Abbiamo la cura per il Covid-19?
di DAVIDE VISIGALLI (FSI Genova)
In questi giorni di quarantena, è capitato spesso di imbatterci in qualche cura miracolosa per la pandemia globale in atto. Dal farmaco giapponese, a quello francese, all’americano e così via, una pletora di soluzioni definitive per sconfiggere questo nuovo virus sono state pubblicate dai giornali di tutto il mondo.
Senza aver la pretesa di aver capito tutto, qui cercheremo di sbrogliare almeno un poco la matassa grazie a qualche ottima lettura fatta in rete e non solo.
Prima una precisazione importante: una riduzione della mortalità si può avere trovando una cura per i casi gravi oppure riducendo tout court il numero di contagiati (possono esistere sia strategie farmacologiche sia non farmacologiche, il lockdown ne è un esempio), quindi trovata una cura non è detto che si sia in grado di fermare la pandemia e i suoi effetti soprattutto sul SSN. Per fermare la pandemia bisogna essere in grado di limitare i contagi oppure di diminuire drasticamente i soggetti ospedalizzati, a prescindere dalla mortalità. A questo proposito nel modello epidemiologico SIR, che modellizza la probabile curva di una data pandemia, i guariti e i decessi si comportano allo stesso modo proprio perché “escono” dal modello come casi non più attivi, e quindi non più rilevanti dal punto di vista epidemiologico, anche se, soprattutto i decessi, rimangono importanti per la politica sanitaria.
Riassumendo, la gestione sanitaria di una pandemia non sempre sarà sovrapposta alla cura della malattia che ne deriva.
Detto questo, non è che i ricercatori non si stiano dando da fare, i trial clinici su pazienti COVID-19 attualmente in corso sono 275, li potete vedere qui, ma per avere i risultati completi bisogna pazientare ancora.
Altra precisazione: visto che oltre il 70% dei positivi al Covid-19 è paucisintomatico e non richiede il ricovero ospedaliero, lo sviluppo di un farmaco atto a prevenire la viremia è di difficile attuazione. Infatti, per essere accettabile, questo farmaco non deve presentare quasi nessun effetto avverso e comunque di non grave entità per essere somministrato senza problemi alla popolazione. Quindi nel nostro caso è molto più probabile che vengano sviluppati uno o più farmaci che contrastino, rallentino o risolvano le gravi sintomatologie nei soggetti posti in terapia intensiva o comunque ospedalizzati. In questo senso, una diagnosi precoce e una corretta prognosi (come decorrerà la malattia) fanno spesso la differenza.
Torniamo a noi (come riportato nel link sopra):
- il SARS-CoV-2 è un coronavirus che causa una malattia respiratoria chiamata Covid-19;
- l’intero spettro di Covid-19 varia da lieve, malattia auto-limitante del tratto respiratorio a grave polmonite progressiva, insufficienza multiorgano fino a morte;
- attualmente non ci sono farmaci specifici contro il virus SARS-CoV-2.
Non esistono farmaci specifici, ma si stanno usando farmaci adatti per altre malattie che potrebbero avere una certa efficacia su SARS-CoV-2.
Ecco un elenco non esaustivo dei farmaci che si stanno usando (qui la descrizione dei singoli farmaci con gli studi pubblicati in inglese):
- lopinavir/ritonavir
- remdesivir
- clorochina e idrossiclorochina
- oseltamivir
- ribavirin e interferone
- colchicina
- tocilizumab/sarilumab
- trasfusioni di plasma
- corticosteroidi
- antibiotici
Si va dagli antiretrovirali, agli antiinfiammatori, agli immunosoppressori fino ai comuni antibiotici. Tutte questi approcci mancano di studi clinici che ne accertino l’efficacia specifica contro il Coronavirus e i sintomi che causa. Quello che si sa è dovuto alla conoscenza di quest’ultimo mese grazie all’esperienza dei clinici che stanno curando questi pazienti.
Da quello che ho capito, soprattutto da una recente intervista del Prof Bassetti, primario di malattie infettive del San Martino di Genova, gli antiretrovirali non sono efficaci e sono stati via via abbandonati, esistono protocolli AIFA per studi su Avigan (antivirale), idrossiclorochina (antimalarico immunosoppressore), cortisonici e eparina a basso peso molecolare (ci torneremo).
