificazione del territorio. La norma è quella dell’ 5, comma 3° del D.L. 70/2011, c.d. Decreto Sviluppo, convertito nella legge 106 del 12 luglio 2011, che ha inserito all’art. 2643, I comma del codice civile, il n. 2 bis, che prevede l’obbligo di trascrizione per “i contratti che trasferiscono, costituiscono o modificano i diritti edificatori comunque denominati, previsti da normative statali o regionali, ovvero da strumenti di pianificazione territoriale”, allo scopo di “garantire certezza nella circolazione dei diritti edificatori”, la quale sarebbe stata scritta per tipizzare un nuovo schema contrattuale diffuso nella prassi, ovvero la “cessione di cubatura” che la giurisprudenza di legittimità considerava contratto con effetti meramente obbligatori e dunque vincolante solo tra le Parti. In realtà, nulla poi viene detto con specifico riferimento alla cessione di cubatura, salva la previsione della sua trascrivibilità, mentre la norma che come è noto vive di “vita propria“, ha finito per innescare un dibattito e una serie di problematiche di grande rilievo. Lo scopo dichiarato del Legislatore era (ed è) quello di “garantire certezza ai trasferimenti che hanno ad oggetto diritti edificatori”. Questo significa: che è del tutto normale e usuale, per il Legislatore, che ci siano “diritti edificatori” e che questi “circolino”, indipendentemente dal suolo a cui inizialmente afferivano; che questa circolazione viene vista come un fenomeno positivo, a cui si vuole garantire “certezza”. che, in un solo colpo, “sdogana” (e legittima) molti degli istituti innovativi come la perequazione, la compensazione e la premialità che si fondano sulla costituzione, modificazione e trasferimento dei diritti edificatori e ciò fa non solo riferimento alla normativa nazionale, ma anche alla normativa regionale e perfino agli strumenti di pianificazione territoriale. Nell’Ordinamento giuridico fa dunque ingresso a pieno titolo e trova specifica legittimazione il “diritto edificatorio”, che “esprime in termini quantitativi, volumetrici o di superficie, la capacità edificatoria, ovvero la misura della trasformazione realizzabile e che ha la caratteristica di nascere per effetto della scissione tra la titolarità del fondo e l’esercizio dello jus aedificandi, (tradizionalmente afferente al fondo medesimo)”.Il diritto edificatorio, infatti, ha la peculiarità di essere sganciato dalla titolarità di un’area e di circolare indipendentemente da questa, potendo essere utilizzato anche tra comparti o aree discontinue e distanti tra loro. Va sottolineata la indubbia differenza con la preesistente fattispecie della “cessione di cubatura”, anche detta “asservimento di terreno a scopi edificatori”, che poteva realizzarsi solo tra fondi finitimi o contigui, o comunque previamente individuati ed aventi la medesima destinazione urbanistica. Con la cessione, infatti, il proprietario di un’area edificabile cede tutta o una quota della cubatura potenziale realizzabile sul proprio terreno a favore di un altro proprietario di un’area limitrofa anch’essa edificabile consentendo a quest’ultimo di realizzare (con la richiesta di apposito titolo abilitativo) una cubatura maggiore rispetto a quella cui avrebbe avuto diritto. E’ chiaro che tale pratica si caratterizzava per la sua portata limitata, essendo volto alla realizzazione di un determinato intervento in un determinato sito e per la scarsa o marginale incisività sull’assetto urbanistico complessivo. La caratteristica dei nuovi diritti edificatori è invece quella di “prescindere dalla contiguità delle aree cui afferiscono e non prevedere la necessità di compresenza tra un’area cedente e un’area cessionaria previamente individuate”. La differenza è sostanziale, in quanto è evidente che questo nuovo istituto consente la circolazione di un diritto di edificare per vie semplificate, scisso da un fondo, ma anche da una zona di riferimento previamente individuata. Vi sono tre tipi di diritti edificatori: diritti edificatori perequativi – nascono con il Piano e non è più vincolata a specifici ambiti ma viene estesa all’intero tessuto urbano e le aree di decollo e di atterraggio del diritto edificatorio non sono specificamente e previamente individuate. Tra perequazione urbanistica tradizionalmente intesa e perequazione attuata mediante la circolazione dei diritti edificatori la differenza è dunque significativa: se il fulcro della perequazione tradizionale è ravvisabile nel collegamento tra aree di decollo e aree di atterraggio all’ interno di un comparto urbanistico, la seconda, cioè attuata mediante la circolazione del diritto edificatorio, si limita a disciplinare il decollo e la possibile circolazione della volumetria edificabile, indipendentemente dall’esistenza di un comparto e di un’area di atterraggio previamente identificata. Sono evidenti le perplessità che una tale fattispecie può suscitare. diritti edificatori Compensativi – originano con la cessione di un’area da parte del proprietario, generalmente per la realizzazione di un’opera pubblica ed in alternativa all’ espropriazione ed al riconoscimento del’ indennità di esproprio. Al proprietario che spontaneamente cede la propria area si attribuiscono aree edificabili o, per l’appunto, diritti edificatori, cioè volumetrie realizzabili successivamente e altrove, secondo un modello già prefigurato dalla stessa Corte Costituzionale, nella nota sentenza 179/1999; diritti edificatori Premiali – nascono con la realizzazione dell’intervento urbanistico e costituiscono una sorta di scambio tra Amministrazione e privati, a fronte di alcune prestazioni eseguite, quali ad esempio il raggiungimento di certi requisiti prestazionali sotto il profilo energetico, sismico o a fronte della eliminazione di opere incongrue.
