Vecchie e nuove dicotomie contemporanee
di ALESSANDRO CASTELLI (FSI Trento)
I.
In questo articolo cercherò di sviluppare un abbozzo di strategia politica per i prossimi anni partendo da un’ipotesi, ovvero che l’unico modo per superare l’impasse politico e sociale a cui stiamo assistendo in questi anni – leggi svuotamento della democrazia, allargamento della forbice sociale, appiattimento del dibattito a questioni di secondaria importanza – possa costituirsi mediante la costruzione di un polo nuovo, ovvero un polo ultrarazionalista, dialettico e sovranista.
Non è sbagliato, infatti, affermare che lo scontro sociale, oggigiorno, si concretizza in due posizioni di fondo che rappresentano un cambiamento di paradigma rispetto allo scontro anche solo di dieci o vent’anni fa: una posizione razionalista e liberale contro una posizione volontarista e populista, le quali in realtà non possono far nulla per risolvere le reali problematiche contro cui ci stiamo scontrando, proprio perché in fondo le accettano come parte della loro visione del mondo. Anzi, si potrebbe dire che più che far parte della soluzione fanno parte del problema. Per questo è auspicabile una posizione che dovrebbe quindi superare sia, da una parte, l’irrazionalismo dei populisti sia, dall’altra, il razionalismo applicato al mero computo economico del liberalismo.
Di più, va anche detto che altri modi di resecare posizioni in conflitto tra loro, ad esempio il tradizionale conflitto destra / sinistra, oggi presentano delle ambiguità interpretative quando si cerca di capire se siano ancora adeguati – ovvero se diano delle risposte adeguate e razionali al contingente – oppure se al loro interno presentino piuttosto delle scorie giustapposte al resto della loro struttura concettuale, al punto di essere a volte delle mere risposte pavloviane a fatti e a simboli che necessiterebbero di ben altra attenzione.
Tuttavia, se tentare di fare ciò ha come fine ultimo tentare di ridialettizzare lo speculativo, a questo stadio è più pragmatico limitarsi a individuare le possibili mosse grazie a cui le suddette posizioni – esattamente come è accaduto a posizioni analoghe in passato – potrebbero passate a essere il loro contrario, o comunque a unirsi ad altri elementi per trasformarsi in qualcosa di essenzialmente diverso e possibilmente di esiziale per il liberalismo. Significa cioè interrogarsi quali dei poli suddetti abbiano al loro interno il maggior potenziale dialettico, il maggior numero, cioè, di elementi in contraddizione fra loro sui quali fare leva.
II.
Concentriamoci sulla questione della destra e della sinistra. Cercherò di fare un discorso sulla situazione contemporanea usando per la sua utilità la grammatica hegeliana – limitatamente alle mie conoscenze della stessa. Come si sa, una parte fondamentale della dialettica di Hegel è la figura del rovesciamento dialettico. Si tratta del processo attraverso il quale, ma si tratta soltanto di un esempio fra i tanti, data la complessità della dialettica, un’antitesi – la negazione determinata di un concetto posto come tesi – si rovescia nella tesi stessa, portando a un superamento di entrambe in una sintesi, dal momento che la tesi deve reagire al, per così dire, cambiare di segno dell’antitesi, che è dunque venuta meno al suo compito di opposizione essenziale con la tesi stessa. Mi pare infatti che l’unico modo per spiegare il cambiamento di polarità di determinate posizioni, vedi l’interpretazione dell’estrema sinistra contemporanea come correa al libero mercato e, per contro, la nascita di un fronte anti-globalizzazione a destra, sia esattamente un rovesciamento dialettico.
Tutto questo è, ovviamente, ben noto. Il problema sorge quando lo si applica a dei casi reali. Non è infatti immediatamente evidente capire se una contrapposizione sia dialettica o meno. Per contro, capire i rapporti tra le contrapposizioni contingenti nel nostro tempo storico, come si diceva, è fondamentale non solo a livello accademico, ma anche e soprattutto a livello di prassi.
Prima di affrontare il presente, però, facciamo un paio di passi indietro. Nel Novecento post seconda Guerra Mondiale, vi era uno scontro a tutto campo tra un blocco capitalista occidentale e un blocco orientale del Comunismo storico novecentesco. Ora: questi due blocchi erano in relazione dialettica tra di loro?
