Abbiamo fatto austerità? Una pietra tombale sul dibattito
di SIMONE GARILLI (FSI Mantova)
Carlo Cottarelli è un economista neoliberale, e in quanto tale è un nemico, ma è una persona caratterialmente sincera e quindi utile da leggere per chi voglia capire come sono andate per davvero le cose negli ultimi dieci anni.
Quello nella prima foto è l’ultimo libro da lui curato. Già dal titolo si nota la postura religiosa del dibattito economico in Italia, postura che non accenna a moderarsi a undici anni dalla cosiddetta crisi.
A dimostrazione del fatto che non sarà la divulgazione apolitica e non saranno i moderatismi (magari travestiti da sovranismi) a cambiare i rapporti di forza, nemmeno nella sfera sovrastrutturale. Nel primo capitolo del libro, scritto dallo stesso Cottarelli, il tema è il solito: come ridurre e migliorare la spesa pubblica italiana. Cottarelli mette subito in chiaro le cose, sinceramente: la spesa pubblica italiana negli ultimi undici anni è scesa, molto.
Giustamente distingue tra spesa nominale e spesa reale, essendo la prima il livello di spesa espresso in euro correnti mentre la seconda il livello in euro reali, ottenuto depurando la dinamica di spesa dall’aumento dei prezzi accumulato nel frattempo. Per misurare se e quanta austerità abbiamo fatto è logico prendere a riferimento il secondo parametro, per la semplice ragione che l’austerità consiste nella riduzione della quantità di beni e servizi acquistati dalle pubbliche amministrazioni.
È ovvio che partendo da una definizione diversa di austerità si possa sostenere persino in sede accademica che l’Italia in questi undici anni abbia speso allegramente. È lo stratagemma dell’economista bocconiana Veronica De Romanis, la quale valuta la dinamica della nostra spesa nominale ignorando la spesa reale. Con i dati, per nulla oggettivi come si vorrebbe, si può fare tutto e il contrario di tutto. Onestà intellettuale vorrebbe però che le premesse metodologiche fossero esplicitate, come fa Cottarelli e come non fa la De Romanis, almeno nel dibattito pubblico.
Ebbene, Cottarelli il Sincero ci dice in sostanza cinque cose:
1) fino al 2010 la spesa reale è salita, aiutata dai bassi tassi di interesse che hanno caratterizzato la prima fase dell’euro
2) tra il 2008 e il 2010 il bilancio pubblico si è espanso per far fronte alla crisi del 2008, ed è salita non solo la spesa previdenziale-assistenziale (quella che cresce automaticamente quando aumenta la disoccupazione, in virtù degli ammortizzatori sociali che agiscono a legislazione vigente) ma anche il resto della spesa pubblica primaria (cioè al netto degli interessi sul debito, che Cottarelli mette da parte per facilitare l’analisi).
Insomma, il governo di centro-destra ha reagito nell’immediato con politiche keynesiane (foto 2)
3) dal 2010 la spesa reale ha cominciato a scendere a ritmi sostenuti, almeno fino al 2017.
Otto anni di austerità che non possono essere messi in discussione, salvo stratagemmi di cui sopra (foto 3)
4) l’austerità è stata feroce. Questo Cottarelli non lo dice con le parole ma con i numeri, ed è già qualcosa. Escludendo la spesa previdenziale-assistenziale, che doveva garantire la pace sociale e quindi è stata solo parzialmente frenata (governo Monti, riforma Fornero etc.), ed escludendo la spesa sanitaria (che è rimasta stabile in termini reali), il resto della spesa primaria italiana è crollata: -14,7% complessivo e -42% alla voce investimenti pubblici, a riprova del fatto che nemmeno i governi degli economisti sfuggono alle logiche di consenso, che rendono politicamente più sostenibili tagli alle spese in conto capitale perché meno visibili alle fasce popolari (ma altrettanto o più dannosi)
5) in termini assoluti, la spesa reale primaria italiana, al netto di previdenza-assistenza e sanità, è scesa di circa 60 miliardi di euro tra il 2010 e il 2017. Una enormità.
Ora, questa è la parte sincera. Il capitolo prosegue con la parte ideologica, e qui c’è poco da fare. Cottarelli finge (forse anche a se stesso) di non riconoscere che Pil e spesa pubblica si influenzano a vicenda, e che se la spesa diminuisce, a parità di altre fonti di domanda il Pil diminuisce più che proporzionalmente, perché agiscono i cosiddetti moltiplicatori fiscali. La soluzione, ignorando questo legame, è sempre la stessa: aumentare l’avanzo primario, cioè la differenza tra entrate e spese al netto degli interessi sul debito.
Si riconosce infatti che il livello di spesa pubblica dell’Italia è inferiore a quello francese e solo poco superiore a quello tedesco, ma si sostiene che lo spazio per l’intervento dello Stato sia molto inferiore a quello degli altri Paesi avanzati perché il nostro Paese ha un alto rapporto debito/Pil che “ci lascia esposti a periodiche crisi di fiducia”. Peccato che riducendo la spesa reale per aumentare l’avanzo primario e ridurre il rapporto debito/Pil, il Pil si sia ridotto più della spesa e il rapporto sia aumentato, dettaglio sul quale Cottarelli sorvola.
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