- Quest’ultima impostazione viene accelerata da un pronunciamento della Corte Costituzionale nel maggio del 1999, che, annullando alcuni articoli della vecchia legge del 42 e l’art. 2 della legge 1187/68, prevede che “il parlamento definisca le misure di indennità non irrisorie anche per la sola reiterazione dei vincoli preordinati all’esproprio”.
- Nel testo si evidenzia la “necessità di politiche pubbliche per una tutela attiva delle funzioni naturali svolte dal suolo, che sono la base per la strategia tematica per la protezione del suolo adottata dall’Unione Europea nel 2006. Propone misure destinate a proteggere il suolo e a preservare le sue capacità di svolgere le sue funzioni ecologiche, economiche, sociali e culturali e prospetta l’istituzione di un quadro normativo volto ad un uso dei suoli in modo SOSTENIBILE, integrazione della protezione del suolo nelle politiche nazionali e dell’Unione Europea e il rafforzamento delle conoscenze volte a una più sensibilizzazione del pubblico”.
- La “funzione sociale” dell’ 42, sarebbe espressione di più principi non solo, in senso lato, quello solidaristico (art. 2 Cost.) ma anche quello lavoristico (art. 4 Cost.) e di tutela del patrimonio storico ed artistico di cui all’art. 9 Cost.. ciò significa che limitazioni al diritto di proprietà possono fondarsi su esigenze diverse (un esempio ne è il d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, c.d. Codice dei beni culturali e del paesaggio). Di fatto, si ritiene oggi che non si possa parlare “della proprietà” bensì “delle proprietà” atteso che ne esistono diverse tipologie, accomunate solo dalla disciplina codicistica di base (art. 810 ss. c.c.). L’importanza della frase “allo scopo di assicurarne la ‘funzione sociale’ e di renderla accessibile a tutti”, si coglie se si considera che l’accessibilità a tutti della proprietà privata rappresenta una delle modalità con le quali si realizza il principio cardine di eguaglianza (art. 3 Cost.). A conferma di essa, inoltre, si noti come il costituente abbia previsto dei limiti all’estensione della proprietà terriera (art. 44 Cost.), nonché forme di tutela del risparmio teso a conseguire questo tipo di diritto (art. 47 Cost.). A livello di legge ordinaria si considerino, ad esempio, le normative che introducono misure di favore (come mutui agevolati) per l’acquisto della prima casa.
- Le maggiori problematiche dell’esproprio riguardano l’occupazione appropriativa (con la quale la Pubblica Amministrazione prima occupa un fondo e poi, realizzatavi un’opera di pubblica utilità non removibile, ne acquista la proprietà a titolo originario) e l’occupazione usurpativa (che si verifica quando, per varie cause, l’acquisizione è illegittima sin dall’inizio e non viene sanata). Mentre si è sempre ritenuto che la prima fosse legittima e la seconda non lo fosse, in seguito ad un contenzioso sviluppatosi davanti la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo si è affermato che entrambe queste forme di espropriazione non sono ammesse in quanto violano il principio di legalità di cui all’art. 1 del Protocollo alla CEDU. In ordine all’indennizzo sempre con il D.P.R. 327/2001 è giunto ad integrare i requisiti di “serietà, congruità ed adeguatezza” più volte richiamati dalla Corte Costituzionale, atteso che in passato si sostanziava in somme, di fatto, irrisorie.
- Bruno Barel, Scritti in onore di Luigi Manzi
- 3, TUE
- Sentenza 10/12/2002, causa C-491/01, CGUE
2 risposte
[…] attraversando varie vicissitudini, che intuiamo anche attraverso la lettura dell’allegato sul “Quadro storico normativo” e utile per introdurre il lettore alla comprensione della complessa materia della pianificazione […]
[…] attraversando varie vicissitudini, che intuiamo anche attraverso la lettura dell’allegato sul “Quadro storico normativo” e utile per introdurre il lettore alla comprensione della complessa materia della pianificazione […]