Euro: una catastrofe annunciata
di Alberto Bagnai Alberto Bagnai
Quando vengo chiamato a esprimermi in pubblico sul tema dell’euro, comincio citando un brano del Diario notturno di Flaiano:
“Illustre professore, in questa lettera troverà accluso un assegno di lire 50.000, che mi permetto di inviarLe a saldo del Suo onorario. Mentre La ringrazio per le Sue attente cure, che mi hanno grandemente giovato a superare il mio deplorevole esaurimento psichico, La prego di credermi, per sempre, il Suo riconoscente e devotissimo Napoleone IV.”
Cerco così di rompere il ghiaccio, ammettendo ironicamente che, dopo anni di bombardamento mediatico, anche chi ormai intuisce di avere preso una fregatura, nel sentirsi dire il contrario di quello che gli è stato ripetuto da tante “autorevoli” fonti, potrebbe avere la legittima impressione di trovarsi di fronte a un pazzo, o al solito blogger complottista e visionario. Credo sia per questo che tanti amici, forse perché essi stessi un po’ dubbiosi, forse perché desiderosi di appoggiarsi all’auctoritas di famosi economisti (ammetto che la mia sia scarsa), mi hanno chiesto di fare una piccola antologia di autori che avevano preannunciato i pericoli dell’euro.
Un compito facilitato dal lavoro di Lars Jonung e Eoin Drea. Forse non li conoscete. In effetti il secondo non lo conosce nessuno, perché lavora per una società di consulenza privata di Dublino, e ha solo due pubblicazioni accademiche; il primo invece (Jonung) è un economista con un curriculum nutrito (48 articoli di cui pochi su riviste molto buone, come l’American Economic Review, che è nelle top 20 per impact factor). Nel 2010 i due hanno pubblicato una rassegna delle opinioni espresse dagli economisti statunitensi sull’euro nel periodo dal 1989 al 2002 (qui trovate la versione working paper, l'articolo è stato pubblicato su Economic Journal Watch, vol.7, n. 1). Dettaglio: Jonung dal 2000 lavora per la Direzione generale per gli affari economici e finanziari della Commissione Europea. E, guarda caso, conclude che l’euro è una buona idea, della quale gli economisti accademici americani hanno parlato male perché legati a teorie vetuste come quella delle aree valutarie ottimali (AVO). Viene da chiedersi a quale altra teoria mai avrebbero dovuto rifarsi degli economisti nello studiare un problema di unificazione monetaria. In effetti, visti i risultati, forse quella del Big Bang sarebbe stata più appropriata. Ma lasciamo perdere.
Parentesi: in conflitto di interessi al mondo non c’è solo Lui, il Satiro. Certo, se in televisione intervistano un economista della Bce o della Commissione cosa volete che vi dica? Che vi ha tirato il pacco? Voglio precisare che l'economista fa bene, in quanto oste, a dire che il suo vino è buono. Il giornalista però fa male se non vi spiega che l'intervistato è un oste, e fa malissimo se non invervista anche un avventore. Capito mi avete? Andiamo avanti…
Per chi non sa come funzionano le riviste scientifiche, segnalo che un articolo uscito nel 2010 come minimo è stato pensato nel 2008 e scritto nel 2009. A quell’epoca, se lo ricordate, si riteneva che la crisi fosse un problema statunitense, e in Europa ci si illudeva che l’euro avrebbe aiutato a superarla. Da questa patetica certezza derivava la strafottenza dei due lanzichenecchi di Bruxelles. Purtroppo, fra la data del concepimento del loro pezzo memorabile, e la data della pubblicazione, è successo esattamente quello che la teoria delle AVO prevede: un’area che si dota di una moneta unica senza averne i requisiti (cioè senza essere un’AVO) andrà in pezzi al primo shock importante. E quindi Krugman ha potuto segnare un bel rigore a porta vuota definendo questo articolo “spectacularly ill-timed”. In effetti, cosa vuoi dire a un’apologia dell’euro che esce nel 2010… Paperoga non avrebbe saputo fare di meglio, come direbbe il professor Santarelli (PhD)!