Prima di rispondere, passo a citare, sull’argomento, prima C. Preve:
In terzo luogo, infine, Rousseau è di fatto il fondatore simbolico della interminabile logomachia fra la Destra, che pensa che la colpa (o il merito) della Diseguaglianza è della natura, e la Sinistra, che pensa invece che la colpa (o il demerito) della Diseguaglianza è della Società. Su questa base, è bene dirlo subito, ogni dialettica è impossibile. La dialettica, infatti, interviene solo quando i due opposti, che sono poi sempre e solo due contrari in correlazione essenziale, vengono “sciolti” nella loro rigidità opposizionale e ridefiniti all’interno del movimento dialettico stesso e delle sue necessarie determinazioni. (C. Preve, Storia della Dialettica)
E poi D. Marconi:
A parte l’uso (non privo di tradizione) in cui significa lo stesso che ‘arte di argomentare in maniera convincente’, la parola+dialettica+ oggi richiama forse soprattutto l’idea di un rapporto che è di distinzione fino all’opposizione e insieme di unità, nella forma dell’identificazione o dell’implicazione reciproca. I termini del rapporto possono essere concetti, o aspetti della realtà, o «universali concreti»; la loro opposizione può essere concepita come contrarietà o contraddizione, o come conflitto effettivo, storico, o come l’una e l’altro insieme; e la loro unità può essere intesa nel senso di una qualche relazione di equivalenza o invece come causazione, o generazione, o dipendenza reciproca. Si parla di dialettica di qualcosa (del valore, della natura, dell’illuminismo) per intendere la sussistenza di rapporti dialettici tra i suoi aspetti, parti, «momenti » o fenomeni; e in questi casi si ha di solito in mente che l’oggetto in questione, o la sua essenza, debba identificarsi con questi rapporti dialettici. Questi usi odierni della parola ‘dialettica’ derivano dall’uso che ne fecero Hegel e Marx, e dalle discussioni e volgarizzazioni del loro pensiero. Ma, anche per chiarire l’intreccio concettuale da cui dipende il significato che la parola ha oggi, è utile richiamare alcuni episodi piu antichi della tradizione in cui si è parlato di dialettica. (Enciclopedia Einaudi [1982], s. v. Dialettica)
Il problema, pertanto, è tentare di capire se e come gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica fossero in qualche modo legati strutturalmente fra di loro in modo tale che l’Unione Sovietica non potesse essere altro proprio perché gli Stati Uniti non potevano a loro volta essere altro e viceversa. Da una parte, è vero che l’Unione Sovietica frutto della Rivoluzione del 1917 era stata a suo tempo il risultato di contraddizioni endogene al capitalismo liberale ottocentesco. Dopo la Seconda Guerra Mondiale però ormai i giochi erano fatti, ci si trovava all’interno di una sintesi, a un terzo momento in cui, in quanto tale, non c’era più una una convergenza dialettica tra Unione Sovietica e Stati Uniti, poli che invece possono venir interpretati come due diverse tesi che stavano – e stanno tuttora – viaggiando all’interno di una storia che è data, ancora una volta, dalle loro intrinseche contraddizioni.
Tuttavia, da un altro punto di vista, se capisco bene le parole di Preve, effettivamente gli Stati Uniti e l’Unione Sovietica possono ben venir visti come due poli dialetticamente contrapposti fra di loro, a patto che l’opposizione venga riferita a delle note in opposizione logica fra loro divise tra l’uno e l’altro polo, ma non ai due poli nel loro complesso. Vero è, però, che agendo su una delle note di un polo si finisce per influire anche sull’altro polo. In effetti, la dissoluzione dell’Unione Sovietica e del Comunismo storico novecentesco può ben essere vista come un rovesciamento dialettico, dove l’antitesi diventa la tesi, in modo da creare la sintesi contemporanea, ovvero il capitalismo dispiegato a livello globale, anche se poi la Russia di Putin può risultare più un ostacolo alla globalizzazione liberale e non, nonostante la deriva mercatista degli anni Novanta, una parte integrante della stessa.
III.