Un altro farmaco antivirale, che riduce quindi la replicazione del virus, sviluppato contro Ebola e funzionante su SARS, il Remdesivir, e molto promettente anche su Covid-19, non dispone ancora dell’autorizzazione necessaria all’utilizzo in Italia, che si spera arriverà a breve.
L’approccio immunosoppressivo, invece, è indicato in quanto questo virus sembra indurre una risposta esagerata del nostro sistema immunitario scatenando una “tempesta di citochine” in grado di attaccare i tessuti, in particolare i polmoni. In questo senso il tocilizumab è molto promettente mentre l’idrossiclorochina, di cui si fa un gran parlare, è sicuramente usata nei protocolli attuali ma con risultati incerti (sembra funzionare poco e indirettamente) e qualche effetto collaterale di troppo tanto da farlo ritirare dai protocolli in Francia e Svezia (qui un link esplicativo).
Negli scorsi giorni è salito agli onori della cronaca il trattamento anticoagulante atto a contenere le tromboembolie caratteristiche di questa infezione. A scanso di equivoci, non sembra sia stata sbagliata la diagnosi iniziale della malattia, che rimane pur sempre una polmonite (infezione ai polmoni), ma piuttosto la pratica clinica ha dimostrato che il virus ha un’azione più sistemica e causa spesso danni al sistema vascolare favorendo la formazione di coaguli, da qui, l’uso di anticoagulanti. Interessante la conferma di una sintomatologia specifica di Covid-19 rispetto alla SARS che non presentava questi problemi alla coagulazione.
In tutto questo è emerso l’articolo inglese che dimostra una riduzione della mortalità del 20% dopo somministrazione di eparina a basso peso molecolare (un anticoagulante). Anche qui la confusione regna sovrana, per esempio non è inglese lo studio ma il commento dell’editore, lo studio invece è cinese. Commento peraltro molto attento nel non cadere in facili ottimismi e che sottolinea criticamente alcuni approcci dello studio stesso.
La cosa interessante rimane la funzione multitasking dell’eparina, da semplice anticoagulante a immunosoppressore fino ad antivirale. Questa ultima ipotesi è supportata da un recente lavoro dove viene dimostrato un legame diretto tra l’eparina e la spike protein del SARS-CoV-2, ma anche qui c’è ancora molto da studiare.
In conclusione, oggi sappiamo molto di più di Covid-19 rispetto a qualche mese fa. Possiamo intervenire in vari modi: contrastando la viremia, neutralizzando la tempesta di citochine infiammatorie oppure intervenendo sulle tromboembolie che ne peggiorano la prognosi. Meglio probabilmente intervenire su tutti e tre i fronti contemporaneamente, ma leggo che si stanno già sviluppando protocolli opportuni.
Con queste terapie e altre in divenire è molto probabile che avremo nel breve periodo una riduzione della mortalità a Covid-19 rispetto agli inizi. Se questa possa anche trasformarsi in una ridotta ospedalizzazione è presto per dirlo e anche difficile capirne la reale entità visto che le misure farmacologiche sono per forza di cose sovrapposte al lockdown sanitario.
Quindi siamo ottimisti per il futuro ma, per citare il prof Bassetti, in questo momento il distanziamento sociale è la misura più importante per contenere Covid-19. Anche se sono consapevole che, per varie ragioni, non potrà mantenere a lungo le forme, alcune esasperate ed inutili, che ha assunto. È comunque improbabile che venga di nuovo messo in campo in futuro grazie alle più efficaci politiche sanitarie e terapeutiche derivate proprio da questa esperienza.
Rispetto a tutti i toni trionfalistici che si leggono sui giornali posso solo dire che la scienza e i suoi accoliti non sono immuni a comportamenti egocentrici e dichiarazioni affrettate per un attimo di notorietà presso il grande pubblico. Ma questa è un’altra storia.
PS: le news trionfalistiche sui media causano spesso nelle persone comuni autoprescrizioni di farmaci. È importante non farlo per due motivi: non siamo medici e non sappiamo con quali indicazioni e controindicazioni devono essere somministrati i farmaci (un esempio di questi giorni è la prescrizione di idrossiclorochina (Plaquenil) insieme all’azitromicina che può causare problemi cardiaci anche gravi) e anche se fossimo nel giusto, la corsa agli scaffali toglierebbe possibilità di cura a chi ne ha veramente bisogno. Non fatelo.
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