Del porco non si butta via niente. Anche dalle porcate, come l’articolo in questione, si può trarre una qualche utilità. Io ne ho tratto alcune delle citazioni che vi sottopongo. Non voglio dimostrarvi che non sono pazzo. Voglio solo dimostrarvi che sono in buona compagnia. Vi presento alcuni compagni.
Per chi non lo conosce: allievo di dottorato di Robert Mundell (premio Nobel per l’economia nel 1999), è stato professore di economia al MIT (3° istituzione al mondo nella graduatoria REPEC e nella graduatoria Reuters) dal 1975 al 2002, anno in cui è morto prematuramente di cancro. Un evento tragico, che nel suo caso lo diventa doppiamente, perché gli ha impedito di ottenere a sua volta il Nobel che certissimamente avrebbe ottenuto per i suoi meriti scientifici (346 pubblicazioni scientifiche di cui 112 articoli su rivista, di cui due sono fra i più citati nel dopoguerra, e un manuale di macroeconomia che è diventato il punto di riferimento di generazioni di economisti), e perché gli ha impedito di farsi due risate alle nostre spalle.
Da “Euro fantasies”, Foreign Affairs, vol. 75, n. 5, settembre/ottobre 1996.
Pag. 113: “The most likely scenario is that EMU will occur but will neither end Europe’s currency troubles nor solve its prosperity problems.” (lo scenario più probabile è che l’unione monetaria si farà ma non porrà fine alle difficoltà valutarie dell’Europa né risolverà i suoi problemi).
Pag. 115: “Once Italy is in, with an appreciated currency, the country will soon be back on the ropes, just as in 1992, when the currency came under attack.” (Una volta entrata l’Italia, con una valuta sopravvalutata <n.d.t.: l’euro>, si troverà di nuovo alle corde, come nel 1992, quando venne attaccata la lira).
Pag. 120: “The most serious criticism of EMU is that by abandoning exchange rate adjustments it transfers to the labor market the task of adjusting for competitiveness and relative prices… losses in output and employment (and pressure on the European central bank to inflate) will predominate.” (la critica più seria all’Unione monetaria è che abolendo gli aggiustamenti del tasso di cambio trasferisce al mercato del lavoro il compito di adeguare la competitività e i prezzi relativi… diventeranno preponderanti recessione, disoccupazione (e pressioni sulla Bce affinché inflazioni l’economia)).
Pag. 121: “Italians dream that the Ecb will make their life easier than the Bundesbank does now… The new central bank is certain to establish itself at the outset as a direct continuation of the German central bank” (gli italiani sognano che la Bce renderà la loro vita più facile di quanto faccia ora la Bundesbank… <ma> è certo che la nuova banca centrale si proporrà fin dall’inizio come continuazione diretta della banca centrale tedesca).
“If there was ever a bad idea, EMU it is” (p. 124). E questa ve la traducete da soli.
Per chi non lo conosce: studente di dottorato di Dornbusch, ha insegnato a Yale, Mit, Stanford e Princeton (sono tutte nella top ten mondiale). Ha conseguito nel 2008 il premio Nobel per l’economia, risultato di una carriera brillantissima, con 417 lavori scientifici di rilevanza internazionale, di cui 114 articoli su rivista, una decina dei quali si collocano nell’un per mille degli articoli più citati nel secondo dopo guerra. Blogger del New York Times, e autore anche lui di un manuale di economia diffusissimo.
Da “The euro: beware of what you wish for” Fortune (1998), disponibile su http://web.mit.edu/krugman/www/euronote.html.