Tutto questo può sembrare mera pedanteria, certo, però ci riguarda da vicino. È partendo da qui che si può cominciare a costruire delle ipotesi su come superare la dicotomia razionalità/irrazionalità che si sta sovrapponendo a quella destra/sinistra che peraltro era già stata sovvertita in molte delle sue note essenziali durante gli anni Sessanta e Settanta e che ormai non ha più molto da dire. Certo, esistono tuttora una destra e una sinistra. Tuttavia, bisogna ricordare che alcuni hanno detto molto correttamente che c’è anche, al loro interno, un alto e un basso. Aggiungo io, con un pizzico di presunzione, che c’è anche un’altra distinzione che è trasversale a entrambi gli schieramenti e che ha la sua ragion d’essere nella razionalità. Pertanto, da noi ci si trova dunque nella situazione dove da una parte c’è un polo composto da persone che si considerano razionali e competenti, dall’altra un polo di persone che addirittura celebrano l’incompetenza e l’ignoranza.
Ora, se questa analisi regge almeno in parte nel descrivere il nostro presente, la domanda ovviamente è sempre la stessa: questi due poli in che relazione sono fra loro?
Prima di rispondere, però, è bene aggiungere due osservazioni che rendono ancora più intricata l’intera questione: innanzitutto che in realtà i primi hanno tuttavia una concezione di razionalità, potremmo dire, posta sotto un regime di libertà vigilata, mentre i secondi non si considerano irrazionali tout court, ma più che altro portatori di un sano buon senso; secondariamente, non ci si può nascondere che nella realtà di tutti i giorni i due atteggiamenti possono trovarsi, giustapposti o fusi, persino nella stessa persona.
Ma in che misura e in che modo tali poli siano in correlazione dialettica o meno è esattamente ciò che andrà discusso per poter proporre una strategia all’altezza della situazione, cercando, come dicevo, di individuare il polo più dialettico, o meglio più immediatamente dialettico e intrinsecamente contraddittorio, in modo tale che un soggetto dotato di volontà storica potrebbe possa intervenire per far evolvere uno dei due poli nella direzione che a lui aggrada, ma, allo stesso tempo, determinare di quali opposti in correlazione essenziale compongano i due poli, in modo da agire dove è più agevole farlo.
È chiaro che entrambi questi due poli sono in contraddizione con se stessi perché da una parte c’è un polo ha pescato un po’ in tutti i settori della società accomunate da un certo generico malcontento, senza però essere vera espressione dei reali interessi economici di tali settori. Dall’altra, la situazione del secondo polo, al di là delle varie parti che la compongono, è più complicata da descrivere. Per esempio, al suo interno ci sono persone provenienti dalla storia della sinistra novecentesca. È possibile affermare che molti di loro hanno subito il più classico dei rovesciamenti dialettici, diventando esattamente quello che intendevano combattere, andando a far coincidere la lotta contro la tradizione con la lotta contro tutto ciò che la tradizione salvava dal diventare oggetto di profitto.
Siamo, insomma, all’altezza della sintesi del capitalismo globalizzato. Ma c’è di più: posso solo accennare, in questa sede, alla trasformazione che vede Mercato e sinistra estrema, da relativisti che erano, il primo per le sue matrici liberali, la seconda per la sua lotta contro la Verità della Tradizione e dell’Autorità, a diventare Verità assoluta essi stessi. Ma il punto che davvero ci interessa è che attraverso queste avventure dialettiche il polo che si autodefinisce razionale ha perso davvero per strada le note più interessanti della razionalità medesima, e questo significa che ha dovuto anche rinunciare a parecchie teste che – chi in maniera più avvertita chi in maniera più intuitiva – ben si rendono conto di questo depauperamento. E ancora: è impossibile non notare come l’adesione al libero mercato si trasformi in un vero e proprio dogma irrazionalistico secondo cui il libero mercato stesso non può essere che positivo.
Conclusioni
Tutto questo deve essere letto come una sorta di cantiere con i lavori ancora in corso. Le mie sono solo ipotesi, anche se proprio scrivere questo breve articolo mi ha aiutato a mettere meglio a fuoco alcune di queste ipotesi. Nondimeno, ritengo che una nuova sintesi – sintesi che per sua stessa natura prevede l’unione di nuovi elementi per poter superare la dicotomia sorgente – sia necessaria per poter andare concretamente a incidere nella società italiana di questo inizio ventunesimo secolo.
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