“EMU wasn't designed to make everyone happy. It was designed to keep Germany happy – to provide the kind of stern anti-inflationary discipline that everyone knew Germany had always wanted and would always want in future.” (l’Unione monetaria non è stata progettata per fare tutti contenti. È stata progettata per mantenere contenta la Germania – per offrire quella severa disciplina antinflazionistica che tutti sanno essere sempre stata desiderata dalla Germania, e che la Germania sempre vorrà in futuro)
“The clear and present danger is, instead, that Europe will turn Japanese: that it will slip inexorably into deflation, that by the time the central bankers finally decide to loosen up it will be too late.” (il pericolo immediato ed evidente è che l’Europa diventi giapponese: che scivoli inesorabilmente nella deflazione, e che quando i banchieri centrali alla fine decideranno di allentare la tensione sarà troppo tardi).
Per chi non lo conosce: 483 lavori scientifici di cui 198 articoli su rivista di cui cinque nel top un per mille come citazioni, insegna a Harvard (riconosciuta prima università al mondo nell’ambito delle scienze economiche), è presidente emerito del National Bureau of Economic Research (andatevi a vedere cos’è, per avere un’idea), e editorialista del Wall Street Journal. Insomma, come i due sopra, è uno di passaggio.
Da: “EMU and international conflict”, Foreign Affairs, vol. 76, n. 6, novembre/dicembre 1997:
Pag. 61: “Instead of increasing intra-European harmony and global peace, the shift to EMU and the political integration that would follow it would be more likely to lead to increased conflicts within Europe” (invece di favorire l’armonia intra-Europea e la pace globale, è molto più probabile che il passaggio all’unione monetaria e l’integrazione politica che ne conseguirà conduca a un aumento dei conflitti all’interno dell’Europa).
Pag. 62 “Although 50 years of European peace since the end of World War II may augur well for the future, it must be remembered that there were also more than 50 year of peace between the Congress of Vienna and the Franco-Prussian War. Moreover, contrary to the hopes and assumptions of Monnet and other advocates of European integration, the devastating American Civil War shows that a formal political union is no guarantee against an intra-European war”. (anche se i 50 anni di pace dalla fine della seconda guerra mondiale fanno ben sperare, occorre ricordare che ci furono più di 50 anni di pace fra il congresso di Vienna e la guerra franco-prussiana. Inoltre, contrariamente alle speranze e alle supposizioni di Monnet e degli altri fautori dell’integrazione europea, la devastante guerra di secessione americana ci ricorda che un’unione politica formale non costituisce di per sé una garanzia contro una guerra intra-europea).
Pag. 69 (dedicata al Sarkonano): “What is clear is that a French aspiration for equality and a German expectation of hegemony are not consistent” (Quel che è chiaro è che l’aspirazione francese all’uguaglianza non è compatibile con le aspettative tedesche di egemonia).
Pag. 72 “A critical feature of the EU in general and EMU in particular is that there is no legitimate way for a member to withdraw… The American experience with the secession of the South may contain some lessons about the danger of a treaty or constitution that has no exits.” (un aspetto cruciale dell’Unione Europea in generale e di quella monetaria in particolare è che i paesi membri non hanno un modo legittimo di ritirarsi… L’esperienza americana, con la secessione del Sud, potrebbe offrire qualche lezione sui pericoli di un trattato o di una costituzione che non offre vie di uscita).
Per chi non lo conosce: insegna alla Fordham University di New York, è editor del Journal of Policy Modeling, autore di 138 lavori scientifici di cui 81 su riviste, molte di primaria importanza, e anche lui autore di un manuale di economia molto diffuso e apprezzato (insisto sul fatto che queste persone non solo sono tutte molto qualificate, ma sono di fatto quelle che hanno insegnato l’economia al mondo coi loro manuali, il che significa, di converso, che l’universo mondo – con l’eccezione di qualche politico europeo decotto – ha riconosciuto loro questa autorevolezza).
Da: “The common unresolved problems within EMS and the EMU”, American Economic Review, vol. 87, n. 2, pp. 224-226.
Pag. 225: “Moving to a full monetary union in Europe is like putting the cart before the horse. A major shock would result in unbearable pressure within the Union because of limited labour mobility, inadequate fiscal redistribution, and a ECB that will probably want to keep monetary conditions tight in order to make the euro as strong as the dollar. This is surely the prescription for major future problems” (Muovere verso una compiuta unione monetaria dell’Europa è come mettere il carro davanti ai buoi. Uno shock importante provocherebbe una pressione insopportabile all’interno dell’unione, data la scarsa mobilità del lavoro, l’inadeguata redistribuzione fiscale, e l’atteggiamento della Bce che vorrebbe probabilmente perseguire una politica monetaria restrittiva per mantenere l’euro forte quanto il dollaro. Questa è certamente la ricetta per notevoli problemi futuri).
Und so weiter, und so fort (per i germanofili).
Siccome sono prolisso, potrei continuare per ore, perché di esempi ce ne sono a tonnellate. Ma preferisco che sia la qualità, piuttosto che la quantità, a farvi intuire quanto è stata gigantesca la presa in giro. Non so se è chiaro. Non sto dicendo che siccome loro sono importanti e noi siamo dei poveracci allora hanno ragione loro. No, no! Questo gioco non mi interessa: vincere così sarebbe troppo facile, se uno andasse a vedere le credenziali scientifiche di quelli che si sono espressi (e si esprimono) in senso contrario. Vi sto facendo vedere che era assolutissimamente chiaro quello che sarebbe successo, parola per parola, virgola per virgola. Mi dispiace per voi. Io nel 1997 mi ero espresso così. Non avevo capito tutto, ma qualcosa avevo capito. E voi cominciate a capire?
Dalle Tuileries
Il vostro riconoscente e devotissimo Napoleone V.
P.s.: nella pagina accanto (la 409) a quella dell’aforisma che ho citato, comme par hasard, trovo quest’altro:
C'è solo un errore di numerazione. La terza l'abbiamo già persa. La quarta è quella della quale parla Feldstein. Speriamo non sia un menagramo…
Desidero qui esprimere la mia profonda riconoscenza a Bagnai per la chiarezza espositiva e verve comunicativa. Il suo intervento a Chianciano mi ha letteralmente rapito.
Volendo trovare qualcosa da discutere su questo bell'articolo mi soffermerei sulla chiusa, la quarta ipotetica guerra di cui parla Feldstein.
Sono convinto che le similitudini con la secessione americana, nel caso di un'ipotetica quarta guerra, siano inconsistenti. A quei tempi l'economia americana si stava trasformando da rurale a industriale, e la manodopera che poteva effettuare tale rivoluzione era saldamente nelle mani dei latifondisti del sud.
Qui, dal basso della mia formazione, ho tentato di spiegare ciò che accadde:
https://www.appelloalpopolo.it/?p=1248
Oggi non esiste, invece, nessuno scontro frontale tra le varie lobbies. Esiste uno scontro di capitali, ma solo apparentemente. La Marcegaglia vuole maggiori profitti nel nome della Crescita Infinita, Marchionne li garantisce delocalizzando e pagando così le cedole ai propri azionisti. Il tutto si risolve in mancata innovazione e mancato sviluppo (locale), azionisti felici e ricche stock options per i soliti.
https://www.appelloalpopolo.it/?p=2689
https://www.appelloalpopolo.it/?p=2735
Insomma non c'è quella tensione che armò i nordisti nel nome della Modernità. Viviamo nella postmodernità e questo significa qualcosa. Anche militarmente. Oggi si invadono paesi in evidente inferiorità militare, e a nessuno verrebbe in mente di dare il via ad una guerra simmetrica (1:1) come ai tempi della secessione. O della guerra fredda, quella mai combattuta. Si vogliono risultati esemplari senza perdite (tra le proprie fila): se poi questo significa sterminare i civili (che militano però in altre fila) allora si può fare. Il caso libico ci dovrebbe aprire gli occhi.
Too big to fail, ie too big to lose.